Mentre il Qatar si prepara ad ospitare la Coppa del Mondo di Calcio, sta facendo il giro del mondo la notizia dell’uccisione di 29 cani randagi, avvenuta lo scorso mese di luglio da parte di un gruppo di uomini armati di fucile lungo le strade dell'emirato.
La responsabilità di quanto accaduto è stata più volte attribuita alla Fifa (Fédération Internationale de Football Association), accusata di far scomparire i cani randagi dalle strade del paese nell'ottica di offrire un'immagine "pulita" della città.
Secondo Patrizia Pellegrini però, che da oltre 3 anni è coordinatrice dei volontari del 2nd Chance Rescue di Rawdat al Ajuz, a Nord della capitale Doha, il massacro dei randagi non riguarda in alcun modo l'organizzazione dei Mondiali di calcio.
«L’arrivo dei capitali investiti da parte della Fifa a Doha è evidente: la città si sta sviluppando rapidamente Vediamo sorgere ristoranti, bar, spiagge pubbliche e private. Sorgono nuove situazioni ricreative ovunque ed è stata costruita la metropolitana – racconta Pellegrini a Kodami – Questo terribile evento, però, non ha nulla a che fare con la Fifa, che non è certo interessata ai cani e allo stesso tempo nemmeno alla tematica del benessere animale. La Fifa, infatti, non si è mai esposta su questo tema e non ha mai espresso la sua opinione al riguardo. Quanto accaduto riflette, invece, una realtà presente anche prima di questo momento e che non sta assolutamente cambiando nel tempo».
Gli animali in Qatar: «Cavalli, cammelli e falchi rappresentano il lusso»
Il Qatar è un piccolo paese del Golfo Persico che occupa una penisola affacciata sull'Iran e confinante con l'Arabia Saudita. «Gli abitanti di Doha, che oggi è una città moderna e sviluppata, fino a pochi decenni fa mantenevano tradizioni nomadi e vivevano nel deserto – spiega – La concezione del mondo animale che vediamo ancora oggi, quindi, è fortemente legata al concetto di lusso e, in particolare, alla falconeria (per la caccia), e ai cavalli e cammelli, che sono considerati mezzi di trasporto. I cani, invece, sono visti come animali da guardia e, certamente, non entrano nelle case come avviene in Europa ma, piuttosto, vengono tenuti lontani e non raramente, torturati e uccisi».
Nonostante la complessità del contesto, a Doha sono attive alcune associazioni che si occupano di gestione del randagismo e di sensibilizzazione della popolazione sulle tematiche del benessere animale. Il gruppo di cani uccisi a fucilate pochi mesi fa, infatti, veniva regolarmente monitorato dai volontari.
«Erano quasi tutti sterilizzati e venivano visitati dai veterinari. In base a quanto abbiamo saputo, la tragedia è avvenuta dopo che uno dei cani ha morso il figlio di un imprenditore della zona. Alcune persone del posto si sono quindi unite e hanno deciso di aprire il fuoco su tutto il gruppo. Abbiamo denunciato il fatto, ma non sappiamo se poi vi sia stato effettivamente un processo – racconta Pellegrini – Assurdo che a Doha, una città estremamente sicura per le persone, in cui non vi sono furti, rapine e non accade nulla di preoccupante, un essere umano possa andare in giro con la pistola ed ammazzare cani e gatti».
Altro che Mondiali: è l'edilizia massiva per il turismo a far fare le stragi di randagi
La ricostruzione dei fatti che ha condiviso con noi la volontaria italiana è molto simile a quanto accaduto ormai quattro anni fa anche in un piccolo paese del Nord del Marocco dove Stray Dogs International Project, associazione italiana che si occupa di censire i cani liberi nel mondo, aveva avviato uno dei suoi primi progetti proprio per tutelare la serena convivenza tra cani liberi e persone.
Nel web doc realizzato dalla nostra direttrice Diana Letizia intitolato "Taghazout, storie di umani e cani" era infatti raccontato attraverso il suo reportage (e a quei cani liberi Diana Letizia ha dedicato anche il suo primo editoriale qui su Kodami) la storia di un piccolo paese di pescatori all'indomani della strage di cani che erano seguiti dalle associazioni locali, sterilizzati e reimmessi sul territorio e generalmente ben voluti dalla popolazione anche dai turisti stessi.
Il progetto di convivenza aveva portato nella società umana anche dei grandi benefici: le persone, osservando i cani e riconoscendo quelli che erano stanziali attraverso degli "orecchini" che gli erano stati apposti, avevano iniziato anche a prestare più attenzione alla salute dei bambini (più famiglie si rivolgevano agli ambulatori per le semplici vaccinazioni). Anche la gestione della spazzatura che era semplicemente riversata in mezzo alla strada era migliorata attraverso la sensibilizzazione fatta per la gestione dei cani.
Ma nell'aprile del 2018 ecco che anche in Marocco si diffuse la voce che emissari della Fifa erano nel Paese in vista dei Mondiali e puntualmente avvenne in tutto il Paese l'ennesimo massacro di cani liberi che coinvolse anche la zona di Taghazout. Andando a scavare, in realtà, pure in quella occasione si è poi scoperto che le persone armate scese in strada erano state assoldate da un costruttore locale il quale, anche lui, aveva detto che il figlio era stato aggredito da un cane di strada.
Ciò che sempre di più chiaramente emerge, dunque, è che anche in questa occasione il collegamento con i Mondiali di calcio va visto da un altro punto di vista: una competizione così importante è un bottino grande in prospettiva per coloro che hanno interessi nel campo dell'edilizia e sicuramente liberare le aree in cui edificare dalla presenza di animali servirà ad attirare ancora di più turisti che cercano luoghi in cui passare le vacanze.
«L'aiuto che riceviamo da alcuni qatarioti dimostra che questo paese potrebbe fare molto di più»
In questi anni di permanenza nel Paese, Pellegrini racconta però di aver instaurato anche rapporti profondi con qatarioti che hanno davvero a cuore gli animali, persone che si impegnano costantemente per cambiare la situazione e investono i propri averi per permettere a cani e gatti di trovare una famiglia adottante anche al di fuori del territorio nazionale. «Grazie a loro sappiamo che questo paese potrebbe fare molto, eppure, per il momento, il benessere animale resta una priorità solo per poche persone».
Lo stesso rifugio 2Chance, nasce dall'idea di una famiglia qatariota che ha deciso di occupare uno dei propri terreni con una struttura dedicata al recupero di randagi. Al momento, ospita 32 cani e 48 gatti in attesa di adozione, ma qualche anno fa erano molti di più.
«Si tratta di un luogo meraviglioso dove riusciamo a passeggiare nella natura con i cani e, tra le piante, non sembra nemmeno di essere nel deserto – racconta Pellegrini – Alcuni cani e gatti trovano casa, spesso all'estero, ma le condizioni di abusi e maltrattamenti dei randagi che siamo costretti ad affrontare costantemente è comunque pesante. Ci rendiamo conto, però, che il problema è legato a un'importante mancanza di informazione e di comunicazione riguardo le tematiche di animal welfare. Ci impegniamo quindi per sterilizzare cani e gatti, curarli e sensibilizzare la popolazione, ma la nostra idea non viene accolta facilmente e non riceviamo alcun aiuto dal governo. La maggior parte dei fondi li otteniamo attraverso l'organizzazione di eventi di beneficenza».
Il trattamento riservato ai Saluki ricorda la condizione dei Galghi in Spagna
Un ulteriore tema che i volontari di 2nd Chance affrontano costantemente è quello del trattamento riservato ai Saluki, ovvero una razza autoctona di Levrieri obbligati ad un destino, se possibile, ancora più crudele rispetto a quello dei randagi massacrati lungo le strade e, tornando ad una realtà europea, ricorda a tutti gli effetti, quanto avviene in Spagna con i Galghi: «Questi Levrieri vengono utilizzati per i combattimenti illegali e per le gare di velocità che si tengono nel deserto, lontani dalle luci della città».
Esattamente come avviene nella penisola Iberica poi, una volta feriti o infortunati, i Saluki vengono considerati alla stregua di rifiuti da smaltire e quindi uccisi oppure abbandonati nelle zone industriali.
«Siamo continuamente testimoni di casi in cui vengono bruciati vivi, investiti appositamente o lapidati – conclude Pellegrini – Ma sono proprio i loro sguardi che ci permettono di tenere duro in un contesto così doloroso da affrontare, che nulla ha a che fare con l'imminente inizio dei mondiali di calcio».