Un massacro silenzioso e tremendo quello si sta consumando in queste ore a Nosy Be, minuscola isola meravigliosa aggrappata alle coste del Madagascar e nota per il suo mare cristallino, per l’avvistamento delle balene che ogni anno si ripresentano a luglio, per i lemuri resi famosi dai dai film d'animazione. Il massacro è quello di centinaia, forse migliaia di cani e gatti randagi, anche se a volte tra le reti degli accalappiatori ci finiscono anche quelli domestici, abituati a convivere con gli uomini e le donne del posto e, quindi, ancora più confidenti.
Un massacro, e questo è l’elemento più sconcertante, organizzato e voluto dalle istituzioni cittadine per debellare, secondo loro, la piaga del randagismo. Con tanto di annuncio via social, negli scorsi giorni: «La notte di giovedì 27 tenete a casa i vostri cani e i vostri gatti. Nella notte ripuliremo le strade dai randagi, se li lasciate liberi non potremmo evitare che anche loro finiscano soppressi».
«Quello che sta succedendo in questi giorni è un incubo – ci racconta al telefono uno dei tanti italiani che ha scelto di vivere e lavorare in questa perla di bellezza incontaminata davanti alle coste del Mozambico, ma che vuole rimanere anonimo per evitare contrasti con le istituzioni locali – Le strade stamattina erano deserte: non si vedeva un cane o un gatto, mentre di solito sono affollare di randagi. Tremendo». Ma cosa sta succedendo a Nosy Be? «Non è una novità. Purtroppo, è già successo altre volte. Vogliono debellare il randagismo per il turismo e per le possibili malattie, ma l’unico modo che conoscono per farlo è sterminare questi animali con il veleno».
Le foto che girano sui social che, come al solito, non vi mostriamo, purtroppo confermano un massacro indistinto: corpi di cani ammassati sul retro di furgoni per essere trasportati via dopo la morte, alcuni hanno le zampe legate, altri sono cuccioli; cani scaricati dentro fosse comuni, in decine, centinaia, dopo essere stati avvelenati. «È una situazione che non possiamo contrastare: qui non esiste una sensibilità verso gli animali. In più c’è un odio feroce in particolare verso i cani, che la religione tradizionale considera come dei demoni».
Un odio confermato anche da quanto si può leggere nei commenti sotto il post che annunciava le soppressioni nella notte di ieri. Commenti agghiaccianti: molti ringraziano per l’intervento, molti chiedono di intervenire anche nelle zone dove abitano, altri semplicemente si complimentano per quello che ai loro occhi appare come un prendersi finalmente carico del problema.
Nessuna forma di contenimento delle nascite, quindi, né sterilizzazioni. L’unico modo di affrontare la presenza e la crescita incontrollata di randagi sul territorio è il loro abbattimento violento. La presidente dell’Enpa, Carla Rocchi, dopo aver ricevuto la segnalazione da parte dell’attrice Antonella Elia, che quest’estate ha trascorso un’entusiastica vacanza nell’isola, aveva scritto il 20 settembre a Onipatsa Helinoro Tianamahefa, Primo Consigliere, Incaricato d’affari Repubblica del Madagascar e a Paolo Cuculi, Ambasciatore d’Italia a Pretoria, per ottenere maggiori informazioni e capire cosa stesse succedendo.
«Ad oggi non ci ha risposto nessuno – spiega la Rocchi – Ignoriamo i motivi per cui abbiano preso una decisione che, se confermata, sarebbe una misura disumana e contraria a ogni logica di controllo e prevenzione del randagismo. E ciò – a nostro avviso, per la nostra esperienza e per la nostra sensibilità – a prescindere dalle norme nazionali o locali che regolamentano la materia». La presidente di Enpa si era rivolta ai diplomatici per far arrivare anche l’indignazione rispetto ad un intervento così violento e crudele nei confronti dei randagi, oltretutto assolutamente inadatto a risolvere il problema del randagismo. «Chiediamo la vostra attenzione – aveva scritto Rocchi ai diplomatici – perché la vicenda preoccupa gli italiani sensibili ai diritti degli animali e provoca il loro sdegno. Vi chiediamo, se fosse possibile, di rappresentare alle autorità del Magadascar la nostra contrarietà, la nostra preoccupazione e – se la mattanza dovesse essere confermata e, peggio, eseguita – la nostra indignazione».