Un'altra stagione di caccia, salvo deroghe, si è appena conclusa il 31 gennaio 2022 e come ogni anno è già tempo per i primi bilanci. Quest'ultima è stata una stagione venatoria decisamente movimentata sin dalle prime battute, con continue battaglie a colpi di ricorsi al TAR e comunicati legati all'emergenza pandemica, agli incendi, alla siccità e, in ultimo, all'insorgenza della peste suina africa.
Tutte le principali associazioni ambientaliste sono, tuttavia, concordi: è stata l'ennesima stagione caratterizzata da tante illegalità, come spiega a Kodami Giovanni Albarella, responsabile del settore Caccia e Bracconaggio della LIPU: «Come ogni anno sono state tantissime le illegalità riscontrate, soprattutto per quanto riguarda l'utilizzo richiami elettromagnetici per attirare gli uccelli e l'abbattimento di specie a cui non è possibile sparare. E viste le recenti direttive europee anche la prossima sarà una stagione piena di ricorsi».
Una stagione all'insegna dell'illegalità e dei ricorsi al TAR
Proprio alcune specie cacciabili sono state al centro di numerosi battibecchi che hanno visto protagonisti associazioni e animalisti da una parte e Regioni e cacciatori dall'altra: «Soprattutto all'inizio, in diverse regioni, molte associazioni assieme alla LIPU hanno fatto numerosi ricorsi riguardo l'inserimento di alcune specie particolarmente minacciate all'interno dei calendari venatori – continua Albarella – e sono stati vinti quasi tutti».
Sono state soprattutto tre le specie che hanno animato il dibattito venatorio: la tortora selvatica, il moriglione e la pavoncella. Come evidenziano tutti gli studi scientifici più recenti, compresa la nuova Lista Rossa degli Uccelli Europei, queste specie da sempre oggetto di prelievo venatorio stanno subito un forte calo numerico in tutta Europa, ma nonostante ciò l'Italia non sembra non voler prendere le giuste contromisure: «La Commissione Europea ha più volte avvertito l'Italia che per poter cacciare queste specie occorre avere un piano di gestione chiaro ed esaustivo che tenga conto dello status di conservazione» sottolinea Albarella.
I piani di gestione prevedono alcuni requisiti precisi, tra cui l'esistenza di dati aggiornati e affidabili sulla consistenza delle popolazioni in natura e sul numero degli animali abbattuti dai cacciatori, dati che l'Italia ancora non possiede: «Quasi nessuna Regione è in grado di soddisfare questi requisiti, nonostante le richieste da parte dell'Europa – continua Albarella – Per cui già due anni e mezzo fa la Commissione Europea segnalò la necessità di sospendere la caccia al moriglione e alla pavoncella chiedendo di eliminarle dai calendari venatori, ma nonostante ciò alcune Regioni non lo hanno fatto e sono state sconfitte».
L'Italia è stata più volte ammonita dall'Europa
Dei nove ricorsi effettuati dalla LIPU e dalle altre associazioni ben otto sono stati infatti vinti, come accaduto per esempio in Sardegna per quanto riguarda la caccia alla tortora selvatica, oppure in Sicilia per l'emergenza incendi e siccità. Nonostante le evidenze scientifiche e gli avvisi chiari da parte dell'Europa molte Regioni, tuttavia, sembrano subire una certa pressione da parte del mondo venatorio, che riesce ancora oggi ad avere un peso politico importante a livello locale ma che ci è già costato un paio di procedure di infrazione, procedimenti volti a sanzionare gli stati membri che non rispettano gli obblighi comunitari presi.
«L'Italia è stata sottoposta a ben due procedure. La prima riguardava il mancato recepimento delle direttive europee e la cattiva gestione delle deroghe – spiega Albarella – La seconda invece riguardava la cattura di uccelli selvatici da usare come richiami vivi». Questi procedimenti sono stati successivamente superati, tuttavia, l'Europa ha avviato una nuova procedura pilot di preinfrazione, una sorta di avvertimento per la cattiva gestione dei calendari venatori. In particolare per la possibilità concessa ai cacciatori di sparare durante la migrazione primaverile e alle specie in cattivo stato di conservazione, cacciabili solo in presenza di piani di gestione precisi e aggiornati, che tuttavia sia lo Stato che le Regioni non possiedono.
Ci aspetta una nuova stagione piena di ricorsi
La procedura è stata poi archiviata ma il rimprovero da parte dell'Europa resta e se l'Italia continuerà a gestire la caccia in questa maniera sarà inevitabile l'apertura di una nuova procedura vera e propria, eventualità piuttosto alta in vista della prossima stagione di caccia: «Siamo consapevoli che la prossima sarà una stagione ricca di ricorsi – commenta Albarella – di recente c'è stata infatti una revisione europea delle date di migrazione e riproduzione. Per quanto riguarda l'Italia le date della migrazione primaverile sono state anticipate rispetto al passato. Questo significa che dall'anno prossimo sarà inevitabile ridurre la finestra temporale della stagione venatoria. Soprattutto per tordi e specie acquatiche».
Con l'anticipazione della stagione migratoria primaverile, quando la caccia dovrebbe essere sempre vietata, la data di chiusura della caccia non potrà più essere il 31 gennaio: «A partire dalla prossima stagione la caccia dovrà essere chiusa entro il 31 dicembre o il 10 gennaio in base alle specie – conclude Giovanni Albarella – sarà un colpo duro per tutto il mondo venatorio, abituato a ben altri privilegi. Il Ministero della Transizione Ecologica dovrà imporsi per far recepire queste nuove direttive, altrimenti la procedura sarà inevitabile».
L'avviso da parte dell'Europa è chiaro, ora al palla passa alle Regioni, che hanno tuttavia già mostrato una certa disattenzione verso le indicazioni europee. Si preannuncia perciò una nuova stagione piena di battaglie a colpi di ricorsi al TAR.