L'ORA BLU
episodio 1
2 Maggio 2021
8:20

Staffette: dall’amore al business delle adozioni

Il fenomeno delle staffette, ovvero il trasporto di cani di strada o di canile da Sud a Nord Italia destinati alle famiglie che li attendono, è sempre più diffuso, soprattutto grazie ai social network. Ormai basta un clic per adottare un cane e dare inizio al viaggio, ma non sempre avviene nel rispetto delle leggi e del benessere animale. Spesso, nonostante il grande impegno dei volontari e a causa dell'assenza degli enti preposti, dietro a questi spostamenti si cela un vero e proprio business.

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In collaborazione con Stray Dogs International Project
Associazione di ricerca e studio per la convivenza con cani e gatti di strada in Italia e all'estero
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E' il 14 febbraio 2021: alle cinque del mattino un terribile incidente avviene sull’autostrada A14, all’altezza del chilometro 148. Due mezzi pesanti si scontrano e un furgone finisce schiacciato nell’impatto. A bordo c’erano due persone che stavano trasportando cinquanta cani e dieci gatti dalle regioni del Sud Italia verso il Nord. Elisabetta Barbieri e Federico Tonin perdono la vita così, durante uno dei tanti viaggi che facevano come “staffettisti” per consegnare animali da una parte all’altra del Paese a persone o rifugi in loro attesa. Un cane muore sul colpo, dei gatti fuggono spaventati e poi tutti gli animali vengono recuperati e portati alle loro destinazioni finali. Un altro cane morirà nella casa dell’adottante: aveva lesioni interne e non erano state verificate le sue condizioni. La cronaca nazionale accende i riflettori su un fenomeno che in realtà va avanti da molto tempo ma che con l’avvento dei social network è diventato massivo: le staffette su strada dal Meridione al Settentrione di cani e gatti provenienti da prelievi sul territorio o da canili attraverso trasporti con mezzi più o meno attrezzati, pochi a norma di legge e spostamenti che avvengono anche su altre tratte: aereo, treno, nave.

Passano però i giorni da quel drammatico incidente e le luci dei media si spengono, la procura di Pesaro apre un’inchiesta i cui risvolti si sapranno solo col passare del tempo, le discussioni e le polemiche proseguono sui social network e le staffette non si fermano e continueranno ad andare avanti nel bene e nel male.

Ma perché degli animali randagi sono portati da una parte all’altra dell’Italia e perché delle persone devono addirittura morire nel farlo? Bisogna subito mettere nero su bianco due punti di partenza fondamentali prima di dare risposte e iniziare questo “viaggio nei viaggi”. Da una parte è importante sapere che la tutela dei cani e dei gatti liberi è una responsabilità dello Stato, nello specifico delle Regioni e dei Comuni che dovrebbero provvedere direttamente al loro benessere. Dall’altra c’è un sentimento che caratterizza da sempre la nostra specie: L'amor che move il sole e l'altre stelle, come lo definiva Dante in chiusura del “Paradiso” della Divina Commedia.

E quando le leggi non sono applicate o rispettate, fermare chi si muove guidato dalla passione è complicato, soprattutto se i sentimenti vengono esasperati a causa della continua emergenza in cui si trovano ad operare i volontari. In questo scenario poi, cosa non di minore rilevanza, c’è anche chi agisce nell’ombra, facendo leva sul buon cuore degli adottanti e lucrando sulla pelle degli animali.

Cosa sono le staffette

In gergo si chiamano staffette: sono i trasporti di cani di strada o di canile da Sud a Nord Italia. Offerta e richiesta viaggiano prima e principalmente sui social network e le staffette al massimo balzano agli onori delle cronache locali quando qualche furgone viene raramente fermato per controlli e all'interno spesso si scoprono animali stipati fino all'inverosimile, in pessime condizioni e anche senza documenti di viaggio. Accade anche che degli animali muoiono, magari perché sfuggono nel momento in cui vengono consegnati agli adottanti in aree di sosta come caselli autostradali e slarghi cittadini o che altri vengono smarriti addirittura durante il viaggio.

Anni fa il fenomeno era relegato a poche vetture di proprietà dei volontari che, a loro spese, portavano il cane direttamente a casa della famiglia adottante. Poi, negli ultimi anni, c’è stata un’impennata con l’avvento di Facebook in primis e uno scambio che avviene attraverso le chat di WhatsApp o Telegram. Proprio Internet, così, è il principale alimentatore di un fenomeno che oggi vede numeri impressionanti e vere e proprie imprese di trasporto di cani e gatti: alcune perfettamente in regola, altre illegali o al limite della legalità e che non rispettano le norme sia da un punto di vista amministrativo che, cosa più grave, penale finendo nella fattispecie del maltrattamento animale.

Oggi, ad esempio, la Famiglia Bianchi di Milano può adottare un cane che è stato trovato da qualcuno o è ospitato in un canile della provincia di Napoli e che appare su un post pubblicato online. Basta cliccare sulla foto dell'annuncio e parte la procedura di adozione: a volte complessa, altre volte molto superficiale. Nasce poi la necessità di consegnare e ricevere il cane, una volta ottenuto il nulla osta all'adozione qualora ci sia stata una prassi da seguire. La famiglia adottante così non ha mai incontrato quell’individuo che arriva da località che possono essere anche a 1000 chilometri di distanza dal luogo in cui lo aspetta.

Su questa richiesta di mercato sono nate le staffette che vedono all'opera furgoni che arrivano a fare viaggi della durata anche superiore alle 40 ore e “mini staffettisti” che a loro volta portano gli animali poi in luoghi ancora più distanti caricandoli su macchine private. Negli ultimi tempi, così, il fenomeno della movimentazione di animali un tempo randagi ha lasciato ampio spazio anche a persone incompetenti, attratte dalla possibilità di lauti guadagni e spesso in regime di evasione fiscale. E non si sta parlando dei volontari che operano correttamente e che chiedono un rimborso spese legato soprattutto alla salute degli animali, sia chiaro sin da subito.

Si stima attraverso la nostra analisi dei profili più attivi tra siti e pagine Facebook, non essendoci un report pubblico a cui fare riferimento, che siano almeno trenta i mezzi che ogni settimana percorrono le autostrade dal Sud al Nord, con un numero di cani trasferiti nell'ordine di almeno 1000 a settimana. Di pari passo vi è anche un giro d'affari, in gran parte al nero, tra i due e i tre milioni di euro all'anno, sempre secondo una stima: per ogni cane trasportato viene richiesto infatti un corrispettivo che si aggira intorno ai 50-60 euro ma che può arrivare anche a superare i 200 euro, a seconda della taglia e della tratta percorsa. Esistono, del resto, veri e propri tariffari a cui gli adottanti fanno riferimento e richieste di pagamento anticipato su carte ricaricabili o contanti da elargire alla partenza.

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I  numeri del randagismo e l’assenza di un censimento

L’ultimo dato ufficiale, ovvero fornito dal Ministero della Salute sul numero di cani presenti in canili sanitari o rifugi in Italia è online sul sito del dicastero e riguarda il 2020: 118.857 animali sono stati prelevati dal territorio nazionale, 42.360 dei quali sono andati in adozione. Guardando la ripartizione è abbastanza evidente la disparità tra Sud e Nord ma è lampante anche l’assenza di report da parte di alcune Regioni, come la Calabria o la Sicilia, che risultano “non pervenuti”. Dati dunque non completi e che chiaramente mostrano quanto la tutela degli animali non sia tra le priorità dello Stato, tanto da consentire agli enti locali di non fornire nemmeno la documentazione.

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Quanti siano, poi, i cani liberi è impossibile saperlo. A livello mondiale si stima che l’80% della popolazione canina è fuori dalle mura domestiche e solo il 20% vive nelle nostre case. Ma il numero effettivo, anche solo quello che riguarda l’Italia, non c’è perché non viene fato a livello locale, e dunque nazionale, un vero e proprio monitoraggio e relativo censimento. «Questo è un Paese spezzato a metà – spiega Carla Rocchi, presidentessa dell’Enpa, Ente Nazionale Protezione Animali di cui faceva parte anche Elisabetta Barbieri che ha perso la vita nell’incidente del 4 febbraio – Quando si sente dire che bisogna cambiare la legge quadro in materia di randagismo (la 281/1991 ndr) è una stupidità: anche se ha 30 anni è la più avanzata al mondo ed è la stessa per tutte le Regioni. Le norme però non vengono applicate come dovrebbe essere ovunque. Troviamo cani randagi in Liguria, Lombardia o Veneto? No. Dove li incontriamo invece? Dal basso Lazio in poi e basta questo per capire che le Asl non fanno il loro dovere».

Istituzioni mancanti, dunque, anche se c’è chi potrebbe dare una mano a risolvere la questione del censimento, aiutando volontari e enti locali a monitorare gli animali al fine di valutare effettivamente le tipologie di cani, in modo da non affollare i canili e non foraggiare il business illegale delle staffette e favorire invece quelli che lo fanno scrupolosamente: «Con l’associazione cerchiamo di lavorare con un approccio attento anche dal punto di vista scientifico nella raccolta dei dati per studiare poi delle strategie che siano durature nel tempo – spiega Lorenzo Niccolini, presidente di Stray Dogs International Project – Per questo ci avvaliamo di uno strumento che abbiamo creato: un’applicazione per smartphone che può essere utilizzata proprio nel monitoraggio per censire gli animali, sostenendo così l’attività dei volontari e dando ai Comuni dei dati certi, tanto per i cani che per la gestione delle colonie feline. E’ uno strumento che ci sta dando grandi risultati ma che soprattutto aiuta le diverse realtà ad avere una fotografia chiara della situazione e a potersi muovere in maniera efficace». La tecnologia a differenza della legge si è evoluta ed è uno strumento che può decisamente aiutare tutti: «Bisogna approcciare con ogni realtà in maniera diversa, dal punto di vista proprio degli equilibri tra animali e comunità locali e tenendo conto tanto delle amministrazioni quanto del duro lavoro delle associazioni – conclude Niccolini – Noi forniamo consulenza e facciamo da mediatori, sperando in futuro anche di contribuire a migliorare il rapporto tra volontari del Sud e del Nord, rendendo più fluidi tutti questi meccanismi che nel tempo sono rimasti molto rigidi in assenza, appunto, di un coordinamento che dovrebbe essere in capo allo Stato».

Quanto costa mantenere un animale in un canile in Italia?

Prima di affrontare il delicato capitolo dei sentimenti in gioco, bisogna focalizzarsi su qualcosa di concreto e razionale: le leggi e i costi del randagismo. C’è un prima e dopo che inizia o finisce nel 1991, anno in cui nasce la Legge quadro 281 in materia di animali d’affezione: «Perché qualsiasi sia il punto di vista da cui ci si pone, si deve conoscere la storia se si vuole analizzare il presente: non esisterebbero le staffette del resto se le cose fossero andate come dovevano andare. In ogni caso, ancora prima di parlare di animali, basta già solo pensare alla salute della nostra specie: cosa ci dobbiamo aspettare da una Regione Calabria che è commissariata da tempi infiniti? Una persona ha difficoltà anche solo a prenotare una visita medica, figuriamoci se c’è un soggetto che si alza in piedi e dice: “Ora faccio dei bei controlli sul randagismo”. Dobbiamo avere la consapevolezza di quello che accade, però, anche per valorizzare il lavoro virtuoso: i volontari seri al Sud e le Regioni che si danno da fare al Nord. Laddove la legge non regna, del resto, lo fa il malcostume: siamo pieni di Comuni che dovrebbero occuparsi della tutela dei cani e invece fanno convenzioni per la gestione dei canili assegnandole senza un controllo e spesso a persone con interessi altri», precisa Carla Ronchi.

Il riferimento è ai costi che ogni cittadino ha a suo carico relativamente alla presenza dei cani nelle strutture e a come questi soldi vengono adoperati. Un report molto interessante è stato realizzato al riguardo da Legambiente e riguarda l’anno 2019: la nona edizione del dossier "Animali in città" mostra una fotografia di un'Italia che non sa quanti sono effettivamente gli animali, cani e gatti, che abitano lo Stivale e mette in luce quanto costa a un cittadino questa confusione. L'indagine è incompleta perché sono solo 1.069 le amministrazioni comunali (circa il 13,5% di tutti i comuni d’Italia) che hanno risposto al questionario di Legambiente. Emerge così solo una stima del numero di cani presenti in Italia, un numero che oscilla tra 2 e 3 cani per ogni residente umano e dunque una forbice che varia dai 19.800.000 ai 29.800.000 animali sul territorio. Il costo totale a carico dello Stato – e dunque nostro – è pari a quasi 229 milioni di euro (un incremento del 3,6% rispetto all'anno precedente) ma quando si va a scorporare questo macro dato si evince chiaramente che le amministrazioni spendono cifre completamente diverse regione per regione. Scendendo nei particolari, poi, il divario tra Nord e Sud in termini di spesa è evidente: il Comune di Francavilla in Sinni (PZ) dichiara di spendere 130,2 euro/cittadino, mentre quello che spende di meno è Bariano (BG) con 0,002 euro/cittadino.

Prima delle staffette e oggi: la fotografia dell’Italia dei cani 

Nelle strade del Belpaese tutto, città e paesi, i cani liberi un tempo erano una realtà diffusa. L’Italia a quattrozampe era unita nel bene e nel male: gli animali senza un referente umano stabile vivevano fuori dalle case tanto a Sciacca quanto a Buccinasco. Le tipologie di individui e le relative condizioni di vita in strada erano, come del resto accade anche oggi ma solo al Sud, diverse: cani ferali, ovvero non socializzati con gli uomini, cani padronali che avevano un rapporto più o meno stabile con delle persone da cui ritornavano, cani di quartiere, cani maltrattati e cani abbandonati.

Ieri come oggi, ma appunto in tutta Italia, i randagi si spartivano i territori in cui gravitavano intorno alle società umane. Ma le differenze sociali e economiche hanno sempre pesato nella storia del nostro Paese e così è stato anche nel rapporto con altre specie, sia prima che dopo la nascita di quella che ancora oggi, a distanza di 30 anni, è la Legge quadro in materia: la 281 del 14 agosto del 1991.

Gli anni che hanno preceduto la normativa sono quelli in cui il Legislatore non aveva ancora posto il divieto di eutanasia dei randagi nei canili e la pratica era abbastanza semplice nella sua cruda applicazione: i cani accalappiati venivano portati nelle strutture e come la legge imponeva (DPR 320 del 1954) e, se nessuno li reclamava, dopo diversi giorni venivano soppressi. Una metodologia nata anche per evitare la diffusione della rabbia che in quegli anni era ancora presente in Italia.

L’eutanasia, però, veniva messa in pratica con precisione nordica da una parte e con minore intensità nel Mezzogiorno. Il che significava e significa ancora oggi una presenza più forte di cani liberi al Centro sud e l’assenza nel Nord.

Con l’arrivo della Legge quadro, poi, ecco che inizia un altro lungo cammino che ci porta ai giorni nostri, in cui i canili del Meridione sono diventati luoghi di detenzione, spesso a vita, sovraffolati e quelli del Settentrione si riempiono principalmente per abbandoni di proprietà, spesso di cacciatori e pastori, o cani che provengono da altre parti d’Italia e sono “staffettati” lì. Si può così attribuire appunto a una questione di applicazione delle leggi non eguale anche lo stato attuale delle cose: al Centro sud, dove il numero dei cani era stato sempre maggiore probabilmente proprio perché la pratica dell’eutanasia era minore, la stessa non applicazione anche della legge 281 – che prevede tra l’altro l’obbligo di microchip e l’iscrizione all’anagrafe canina – ha fatto sì che la parte bassa dello Stivale diventasse un “territorio canino” a parte rispetto al Nord.

Quel 14 agosto del 1991 è dunque un “prima e dopo” da cui avrebbe potuto davvero iniziare una nuova era per gli umani e gli animali d’affezione senza una famiglia di riferimento, considerando che la 281 normava per la prima volta, e in modo decisamente innovativo ancora oggi rispetto al resto del mondo, in merito alla tutela dei randagi. In quei giorni finiva finalmente una lunga fase storica in cui l’accalappiamento voleva dire soppressione e venivano stabiliti i criteri per il risanamento dei canili comunali e la costruzione dei rifugi.

Quei luoghi nati come posti a tempo fino all’eutanasia, nelle intenzioni del Legislatore si sarebbero dovuti trasformare in luoghi altrettanto temporanei, finalizzati alle adozioni o alla reimmissione sul territorio, in cui mettere in sicurezza gli animali vaganti. La legge quadro, però, come sottolineato da Carla Rocchi, delegava e delega alle singole Regioni la corretta regolamentazione sul territorio di pertinenza: «Ma la responsabilità deve essere anche dei cittadini – conclude la presidentessa dell’Enpa – Le Asl avrebbero dovuto e dovrebbero ancora oggi applicare la legge ma in assenza di controllo, e in generale, anche la società civile dovrebbe agire correttamente: non abbandonando i cani, microchippando e effettuando la registrazione all’anagrafe».

Ciò non è avvenuto e ancora non avviene in parte del Paese ed ecco allora il nuovo spartiacque che determina sempre di più la situazione attuale, a distanza di trent’anni dalla 281: sono migliaia i cani di ogni tipologia vivono liberi, non si valuta chi di loro necessita realmente di un’adozione e chi no, finiscono in gran parte o a vita nei canili o, come quei 50 cani a bordo della staffetta della morte, in viaggio verso destinazioni lontane. Ad accoglierli, bene che gli vada, adottanti inconsapevoli per una scelta che non sempre, purtroppo, sarà la migliore per loro e per le famiglie che li accoglieranno.

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Il fenomeno delle staffette da Sud a Nord, dal volontariato al giro d'affari in assenza delle istituzioni

I cani che vengono spostati da una parte all’altra del Paese sono in maggioranza meticci. Cani raccolti dalle strade, dai boschi e dalle campagne: animali, come si scriveva, che per diversi motivi vivono in libertà. Mentre c’è abbastanza attenzione sulle tratte di cani di razza che arrivano dall’est Europa tanto da parte dell’Ue con tentativi di regolamentazione ad hoc che da parte delle Forze dell’ordine che procedono a controlli su strada, poca attenzione si pone su un fenomeno che accade tutti i giorni sulle strade italiane. Deve appunto succedere qualcosa di irreparabile come l’incidente sull’A14 perché emerga una realtà complessa da comprendere e sulla quale come un macigno pesa il silenzio delle istituzioni.

Abbiamo chiesto al ministero della Salute e al ministero dell’Interno di poter intervistare dei referenti a livello centrale per avere un confronto diretto e soprattutto un quadro della situazione generale, ma dopo diversi tentativi di contatto Kodami non ha mai ricevuto risposta. Abbiamo anche telefonato direttamente agli uffici delle polizie stradali responsabili nelle tratte più utilizzate dagli staffettisti, chiamando la polstrada di Milano, Genova e Bologna per poi provare anche con Pesaro e Fano dopo l’incidente in cui sono morti Barbieri e Tonin. Nessuno è stato in grado di fornire dei dati relativi a eventuali controlli avvenuti su furgoni o altri mezzi dedicati al trasporto di cani e gatti da Sud a Nord.

Ora è però il momento di tenere in considerazione un altro fattore importantissimo che dà carburante e fuoco perpetuo alla movimentazione degli animali randagi dal punto di vista di chi lo fa non a scopo di lucro: l’amore. Questa parola così semplice è terribilmente efficace nel momento in cui viene scritta e letta perché genera subito un pensiero comune: nulla di male può accadere se un’azione mette in atto un meccanismo dettato da un sentimento così puro. Ma per analizzare il fenomeno delle staffette bisogna avere il coraggio di andare oltre il significato etimologico della parola “amore”, tenere ben salda la testa, mettere le emozioni da parte e comprendere che non tutto ciò che viene fatto con buone intenzioni, purtroppo, è necessariamente qualcosa di giusto.

Il volontariato si basa sulla disponibilità di alcuni di fornire il proprio aiuto gratuitamente nei confronti di soggetti ritenuti deboli e in stato di necessità. Ma come in altri casi tipicamente umani, anche per le staffette c’è il rovescio della medaglia: «Ci sono persone che lo fanno per lavoro e quando è fatto bene è assolutamente degno di merito. Ma ci sono anche tanti inadeguati e incapaci e altrettanti che lucrano: è il lato oscuro di ogni cosa», sottolinea ancora la presidentessa dell’Enpa. Una matassa complessa, dunque, che facilmente può trasformare quell’amore di partenza in qualcosa di oscuro e per nulla empatico tanto da parte di chi agisce con buone intenzioni ma a volte estremizzando la necessità degli spostamenti sia da parte di chi, con doppi fini, usa il buon cuore delle persone per ottenere un proprio tornaconto.

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Il volontariato che lavora sempre in emergenza e il destino dei cani

La prima fotografia da guardare mostra coloro che decidono di salvare quanti più animali possibile e a tutti i costi. Persone che non hanno alcun aiuto dagli enti locali e che devono fronteggiare quella che è perennemente una situazione emergenziale. Donne e uomini che ogni giorno vivono e vedono animali in difficoltà, che non riescono a sopportare l’idea che cani e gatti possano rischiare di morire in strada e indipendentemente dal perché questo accada: dalle uccisioni determinate da avvelenamenti e maltrattamenti fino alla sola possibilità che un animale libero, anche se integrato sul territorio, possa magari finire investito. Un costo alto da sopportare ma che potrebbe avere un epilogo in realtà finanche peggiore con il prelievo dal territorio senza una corretta valutazione per determinati soggetti  prima di decidere il loro destino.

«Ci sono cani che vivono nei quartieri delle nostre città anche per oltre 15 anni – spiega Giorgia Matesi, educatrice cinofila che si occupa da un decennio del monitoraggio di branchi a Palermo – Posso dire che il dialogo con i residenti ha sempre favorito la convivenza tra le due specie». Cani di quartiere infatti si diventa e lo si può essere legalmente visto che la figura è riconosciuta anche dalla legge italiana e non è così difficile la convivenza, proprio grazie alla sintonia naturale e atavica che c’è tra Homo sapiens e Canis lupus familiaris, determinata da un incontro che è avvenuto almeno tra i 40 mila e i 15 mila anni fa. «Si tratta spesso di cani socievoli con le persone: alcuni di loro sono più selettivi ma comunque ben inseriti sul territorio. C’è da dire che non va sempre bene e che in media tutti i cani ricevono minacce da chi non li tollera. Ma la risposta non dovrebbe essere quella di strapparli dai propri luoghi. I luoghi non sono altro che spazi di relazioni».

Ci vuole criterio nello stabilire quali cani hanno davvero bisogno di essere spostati, così, ma in assenza di uno Stato che metta in pratica quella legge ormai obsoleta ma che se applicata avrebbe ancora un senso, solo chi opera volontaristicamente per gli animali diventa un faro nella notte. «Tino viveva libero per strada – racconta Matesi facendo degli esempi chiarificatori – ma è stato tradito proprio da coloro che gli davano da mangiare. Un giorno scelsero di metterlo in sicurezza, venne chiuso in un canile lager. L’ho rivisto dopo 3 mesi in stato di estremo malessere con le mosche in faccia, emotivamente distrutto. Lilli invece per strada creava molti problemi, era pericolosa con le persone, per cui ho cercato e trovato per lei un’adozione in Sicilia». Ma i cani possono trovare famiglia ovunque, ci tiene a sottolineare l'educatrice palermitana, proprio per mettere in evidenza che non è una questione di scontro culturale tra Sud e Nord: «Importante è che venga curato il progetto adottivo per arrivare a capire se quel cane insieme a quella famiglia possono crescere e vivere insieme senza distruggersi la vita a vicenda». E ben vengano gli spostamenti anche a lunga distanza, dunque, lì dove per l’animale ci sia una preparazione al cambiamento: «Bisogna favorire un processo di adattamento nel nuovo contesto familiare».

Ma perché le cose potrebbero non andare bene? Perché l’educatrice cinofila usa quell’espressione: “distruggersi a vicenda”? Bisogna distinguere con precisione e specificare che la tipologia di cani a cui si riferisce sono quelli che, come spiega Elena Garoni, veterinaria esperta del comportamento e membro del comitato scientifico di Kodami, «da generazioni sopravvivono in condizioni di vita libera perché hanno imparato a restare lontani dai pericoli». Questi animali, così, sottratti dal luogo in cui sono nati per il desiderio delle persone che se ne occupano di trovargli una sistemazione, giungono in famiglie che si ritrovano in serie difficoltà: «Le persone, i rumori, i cani estranei, gli oggetti, le situazioni nuove in cui si ritrovano per quei cani vuol dire mettere a rischio la loro stessa vita – continua la dottoressa Garoni – La paura, l’emozione che permette agli esseri viventi di stare lontano dai guai gli insegnano a scappare e se non si riescono ad allontanare ciò che considerano un pericolo con un abbaio possono passare al morso. Quando vengono portati nelle grandi città come Milano, Torino o Roma, anche se sono ancora dei cuccioli, non sono in grado di adattarsi alle condizioni di sovrastimolazione date dal traffico o dalla folla. Ne rimangono presto traumatizzati».

Ed è così allora che i cani del Sud, non tutti ma una grande maggioranza, vedono devastata la loro esistenza e la vita di chi li ha accolti ma sono loro, alla fine, ad avere un epilogo ben lontano da quello sperato dalle persone che avevano dal loro punto di vista fatto di tutto per salvarli. «A quelli che restano nella famiglia che li ha scelti noi veterinari dobbiamo a volte sottoporli a dei lunghi periodi di riabilitazione e addirittura in casi estremi somministrare loro dei farmaci. Spesso tutto questo porta solo a un risultato parziale ed è una grande frustrazione per noi, e spesso un dolore, trattare come dei malati psichiatrici cani che hanno delle capacità straordinarie di autonomia e una grande, bellissima ricchezza di scelte comportamentali e che dovrebbero essere tutelati nel luogo dal quale provengono. Non abbiamo molta scelta poi – conclude Garoni – per quei cani che le famiglie invece non vogliono più: non possono tornare nel posto da cui sono stati tolti e il canile è l’ultima opzione possibile».

Così, quando le persone che imprudentemente hanno accolto appelli accorati dai tanti post che appaiono su Facebook ma che purtroppo non descrivono davvero la storia di quei singoli soggetti non ne possono più, ecco che i cani un tempo liberi finiscono dietro box di cemento e gabbie nei rifugi del Nord come accade nel canile Enpa di Voghera: «Nella nostra struttura ogni anno arrivano circa 100-130 cani. Di questi il 30-40% provengono dal Sud – spiega l’istruttore cinofilo Matteo Castiglioni –  Per alcuni di loro è difficile trovare adozione nonostante comunque da noi c’è una gestione molto accurata del percorso, sostenendo la famiglia e il cane, sottolineando tutte le necessità individuali, comportamentali ed emozionali del soggetto. Questo però, a volte, si scontra anche con i limiti di un cane che in canile non sarebbe proprio dovuto mai arrivare e che per quanto ci si possa lavorare, per quanto lui si possa aprire, per quanto possa comunque superare tutta una serie di difficoltà presenterà per sempre problematiche che incideranno nella futura gestione della famiglia».

Il business del randagismo

La seconda fotografia, invece, mostra chi dell’amore degli altri fa un vero e proprio business: come accennato prima lucrando sulle convenzioni che le regioni fanno con soggetti privati per la gestione dei canili ma anche e soprattutto con persone che, sostituendosi ai volontari per bene, fanno leva sui sentimenti di chi recupera e, soprattutto, di chi adotta. Una “lunga mano” che passa dal cuore delle persone al loro portafoglio. Le staffette hanno un prezzo che può variare tra i 60 e i 200 euro, per un business tra i due e i tre milioni di euro all’anno. «Quando nel 2017 ho cominciato ad occuparmene non avrei mai immaginato di trovarmi di fronte a un fenomeno così abnorme – spiega Luca Spennacchio, istruttore cinofilo e membro del comitato scientifico di Kodami – Consideriamo che al tempo esistevano venti trasportatori certi che facevano la spola ogni settimana dal Sud al Nord con furgoni pieni di cani e altri animali e che ora ne sono molti di più. Ma prendiamo questi come dati da cui partire per semplificare il discorso ed ecco il quadro che ne esce fuori: per ogni mezzo calcoliamo 50 cani a viaggio e non sto considerando i trasportatori di piccole unità, ovvero le auto dei privati che pure arrivano a portare singolarmente almeno quattro, cinque animali. Arriviamo così a considerare che 1000 cani a settimana viaggiano sulle nostre strade, 4 mila ogni mese: insomma, circa 50 mila cani all'anno con un prezzo medio di 50 euro a soggetto. I conti sono presto fatti: in 10 anni sono stati raccolti circa 25 milioni di euro e il danaro è sicuramente uno dei fattori che contribuisce a incentivare il trasporto di cani dal sud a nord Italia».

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Come riconoscere una staffetta legale e quali sono le regole da seguire

Roberto Sandri era un manager, lavorava per una multinazionale. A cinquant’anni la sua vita gravitava intorno al lavoro e la condivisione del mondo con il suo cane Zeus. Improvvisamente, però, la sua carriera finisce da un giorno all’altro: l’azienda per cui lavorava va in crisi e Roberto deve inventarsi una nuova vita. L’ispirazione gli viene frequentando il canile di Rovereto e prendendo parte a un corso per educatori cinofili attraverso il quale studia l’etologia dei cani e impara anche a manipolarli correttamente. Entra in contatto con persone come David Morettini e il team di lavoro con cui l’istruttore cinofilo e membro del comitato scientifico di Kodami ha portato in giro per l’Italia dei seminari informativi chiamati: “Cani in transito o transito di cani?”.

«Non siamo mai stati assolutamente contrari alle staffette in generale – spiega Morettini – Ma abbiamo sempre voluto che si mettessero in evidenza dei fattori di rischio per i cani e le persone, il primo dei quali è che quando si adotta un cane vedendolo solamente da una foto non se ne conosce il carattere. Così abbiamo dato il via a questi incontri in cui proporre una filiera consapevole per adozioni strutturate. Il buon cuore dei volontari spesso non è sufficiente a valutare in maniera professionale un soggetto e capire se questo è adatto per la famiglia di destinazione o per il contesto dove si trova la famiglia».

Roberto Sandri così studia, impara come prendersi cura degli animali e quali leggi vanno rispettate per poterli movimentare. Si aggiorna costantemente e mette lui stesso in piedi quella filiera virtuosa per far sì che sin da subito ci siano tutte le prerogative perché cani e umani possano andare d’accordo quando si incontreranno. Dà vita a “Ciao Ze’”, il cui nome gli viene in mente dopo la morte del suo cane Zeus che avviene a soli sei mesi da quando aveva perso il lavoro. Crea una ditta individuale di trasporto di animali d’affezione che bada a tutte le fasi del percorso adottivo, in collaborazione con volontari ed educatori cinofili tanto del luogo di partenza quanto di quello d’arrivo. Il suo furgone super accessoriato e a misura di cane e gatto è uno dei pochi in Italia ad avere tutto a norma. «Ci sono voluti mesi per capire come orientarmi. Mi recavo alle Asl chiedendo che tipo di documenti dovessi avere e mi ritrovavo persone davanti con gli occhi sbarrati che mai avevano avuto a che fare con persone che prima di iniziare questo lavoro si preoccupavano di essere a posto da tutti i punti di vista. “Se vuole trasportare cani lo faccia e basta”, mi sentivo rispondere. Invece ho fatto un corso specifico per trasportatori e ho preso la cosiddetta “licenza conto terzi”: è un documento importantissimo perché nel nostro ordinamento giuridico gli animali sono considerati delle res, dei beni mobili, e pertanto alla stregua di un qualsiasi oggetto io che sono il trasportatore prendo in carico da una persona il cane di sua proprietà e lo consegno a qualcun altro che sarà il nuovo proprietario. E’ tutto disciplinato dalla legge italiana: è un vero e proprio viaggio commerciale quindi ha finalità economiche e chi lo realizza deve avere anche un’iscrizione alla Camera di Commercio».

Gli aspetti normativi da prendere in considerazione, infatti, sono diversi. «Chiunque trasporti randagi o cani  provenienti da canili e rifugi tra le regioni deve rispettare degli obblighi di legge – spiega Laura Arena, veterinaria esperta in Benessere animale e membro del comitato scientifico di Kodami – Ci sono anche dei requisiti in relazione al trasportatore che deve essere autorizzato, deve dichiarare di avere una formazione, di avere le adeguate strutture, i requisiti sanitari e anche delle procedure standardizzate scritte durante il viaggio». Le normative di riferimento sono il regolamento dell'Unione Europea 1/2005 che ha, però, come grande punto critico di essere maggiormente incentrato sugli animali di interesse zootecnico e non sugli animali d’affezione. «L'Italia per colmare questo vuoto ha stilato delle linee guida sul trasporto. Il mezzo, ad esempio, deve essere omologato e deve rispettare degli standard di igienizzazione e di robustezza delle strutture. Gli animali devono essere sempre accompagnati da documenti ufficiali e importante per loro e per gli adottanti è tutto il profilo sanitario: cani e i gatti devono avere il microchip e essere già iscritti all'anagrafe regionale di destino al momento dell'arrivo. Devono aver fatto i trattamenti per i parassiti interni ed esterni, essere vaccinati contro le principali malattie infettive tipiche delle due specie e aver fatto prove diagnostiche accreditate per Leishmaniosi e Erlichiosi per i cani e FIV FeLV per i gatti». Per quanto riguarda i cuccioli, poi, ci sono regole ancora più stringenti a garanzia degli animali: «Non possono viaggiare se hanno meno di otto settimane – conclude la dottoressa Arena – Se sotto questa età devono essere accompagnati dalla madre. Tutti gli animali provenienti da rifugi e canili devono essere sterilizzati o castrati a meno che non ci siano ragioni particolari che devono essere provate».

Un viaggio con “Ciao Ze’” costa tra i 90 e i 130 euro: «Iva esente perché sono con regime forfettario ma poi ci sono prezzi più bassi per le associazioni. Il rispetto delle leggi sul trasporto, sul benessere animale, sulla tutela sanitaria e tutta una serie di investimenti pesano sul mantenimento di un mezzo che costa ma garantiscono agli animali e agli adottanti che sin dall’inizio la futura vita insieme parta nel migliore modo possibile. Per i cani e i gatti ho applicato una luce blu nel furgone per facilitare il rilassamento dei cani durante il viaggio, uso dei tappetini speciali che drenano la pipì con una spugna assorbente per tenere gli animali asciutti. Le persone in loro attesa li seguo prima, durante e dopo l’adozione. Lavoro al Sud solo con associazioni e volontari che si sono formati e i cani che faccio arrivare al Nord sono stati seguiti con cura e criterio. Sostengo gli adottanti dando loro riferimenti di professionisti nelle loro città e già al primo incontro con gli animali, prima ancora di farli avvicinare, gli spiego come entrare in contatto con cani che hanno comunque subito lo stress di un lungo viaggio, anche se fatto con le maggiori accortezze possibili».

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Quando supportare le staffette da Sud a Nord

Dal punto di vista degli animali e delle famiglie, lato trasporto a parte, Roberto Sandri si preoccupa che venga svolto quel percorso di adozione dunque che anche Matteo Castiglioni mette in piedi prima di accogliere i cani al canile di Voghera: «Molte volte mi sono trovato a dover affrontare con le famiglie dei problemi comportamentali piuttosto importanti che andavano dal disagio ambientale alla vera e propria fobia – spiega il responsabile della parte educativa e riabilitativa del rifugio lombardo – Oggi una parte dei cani che provengono dal Sud arriva attraverso delle collaborazioni strette con associazioni, canili e rifugi di diverse zone del Meridione che prevedono uno spostamento consapevole. Noi chiediamo una valutazione in loco da parte di un professionista e abbiamo creato una rete di colleghi che hanno dato disponibilità gratuitamente per lavorare insieme ai volontari. Quindi, nel momento in cui ci contattano, chiediamo che venga fatta una valutazione comportamentale, sia da un punto di vista del rapporto con gli altri cani che con l’essere umano. Così riusciamo a capire effettivamente se quel soggetto abbia o meno una possibilità di adozione. Se questo meccanismo funziona nel giro di poco tempo si può far salire un altro cane rapidamente».

Ci sono dunque dei modi per riconoscere chi opera davvero per il benessere degli animali e delle famiglie che li adotteranno e anche motivi per cui è giusto sostenere eventuali costi, soprattutto per le spese sanitarie e un trasporto a norma di legge. Tanto se si decide di adottare da un canile della propria zona che da un luogo lontano, le indicazioni per un'adozione consapevole in fondo sono le stesse: affidarsi solo ad associazioni con volontari e educatori con cui instaurare un rapporto diretto e continuativo anche dopo l'arrivo del cane. Professionisti, semplicemente, che seguono il percorso importantissimo che dà inizio a una nuova vita insieme.

La speranza, dunque, alla fine di questo nostro viaggio che si conclude – mentre chissà quanti mezzi nel frattempo sono partiti da una parte all’altra dell’Italia nel solo tempo di lettura di questa inchiesta – è in ogni caso quella di tornare a rimirare le stelle, per dirla di nuovo con Dante. Un appello finale così è da rivolgere a tutti i soggetti coinvolti, a coloro che davvero operano in buona fede e nell’interesse degli animali e alle persone che vogliono accoglierli nelle loro case: è tempo di guardare a uomini e animali entrambi come soggetti di diritto e smetterla di pensare, finanche motivati dalla buona volontà, che siano oggetti, pacchi da spedire in giro.

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  • Video credits:

Regia
Aniello Ferrone

Video Production
Francesca Iandiorio
Simone Iavazzo
Sara Russo
Sergio Frasca

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Diana Letizia
Direttrice editoriale
Giornalista professionista e scrittrice. Laureata in Giurisprudenza, specializzata in Etologia canina al dipartimento di Biologia dell’Università Federico II di Napoli e riabilitatrice e istruttrice cinofila con approccio Cognitivo-Zooantropologico (master conseguito al dipartimento di Medicina Veterinaria dell’Università di Parma). Sono nata a Napoli nel 1974 e ho incontrato Frisk nel 2015. Grazie a lui, un meticcio siciliano, cresciuto a Genova e napoletano d’adozione ho iniziato a guardare il mondo anche attraverso l’osservazione delle altre specie. Kodami è il luogo in cui ho trovato il mio ecosistema: giornalismo e etologia nel segno di un’informazione ad alta qualità di contenuti.
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