«Spezzatino di orso con polenta: 18 euro». Per quanto possa sembrare assurda, questa è la proposta culinaria apparsa alcuni giorni fa nel menù di un ristorante in Provincia di Pordenone, in Friuli Venezia Giulia.
Un fatto simile era accaduto anche pochi mesi fa nella zona del Comelico, in Provincia di Belluno, dove erano intervenuti i Carabinieri della Forestale insieme al personale dell'Asl locale per accertare la provenienza della carne. Lo stesso avvenne anche nel 2011, alla festa della Lega Nord di Imer, in Trentino, dove i Carabinieri del Nas sequestrarono oltre 50 chili di carne di orso di origine sconosciuta.
Sebbene nel nostro paese l'orso goda dello stato di specie protetta infatti, non vige alcun divieto di consumarne la carne, a patto che sia possibile risalire al paese in cui l'animale è stato cacciato, il quale risulta spesso essere la vicina Slovenia, dove la caccia agli orsi è regolamentata e la vendita viene svolta nelle macellerie autorizzate.
Sebbene lo spezzatino di orso non rappresenti quindi un illecito, il fatto che in alcune zone del Nord Est venga inserito nei menù dei locali tradizionali, sta facendo discutere. Per comprendere le potenziali conseguenze etiche di questa scelta, Kodami ha parlato con Simone Pollo, professore di Filosofia morale presso il Dipartimento di Filosofia dell'Università La Sapienza di Roma ed esperto di bioetica. «Soprattutto se le proposte vengono portate avanti in modo fiero, quasi a voler rivendicare con orgoglio un diritto – commenta Pollo – questi eventi rappresentano un'offesa alla sempre più diffusa sensibilità nei confronti del rapporto tra gli esseri umani e le altre specie».
«Non sottovalutiamo il valore simbolico dell'orso»
Nonostante l'impegno dimostrato negli ultimi decenni per la protezione dell'orso, culminato con la realizzazione di un importante progetto di reintroduzione come il Life Ursus nel Parco Naturale Adamello Brenta, la popolazione di orsi delle Alpi italiane non è ancora completamente al sicuro dal rischio di estinzione, soprattutto per via della ridotta variabilità genetica, un elemento che, nei prossimi decenni richiederà un'importante riflessione affinché la conservazione ne venga davvero tutelata.
«Aprire le porte all'abitudine di cibarsi di questo animale non fa altro che andare in direzione opposta rispetto agli atti di protezione della specie – spiega Pollo – Bisognerebbe rafforzare ed estendere il concetto che gli individui non siano in alcun modo utilizzabili per gli scopi umani e dovremmo ragionare su un concetto ancora più ampio di protezione, senza dimenticare che nel nostro Paese l'orso ha un importante valore simbolico».
Sebbene sempre più persone affrontino con piacere la presenza dell'orso, consapevoli del suo valore per gli ecosistemi alpini, rimane ancora una parte della popolazione che preferirebbe azzerare quanto fatto fino ad ora, togliere le tutele e tornare a legalizzarne la caccia, esattamente come si faceva un tempo, prima che proprio noi umani causassimo la quasi totale scomparsa dell'orso (Ursus arctos) dalle Alpi centrali.
«Il modo in cui vengono presentate iniziative alimentari come quella appena pubblicizzata in Friuli Venezia Giulia – sottolinea il professore – dà l'impressione che vi sia una sorta di strumentalizzazione del gesto, nella speranza, forse, di dare forza ad una controcultura che vede il cacciatore come la figura che difende gli animali in un rapporto di competizione sano ed equilibrato». Un orientamento condiviso dal neoministro dell'Agricoltura, Francesco Lollobrigida, che in un videomessaggio diffuso durante la campagna elettorale di questa estate definiva la caccia «un'attività nobile», ed egli stesso ammetteva di essere un cacciatore che contribuisce alla «gestione del popolamento faunistico».
«Tuttavia non c'è nulla di equilibrato quando uno ha un fucile e l'altro no – rileva il filosofo – In questo modo si difende qualcosa che è ormai indifendibile, ovvero un rapporto strumentale inaccettabile, in particolar modo di fronte alle trasformazioni che la società sta portando avanti con sempre più energia, nel tentativo di ricostruire un nuovo rapporto tra ambiente, esseri umani e le altre specie».
Che differenza c'è tra l'orso e le altre specie che siamo abituati leggere sui menù?
Una delle critiche che viene più spesso mossa verso chi è contrario alla presentazione di pietanze a base di orso, infine, è che, secondo alcuni, non vi sarebbe nulla di strano nel proporre la carne di orso al posto di quella di cervo o capriolo, le quali fanno ampiamente parte delle tradizioni gastronomiche locali e vengono abitualmente consumate in quasi tutti i ristoranti e rifugi di montagna.
«Forse da un punto di vista strettamente morale non vi è una differenza sostanziale, perché sono tutti esseri senzienti con capacità cognitive e affettive sofisticate. Sanno godere e apprezzare la propria vita in libertà e vivere esistenze piene e fiorenti, in linea con le loro necessità etologiche – commenta il filosofo – Da un punto di vista storico culturale, però, non possiamo sottovalutare la maggiore sensibilità diffusa nei confronti dell'orso, che per molti italiani rappresenta il simbolo di un'idea di natura. L'atto di mangiare un animale è sempre un gesto predatorio, capace di determinare un'appropriazione e un dominio sulle specie viventi. Lo è ancora di più se l'animale viene privato del diritto di vivere solo per essere strumentalizzato e diventare un "piatto raro"».