Negli ultimi anni gli scienziati hanno segnalato un numero sempre maggiore di mammiferi che riflettono la luce ultravioletta (UV), un fenomeno – molto raro in natura – definito dalla fisica fluorescenza. Mediante questo processo, una sostanza chimica sulla superficie di un organismo assorbe la luce e la emette a lunghezze d'onda più lunghe e a energia inferiore. A parlarne è stata una recente ricerca, pubblicata su Royal Society Open Science.
Tra i mammiferi che sono risultati capaci di emettere questa tipologia di bagliore abbiamo diverse specie che non sono nemmeno lontanamente imparentate fra di loro, come l'ornitorinco, il gatto domestico, i vombati, gli armadilli, gli orsi polari, le zebre, alcune tipologie di pipistrelli, delfini, diversi felini, fra cui il leopardo e gli stessi esseri umani.
E visto che il fenomeno sembrava esageratamente diffuso, gli autori dell'articolo (provenienti dalla Curtin University di Bentley e dalla Queensland University di Brisbane in Australia) hanno anche testato le sostanze utilizzate nei processi di conservazione dei campioni biologici, come la formalina, sospettando che siano queste a dotare gli animali conservati di questa particolare colorazione. I test tuttavia sono tutti falliti e le prove effettuate sugli organismi viventi hanno confermato i dati ottenuti tramite gli animali imbalsamati.
Come mai però improvvisamente gli scienziati hanno iniziato a rendersi conto che molti mammiferi sono in grado di emettere fluorescenza? E come ci riescono? A rispondere a queste domande sono stati gli stessi ricercatori, che con Kenny J. Travouillon, l'autore principale dello studio, hanno diffuso anche una comunicazione. «Tra i mammiferi, i primi rapporti sulla fluorescenza emessa dai mammiferi riguardavano i conigli e gli esseri umani e furono pubblicati nel 1911 all'interno delle riviste di scienze forensi. Le più recenti osservazioni riguardano invece gli scoiattoli volanti del Nuovo Mondo, le lepri saltatrici, gli ornitorinchi, i ghiri e altre varietà di altri roditori. Probabilmente la ricerca ha riscoperto questo fenomeno recentemente solo perché non erano in molti a studiare gli animali sotto ad una lampadina ad ultravioletti, che ricordiamo essere più presente nelle discoteche e nelle scene del crimine che all'interno dei laboratori di zoologia».
La maggioranza dei mammiferi riesce a essere fluorescente grazie alle proteine o ai pigmenti che sono presenti nella pelle o nel pelo, ma in taluni casi a essere fluorescenti sono stati anche gli artigli o gli aculei, che solitamente sono ricoperti di cheratina. «Abbiamo trovato chiare prove di fluorescenza nella pelliccia bianca, nelle spine e persino nelle unghie dei koala, dei diavoli della Tasmania, degli echidna dal becco corto, dei vombati dal naso peloso del sud, dei bandicoot, dei bilby maggiori e anche dei gatti. In questo caso ovviamente la pelliccia bianca accentua il fenomeno, mentre una pelliccia di pigmentazione scura emetterà meno fluorescenza. Ad esempio, le strisce bianche di una zebra erano fluorescenti mentre le strisce scure no. Abbiamo studiato davvero tantissimi mammiferi, eppure l'unico grande clade mancante nel nostro set di dati è quello dei lemuri, un gruppo che richiede ulteriori indagini per la presenza di luminescenza».
Secondo gli autori, la fluorescenza è inoltre molto più comune e più intensa tra le specie notturne e quelle con abitudini terrestri, arboree e scavatrici, che presentano tutte almeno una parte specifica del loro corpo che risulta maggiormente fluorescente. Gli animali diurni e degli ambienti aperti, invece, riescono a emettere meno luce quando sottoposti a raggi UV, tranne alcune eccezioni, come l'uomo, che presenta liquidi corporei, capelli e denti particolarmente fluorescenti.
In totale quindi i ricercatori australiani, aiutati anche dagli esperti del Western Australian Museum, hanno contato ben 125 specie di mammiferi – rappresentanti di tutti gli ordini conosciuti – capaci di emettere fluorescenza. Tuttavia non è ancora chiaro se questo fenomeno abbia un ruolo biologico specifico nei mammiferi, seppur sia possibile effettuare alcune ipotesi. «La fluorescenza sembra essere una proprietà onnipresente della pelliccia e della pelle non pigmentate – chiarisce Travouillon – ma potrebbe anche funzionare per far apparire queste aree più luminose rispetto alle aree più scure. La fluorescenza quindi potrebbe servire per migliorare la segnalazione visiva, soprattutto nelle specie notturne».