Dopo i primi articoli su Kodami mi sento già più vicino a voi e non posso che ringraziarvi per l’affetto e le risposte positive che mi avete dato fin ora. A pensarci bene le relazioni sono così: una geometria mentale che ci fa sentire più vicini o più lontani dagli altri, a seconda delle sensazioni che proviamo. Queste vicinanze o lontananze relazionali non sono misurabili con il righello, ma sono rappresentazioni mentali dove il sistema metrico perde valore. Possiamo sentirci vicini a chi ci è fisicamente lontano e contemporaneamente lontani da chi abita con noi. La mente, l'Io, la personalità, non sono una nostra proprietà esclusiva ma elementi soggettivi composti da una miscela psichica che condividiamo con gli altri e che in ogni istante si genera da quel processo alchemico che chiamiamo relazione. Eppure durante la nostra crescita come individui si creano nel nostro parlare anche modi di dire che poco hanno a che fare appunto con la realtà di ogni individuo, come quando guardando i cani si usa dire: “Meglio loro..”.
Il bambino, come il cane, coglie la diversità senza distanze
Il cane con la sua fedeltà ci ricorda che, come esseri sociali, siamo fatti non solo di carne ed ossa ma anche di esperienze che ogni giorno condividiamo. Sono padre da cinque anni e posso dirvi che i bambini non mitizzano i genitori ma fanno qualcosa di molto più profondo. Non riusciamo a capirlo solo perché siamo degli adulti presuntuosi. Il bambino, nei suoi primi anni di vita, idealizza e non esprime giudizi nei confronti dei genitori, non perché non ha ancora sviluppato una sua morale, quanto piuttosto, sta interpretando nella relazione quella forza vitale che, non giudica ma accoglie, accetta e non subisce, resta adattabile senza adattarsi. Il bambino, come il cane, coglie la diversità senza metterla a distanza. Entrambi, nell’accettare senza mezzi termini le figure di riferimento, interpretano il codice sorgente della relazione sociale. Per questo motivo con sincerità e naturalezza sono capaci di evocare i comportamenti di accudimento. Senza far leva sul senso di colpa, il bambino ed il cane, in rappresentanza di due specie altamente sociali, spingono l’umano adulto a prendersi cura di loro.
L’adolescenza nel cane e nell’uomo stravolge le regole
Le convergenze etologiche tra cane ed umano, presenti nell’età infantile, tendono però a diversificarsi nella fase dell’adolescenza, dove anche il cane prova a sovvertire le regole e a mettere in crisi il sistema relazionale vissuto fino a quel momento. Mentre l’essere umano nella transizione adolescenziale si prepara all’emancipazione verso l’età adulta, al contrario il cane mette un timbro di fedeltà all’alleanza di specie con l’essere umano, elevando la sua condizione di Pet (animale da compagnia), dalla semplice convivenza all’amicizia. Il cane si fa adulto senza distaccarsi, al contrario dell’essere umano (soprattutto quello di oggi) ed in ciò realizza quella missione di specie inscritta nel millenario processo di domesticazione.
Cosa vuol dire diventare adulto per il cane di casa
Divenire adulti per il “pet” però non significa solo esercitare fedeltà e raggiungere l’intesa con l’umano ma anche maturare specifiche competenze che ne delineano la personalità, come unica ed irripetibile, ricca di quelle mille sfumature caratteriali e declinazioni attitudinali che consentono ad ognuno di differenziarsi dagli altri. Ricordate? Ci sono infiniti modi di essere Rottweiler. Se da ciò state deducendo che il cane rimane sempre buono e fedele, mentre al contrario l’essere umano nel crescere tende a tradire i legami, siete sulla strada sbagliata. Quante volte avrete sentito dire: «Meglio loro che gli esseri umani».
Konrad Lorenz, il fondatore dell’etologia, a questa affermazione, in uno dei suoi testi più importanti, risponde: «L’odio per l’uomo e l’amore per le bestie sono una pessima combinazione … colui che deluso ed amareggiato dalle debolezze umane toglie il suo amore all’umanità per darlo ad un cane o ad un gatto, commette senza dubbio alcuno un grave peccato, vorrei dire un atto di ripugnante perversione sociale». Sapete perché?
Il cane non è sempre buono e fedele
Udite, udite! Il cane non è sempre buono e fedele. Se infatti siamo disposti a riconoscergli una personalità dobbiamo anche ammettere che è in grado di esprimere, non una ma, l’intera galassia delle azioni sociali e che solo in base alle situazioni specifiche, di volta in volta potremo giudicarne i comportamenti come positivi, negativi o ambigui. Ad esempio, tra i cani randagi possiamo osservare tanti modi diversi di essere leader all’interno di un gruppo. Possiamo trovare un leader equilibrato, ponderato nelle decisioni e gentile con i suoi affiliati, così come osservare un profilo dalle caratteristiche opposte. Oppure, siamo sicuri che tutte le cagne femmine sappiano svolgere correttamente il loro ruolo di mamma? La risposta naturalmente è che esistono mamme brave con i cuccioli ed altre che non sono portate a farlo. Appartenere alla specie cane non è garanzia di nobiltà d’animo e costante espressione di comportamenti positivi, esattamente come “essere migrante” non connota la persona ma solo una condizione socio-politica di provenienza.
Più che sostenere che “l’abito non fa il monaco”, a questo punto, dovremmo affermare che “la specie non fa il soggetto”. Perciò non è corretto dire : «…loro sono meglio di noi». Il cane (Canis lupus familiaris) si è evoluto con la nostra specie (Homo sapiens) perché possiede un modo molto simile al nostro di organizzarsi socialmente ed entrambi abbiamo personalità che possono essere valutate solo per le azioni compiute e non per la specie e la razza a cui apparteniamo.