Non una, non due, ma ben quattro condanne per maltrattamento di animali. Eppure la pena, per un allevatore di maiali svizzero, non ha contemplato il carcere, ma una multa da 16.500 franchi, corrispondenti a un’ammenda giornaliera di 550 franchi per 30 giorni.
La storia arriva dalla regione di La Gruyère, distretto di lingua francese del Canton Friburgo, in Svizzera. L’uomo, hanno riferito i quotidiani locali, era noto ai servizi cantonali veterinari proprio per le diverse segnalazioni riguardanti il modo in cui tratta i maiali che alleva. Un sopralluogo da parte degli ispettori aveva dimostrato come gli animali venissero tenuti in condizioni igienico sanitarie pessime, sporchi e in molti casi malati o denutriti, ed erano stati registrati casi di cannibalismo all’interno dei box per la scarsità di cibo. I servizi veterinari avevano intimato all’allevatore di prendere provvedimenti e garantire il benessere degli animali, ma un secondo sopralluogo effettuato tre mesi dopo aveva confermato la situazione già registrata e aspetti se possibile peggiori: in un box era stato trovato un maiale morto e altri tre malati tenuti insieme agli altri.
Gli ispettori avevano quindi segnalato il caso alla procura, che ha condannato l’allevatore prevedendo appunto una multa, senza stabilire alcun divieto di tenere animali nonostante la recidiva. Una decisione che ha inevitabilmente suscitato le proteste delle associazioni animaliste, in particolare della no-profit Ecologie et Altruisme, che ha deciso di lanciare una petizione finalizzata a chiedere un inasprimento delle pene (e controlli più serrati) per chi maltratta gli animali.
«In Svizzera, un allevamento di polli può ospitare fino a 27.000 individui. Per quanto riguarda i maiali, possono essere rinchiusi a 1.500 in un edificio dove non vedono mai la luce del giorno. Solo il 12% degli animali allevati in Svizzera ha accesso a un pascolo all'aperto – spiegano dall’associazione – Oltre a queste carenze legislative, i rari articoli a tutela degli animali sono applicati in modo estremamente permissivo dalle autorità. Capita spesso che individui o associazioni animaliste che vengono a conoscenza di un caso di maltrattamento di animali in un allevamento chiamino la polizia affinché quest'ultima possa accertare i fatti, e che gli agenti di polizia che arrivano sul posto non sappiano assolutamente nulla degli standard minimi di detenzione di animali».
«Troppi pubblici ministeri tendono ad abbandonare o archiviare i casi di maltrattamento»
Anche i pubblici ministeri, proseguono da Ecologie y Altruisme, tendono ad abbandonare i casi relativi a denunce per maltrattamento animale, «spesso ritenendo di avere casi più importanti su cui lavorare che riguardano l'uomo. Ne consegue che il tasso di decisioni di non andare a giudizio o di archiviare casi che riguardano abusi su animali è estremamente elevato».
Da qui la decisione di presentare una petizione indirizzata ai parlamenti cantonali, in cui vengono varie richieste tra cui l’individuazione di uno o più pubblici ministeri incaricati di perseguire reati relativi a maltrattamento animali, investire sulla formazione giuridica e legale di forze dell’ordine e pubblici ministeri in relazione a questo tipo di reato, creare un’unità investigativa ad hoc e inasprire le pene, chiedendo alle autorità veterinarie e ai pubblici ministeri di prendere seriamente in considerazione il divieto di detenzione di animali per qualsiasi imputato che abbia già più di due condanne penali per abusi su animali.
Anche in Italia la battaglia per inasprire le pene per maltrattamento
Anche in Italia da tempo le associazioni di battono per una revisione del codice penale in materia di maltrattamento animale e un inasprimento delle pene. A oggi nel nostro sistema giuridico il maltrattamento è disciplinato dagli articoli 544 bis e ter, che esplicitano come la tutela degli animali non sia garantita in senso assoluto, ma solo in presenza di determinate condizioni quali la “crudeltà e l'assenza di necessità” della condotta.
Gli articoli stabiliscono che «chiunque, per crudeltà o senza necessità, cagiona la morte di un animale è punito con la reclusione da quattro mesi a due anni» e Chiunque, per crudeltà o senza necessità, cagiona una lesione ad un animale ovvero lo sottopone a sevizie o a comportamenti o a fatiche o a lavori insopportabili per le sue caratteristiche etologiche è punito con la reclusione da tre mesi a diciotto mesi o con la multa da 5.000 a 30.000 euro». Il 544 ter prevede la stessa pena per chi somministra agli animali sostanze stupefacenti o vietate o trattamenti che procurano un danno alla salute degli stessi. La pena per il maltrattamento aumenta della metà se dalla condotta ne deriva la morte dell’animale.
Negli ultimi tempi la sensibilità sul tema da parte delle forze dell’ordine e da parte dei pubblici ministeri e dei giudici sembra essere aumentata. Diversi casi – anche se ancora troppo pochi – arrivano nelle aule di tribunale, e spesso si chiudono con una condanna. L’entità delle pene, però, per le associazioni e per gli attivisti per i diritti animali è ancora lieve, troppo per poter fungere da adeguato deterrente a reati così atroci. Il carcere è inoltre spesso l’ultima ratio, e in moltissimi casi la pena è esclusivamente pecuniaria. Le richieste di revisione sono quindi aumentate, soprattutto dopo che la tutela degli animali è stata finalmente riconosciuta ed esplicitata in Costituzione.
Attualmente in Senato sono in discussione, in proposito, nove disegni di legge. La maggior parte di essi ha l'obiettivo di modificare il Codice penale rafforzando le disposizioni in materia di reati contro gli animali, in particolare il ddl “Proteggi Animali” del senatore Gianluca Perilli, testo molto corposo, composto da 12 articoli, che mira a introdurre una maggiore severità delle pene e delle sanzioni amministrative nei casi di illeciti nei confronti degli animali.