È iniziato lunedì il processo ad un allevatore della provincia di Venezia e a un suo dipendente per il maltrattamento di alcune mucche e per averne uccisa una malata senza previo stordimento. È un passo davvero importante sul cammino che porta al riconoscimento della sofferenza animale e della sua importanza nella qualità della vita di milioni di esemplari che, ogni giorno, vengono mandati al macello.
Il processo
Il processo si è aperto il 19 luglio a seguito di un’indagine realizzata da attivisti di Essere Animali nel dicembre 2018. Le immagini delle violenze perpetrate sulle mucche indifese, l’inutilità delle percosse, la mancanza di umanità nell’uccidere un’animale malato e già sofferente impartendogli ulteriore e gratuita sofferenza assolutamente evitabile, colpirono i milioni di persone che seguirono il servizio giornalistico realizzato dal TG1 Rai. I Carabinieri Forestali di Venezia fecero il resto: investigarono e aprirono un processo per presunto reato di maltrattamento in via continuata. Entrambi gli imputati sono quindi stati rinviati a giudizio «per aver arrecato senza necessità agli animali nella propria cura e custodia delle lesioni, sottoponendoli a sevizie che cagionavano agli stessi inutili sofferenze».
L’associazione Essere Animali costituita parte civile
Essere Animali, dalle cui investigazioni è nato il processo, nel corso della prima udienza si è costituita parte civile nei confronti dei due imputati. «Lo abbiamo fatto – spiega il presidente Simone Montuschi – al fine di ottenere la condanna per i reati che vengono loro contestati, anche con l’aiuto dei nostri consulenti tecnici. Un’eventuale condanna farebbe giurisprudenza, avendo così anche efficacia deterrente verso altri allevatori, affinché si astengano da comportamenti così violenti verso gli animali».
Di cosa sono accusati i due imputati
La cosa importante di questo processo sono i capi di imputazione, perché mettono in primo piano la sofferenza degli animali e l’assoluta mancanza di empatia nei loro confronti testimoniata da comportamenti che potrebbero essere facilmente evitati. Il primo episodio contestato al titolare dell’azienda agricola e ad un operatore con il ruolo di capo-stalla è «l’uccisione di una mucca per iugulazione, senza aver previamente proceduto al suo stordimento. Questo animale è morto tra sofferenze atroci, dopo essere stato abbandonato per due giorni, senza acqua né cibo, in un recinto esterno» spiegaMontuschi. Poi ci sono le percosse con bastoni alle mucche che tardavano negli spostamenti e infine l’utilizzo di un termocauterizzatore senza controllo veterinario per la decornazione di sei vitelli di 55 giorni, in violazione dei dettami di legge. «La normativa infatti – spiega ancora Montuschi – consente la cauterizzazione dell’abbozzo corneale, per limitare il rischio di ferite degli operatori dell’allevamento, ma solamente se eseguita al di sotto delle tre settimane di vita, sotto il controllo di medico veterinario e con l’utilizzo di anestesia e analgesia».
Le indagini sotto copertura
«Gli allevamenti intensivi sono luoghi crudeli verso gli animali, privati di soddisfare le più elementari esigenze etologiche, rinchiusi a vita in gabbie o recinti – spiega Montuschi – sono luoghi crudeli anche verso chi vi lavora, perché sono i ritmi intensivi di produzione e la mentalità diffusa in queste aziende che spingono gli operatori a diventare completamente desensibilizzati verso animali che la legge consente di mutilare, rinchiudere, sfruttare fino allo sfinimento. I maltrattamenti ne sono una conseguenza. E sappiamo che non sono casi isolati». Essere Animali, che produce video inchieste sotto copertura per testimoniare queste violenze e proporle alle istituzioni perché vigilino sull’attuazione delle leggi, ha già effettuato una trentina di queste inchieste all’interno di allevamenti intensivi e macelli. «Con le nostre investigazioni abbiamo già documentati molti casi, in tutte le zone d'Italia, in tutte le tipologie di allevamento. Sappiamo che sono condotte che esistono: una condanna sarebbe un deterrente importante».
La video inchiesta da cui è nato il caso
Nel 2018 un attivista dell’associazione era riuscito a girare immagini di grande violenza nei confronti degli animali presenti in due grandi allevamenti intensivi a Venezia e a Ravenna. «Le indagini sono davvero molto stressanti – puntualizza Montuschi – chi le fa deve avere una preparazione adeguata ed essere pronto psicologicamente. Oltre al timore di essere scoperti, infatti, bisogna tenere presente l’impatto psicologico: vedere gli animali soffrire senza poter intervenire non è affatto facile». Mentre lavorano ad altre inchieste, aspettano la prossima udienza fissata a settembre. «Il lavoro di investigazione e quello del team legale sono fondamentali – conclude Montuschi – stiamo smascherando e contrastando realtà che altrimenti sarebbero rimaste completamente invisibili, perpetuate all'infinito, sconosciute ai consumatori».