«Non me ne frega niente di me, desidero solo che questi animali non vengano toccati», così Emanuele Zacchini, volontario della Sfattoria degli Ultimi parla a Kodami della prospettiva di assistere all’abbattimento dei suidi ospiti del rifugio.
L'abbattimento era stato comunicato dall’Asl in maniera informale nel corso di un controllo all’inizio di luglio, tuttavia a più di un mese di distanza l’atto ufficiale non era stato ancora notificato fino a ieri, quando il provvedimento di abbattimento è arrivato nelle mani di Federica Samaritani, fondatrice del rifugio.
Immediatamente Samaritani ha fatto sapere che farà ricorso al Tar per opporsi all’uccisione degli animali, tutti sani, presenti nella struttura. Il ricorso partirà ufficialmente domani. Nel frattempo, però, il timore che i funzionari possano arrivare alla Sfattoria è altissimo, e per questo numerosi attivisti e esponenti politici nelle scorse ore hanno manifestato la propria solidarietà organizzando picchetti virtuali e in alcuni casi recandosi di persona al rifugio.
L’avvento della peste suina africana a gennaio 2022 prima in Piemonte e Liguria, e poi nel Lazio, ha decretato l’avvio di una politica di contenimento basata su due direttive: l’individuazione di aree soggette a restrizioni crescenti e il depopolamento degli animali all’interno del focolaio principale.
A seguito del ritrovamento di un cinghiale morto nel parco dell’Insugherata a Roma, la “zona rossa” è stata ampliata fino a toccare la Sfattoria che adesso deve affrontare la decisione dell’abbattimento immediato di tutti i suidi, sia domestici che selvatici.
Un gruppo di macchine già da questa mattina ha bloccato l’accesso principale alla Sfattoria, mentre a poca distanza una volante dei Carabinieri monitora il sit-in.
Sul posto sono arrivati anche i volontari di numerose associazioni e rifugi, come il Santuario Capra Libera Tutti di Massimo Manni che a Kodami spiega: «Sta avvenendo una vera prevaricazione verso più deboli. Lo Stato non tiene conto del nostro lavoro né della sensibilità di quanti in queste settimane hanno dimostrato solidarietà alla Sfattoria. Una vicinanza straordinaria se si pensa che il governo stesso e molti media da mesi descrivono il cinghiale come il "nemico numero uno"».
Manni, che Kodami ha incontrato nel suo Santuario dove ridà una nuova vita agli animali degli allevamenti, aggiunge che «La Lav e la Rete dei Santuari Liberi in Liguria mesi fa hanno chiesto una deroga agli abbattimenti nei rifugi. La deroga è stata accettata ed è stato stabilito che in presenza di specifiche misure di biosicurezza, i maiali non dpa, cioé non destinati alla produzione, non siano abbattuti. La Regione Lazio, tuttavia, ha scelto di agire diversamente».
Anche Sara D’Angelo, referente della Rete dei Santuari Liberi, sottolinea che proprio in virtù della eterogeneità della situazione «la Sfattoria potrebbe essere il primo di tanti casi analoghi. I rifugi rischiano di finire stritolati dalle norme imposte per gli allevamenti dove gli animali sono considerati come oggetti. Noi invece vogliamo essere messi al di fuori delle logiche produttive, e vogliamo che animali non dpa non sottostiano a parametri e sistemi di controllo analoghi a quelli esistenti negli allevamenti. Nella catena produttiva si sta attenti a qualità della merce, nei rifugi si fa attenzione alla qualità della vita degli individui».
Si tratta di una differenza sostanziale non riconosciuta all'interno del provvedimento di abbattimento, che Kodami ha visionato, e nel quale si legge che solo 2 dei 130 suidi di Samaritani saranno riconosciuti come non dpa, e quindi potranno essere salvati. I restanti dovranno essere uccisi, anche se tutti i maiali sono stati censiti dalla Asl stessa come non destinati al “consumo alimentare”.
Sulla questione sono intervenute anche le associazioni nazionali di protezione animale come l'Oipa, il cui presidente Massimo Comparotto ha dichiarato: «Il diffondersi, assai limitato, della peste suina africana, una malattia virale che colpisce i suini domestici e selvatici, non si trasmette all’uomo e dunque non sussiste alcun pericolo per la salute umana. Ci chiediamo dunque perché l’Azienda sanitaria abbia preso questa tragica decisione. E, se necessario, lo chiederemo anche nelle Aule giudiziarie».
Un pasticcio burocratico non facilitato dalla particolare situazione in cui versa la Sfattoria, giudicata carente dal punto di vista della biosicurezza: «Appositamente abbiamo contattato un professionista che ci ha spiegato come adeguare la struttura alle richieste della legge», rivendica Samaritani.
Inoltre, gli ispettori dalla prima visita del luglio 2021 ad oggi hanno registrato la costante crescita del numero di ospiti: suini, cinghiali e anche ibridi. A giocare a sfavore di Samaritani persino il microchip che ha scelto di apporre a tutti gli animali: «Lo abbiamo fatto per garantire ancora una maggiore tracciabilità – spiega la fondatrice del rifugio – E per segnare una netta differenza tra le piastrine dei maiali da allevamento, e il chip che viene apposto agli animali che solitamente vivono nelle nostre case».
Per l'Asl di Roma invece la pratica è stata eseguita «in violazione delle norme sull'identificazione degli animali».
Alla luce delle criticità, quello che ora chiedono gli attivisti è che siano emendate le zone d'ombra, lasciate tali innanzitutto da una legge che non prevede il riconoscimento dei rifugi per animali da allevamento, e che non si cerchi nell'uccisione estemporanea la soluzione a un problema strutturale.
«Vogliono abbattere tutti i nostri suidi- conclude Samaritani – senza rendersi conto che non li lasceremo morire, perché sono loro che hanno salvato la vita a noi».