Sirio era un Segugio maremmano: un cagnoletto di qualche decina di chilogrammi che sicuramente era arrivato fra le campagne che circondavano il canile spinto dagli odori degli altri cani e dalla fame. In Toscana, come in tante altre zone, assistiamo impotenti spesso al fenomeno del ritrovamento dei cani da caccia, barcamenandoci tra una legislazione praticamente inutile e una regolamentazione che non ne prevede né la tutela né il benessere. Il più delle volte i cani destinati alla caccia, infatti, vivono da subito condizioni di detenzione al limite della sopportazione fisica e psichica: in spazi ristretti, alimentati sporadicamente, portati a lavoro solo per alcuni mesi l’anno senza la possibilità di fare nessuna esperienza di vita soddisfacente se non quella inerente all'attività venatoria.
La maggior parte dei cani come Sirio vive i processi di socializzazione all’uomo e agli altri cani come un imbuto: si restringono le possibilità di contatto con altri cani se non limitatamente ai gruppi della muta e rispetto alle persone, ovvero nel rapportarsi al massimo a colui che pratica le attività di caccia in loro compagnia. I Segugi maremmani sono una razza di cani particolarmente ostinata e abile nel lavoro di gruppo e la loro taglia contenuta gli permette di essere abili e veloci negli accerchiamenti della preda, riuscendosi a ficcare in spazi angusti e superando le criticità di un paesaggio aspro e impervio come la maremma. Sirio era un segugio particolarmente bello, almeno quando riacquistò peso e salute, ed era diventato un cane eccezionale: un pelo lucido tigrato con sfumature brillanti, un muso sempre a terra con un naso che scansionava come un radar senza lasciare nulla al caso e due occhi color ambra, profondi come quelli di chi nei boschi ne ha viste tante. Il nostro unico problema, come capita spesso quando viene segnalato un cane da caccia sul territorio e vagante, era riuscire a prenderlo. I cani da caccia che si perdono o vengono abbandonati sono infatti cani di grande resistenza fisica, che spesso tengono distanze importanti dalle persone e sono abituati a gestirsi su spazi molto vasti. La scarsa socializzazione alle persone li rende difficili da avvicinare anche se aiutati da altri cani e la loro poca esperienza in ambito sociale non gli rende appetibile quasi nulla, neanche se stretti dai morsi della fame. Sarebbe stata un'impresa: lo sapevamo già, ma Sirio era in uno stato evidente di abbandono e incuria e dovevamo tentare con qualsiasi mezzo ad aiutarlo, facendo appello a tutta la nostra intelligenza.
Sirio: un rebus che sembrava impossibile da decifrare
Le avevamo provate già tutte per riuscire ad avvicinare quel cagnetto che ormai girellava intorno i prati del canile da settimane. La notte probabilmente dormiva nel bosco al riparo, in quei giorni di piogge interminabili che si susseguivano da un mese. Il pensiero che fosse fradicio e infreddolito era diventato un tarlo ma conoscevo la resistenza fisica dei segugi: mi preoccupava molto di più che seppur sempre a diversi metri di distanza da noi, potevo contargli esattamente le costole una ad una. Non potevamo lasciargli del cibo perché c’era il rischio che fosse mangiato dai selvatici della zona e questo genere di pratica è assolutamente controproducente per tutti, animali in primis. In nostra presenza, seppur con le dovute distanze, non si avvicinava per mangiare e neanche ronzargli attorno coi nostri cani più tranquilli del rifugio era servito a molto. I nostri stessi cani fuori non mostravano segnali di volerlo avvicinare in nessun modo e Sirio alla loro vista correva di nuovo a rintanarsi tra gli alberi. Avevo lasciato la mia auto al limitare del bosco con del cibo dentro, convinta che prima o poi quel gesto tanto semplice quanto quotidiano che aveva sicuramente imparato, di salire in auto per le avventure di caccia, lo potesse riproporre e non tanto perché ci avrebbe permesso di prenderlo ma almeno di alimentarlo e rimetterlo un po’ in forze.
Nulla: ogni tentativo sembrava vano. Eravamo lì lì per perdere le speranze quando un giorno ricevemmo una chiamata da un signore che abitava poco distante da noi e che nel suo pezzettino di terra era solito ogni giorno lavorare per coltivare qualche cosa e far scorazzare le sue gallinelle. Ci chiamò dicendo che era entrato un cane nel suo pollaio e se potevamo andare a prendercelo perché non gli sembrava che stesse benissimo. Mi precipitai giù per la strada del campo davanti al rifugio fino al suo fazzoletto di orto, convinta che avrei trovato il solito cane scappato da qualche casa vicino che aveva fatto fuori un paio di galline e mi sarebbe toccato discutere col vecchietto. E invece trovai, esausto e fradicio, un cane che al primo sguardo mi parve subito proprio Sirio. Era lui, non avevo dubbi: stanco da settimane di vagabondaggio, affamato e, come scoprimmo poi, malato e anziano. Fui sorpresa e il contadino non smetteva di dirmi che gli pareva fosse in cattive condizioni di salute e che non aveva toccate le sue galline. Non riusciva a capire come fosse riuscito ad entrare perché lui chiudeva sempre tutto molto bene per salvare gli animali dalle volpi. Mi dovetti avvicinare e Sirio tentò invano una fuga, stremato, che si limitò ad uno scatto del corpo e degli arti: ci fissammo negli occhi per alcuni secondi interminabili. Io sapevo che era devastato e lo stavo implorando con gli occhi di non mordermi e lasciarsi aiutare. Con lo sguardo preoccupato, lui mi fissava con una dignità che mi gelò il sangue come un cane che sapeva esattamente chi fossi, sapeva che non sarei riuscita “a comprarlo” in nessun modo e poi decise di lasciarsi andare. Pochi secondi, interminabili, in cui nella mia testa cercavo con i pensieri di spingerlo a lasciarsi aiutare ma il mio cuore tradiva l’emozione e combatteva per non forzarlo. Chi ero io per pretendere forzatamente una fiducia che lui stesso non aveva voluto concedermi nelle settimane prima? Non potevo comunque lasciarlo lì: lo presi in braccio e lo caricai a peso risalendo la strada del rifugio, combattuta come poche volte in vita mia e lui, esausto, abbandonato con tutto il peso della stanchezza e della sconfitta che lo aveva fermato dentro quel piccolo fazzoletto di orto.
Un nome, un destino: Sirio, ciò che risplende
Ci vollero tante settimane prima che Sirio si rimettesse in forma: il veterinario aveva stimato un’età di circa dieci anni, acciacchi di vario tipo e un cuore ballerino a cui il digiuno, le zecche e il vagabondaggio avevano dato un bel colpo. Lo avevo chiamato Sirio, un nome che mi ronzava in testa da molto prima che si lasciasse prendere. Sirio è una stella della costellazione del Cane Maggiore, è molto luminosa e il nome significa proprio: “ciò che risplende”. Sirio è una stella particolare perché in realtà non emetterebbe molta luce nonostante la vicinanza al sole eppure brilla in modo importante perché è dotata di luce intrinseca: splende senza necessità che ne attinga altra. Mi sembrò un nome appropriato per lui: quel cane era consumato e spento da tempo, ormai a fine del suo percorso vista l’età e il suo cuore stanco ma in quei mesi era rifiorito, tornando a brillare e a trotterellare. Purtroppo gli spazi del rifugio non sono mai a misura di cane, figuriamoci di cani come lui che avrebbero, nonostante tutte le cure e le attenzioni del caso, comunque mantenuto da noi delle distanze importanti fino alla fine. Ogni sguardo di troppo e ogni avvicinamento erano una difficoltà grande e quello stress non aiutava certo a mantenere il suo stato di saluto già provato al meglio. Appena possibile decidemmo di spostarlo e portai Sirio da me: visse ancora pochi mesi fino al momento in cui il suo cuore tradì la sua vera età e la stanchezza del suo corpo.
Non chiesi mai a Sirio di entrare in casa mia, lo sistemai fuori al coperto lasciandogli a disposizione ogni centimetro di verde e rispettando il fatto che il più delle volte amava continuare a dormire fra l’erba, sotto un tetto di stelle piuttosto che sul materasso e la cuccia che gli avevo sistemato. Non chiesi mai a Sirio di interagire e stare coi miei cani: sapevo che non ne aveva voglia e non vedeva in questo un’opportunità per lui. Non chiesi mai a Sirio di sforzarsi di mangiare in mia presenza e questo rimase il patto di amicizia e rispetto che c’era fra noi. Un pomeriggio lo trovai acciambellato come se dormisse, sul punto più alto del muretto del giardino che guardava verso la collina di fronte dove di solito tramonta il sole.
Ho pensato che se n’era andato semplicemente così, in un soffio, rivolto verso quella libertà che in fondo non aveva mai avuto ma che tutto sommato avevo cercato di rispettare. Nonostante tutto, mi ero sforzata di dargli per qualche mese la possibilità di essere davvero e fino in fondo un cane libero da sete, fame, dolore. Nonostante i miei errori, nonostante dalle persone non si aspettasse nulla, Sirio per quel poco tempo era stato più libero che in tanti anni di gabbia a servizio di qualcuno.
Non fermatevi all’apparenza quando volete adottare un cane: non sempre vi arriva vicino scodinzolando… ma anche chi non lo fa, se vivete in un ambiente adeguato, può essere una presenza rispettosa e vicina nelle vostre vite. I cani, meritano sempre una seconda possibilità.