Non solo gli esseri umani, ma anche gli animali domestici sono vittime delle guerre e delle violenze. E’ questo che ha spinto un gruppo di volontari ad avviare il progetto “Animals Syria-Cat Connect”, con l’obiettivo di aiutare gatti e anche cani della Siria ad arrivare in Europa per essere adottati da famiglie che li accolgano.
Tra i protagonisti di questa storia c’è Rawaa Kilani, siriana che vive ora nei Paesi Bassi. E’ lei a raccontare perché sono nati questi “corridoi umanitari” dedicati ai quattro zampe. «Amo gli animali sin dall’infanzia: allora nutrivo i gatti randagi nel mio quartiere, a Damasco – spiega a Kodami Rawaa, la cui storia è stata raccontata anche dalla docuserie Dogs, su Netflix – Un giorno ho trovato una gattina ferita per strada e sapevo che non sarebbe sopravvissuta senza il mio aiuto. Alcuni bambini le avevano tagliato le zampe posteriori e continuava a sanguinare. L'ho portata di corsa alla clinica veterinaria e, dopo le cure, l’ho adottata».
La gatta è andata con lei in Europa e la sua storia ha portato alla nascita di Cat Connect nel 2011. «Quattro anni dopo quell'incontro in Siria con la micia ho conosciuto una donna, nei Paesi Bassi, che voleva adottare un gatto con bisogni speciali. Così ha scelto la mia gattina – prosegue – In quel momento abbiamo pensato che molte altre vite potessero essere salvate in questo modo, perché tutti gli animali meritano una vita migliore».
Un viaggio "on the road" per uscire dai confini siriani
«Con l'inizio della guerra e il triste destino di tante persone costrette a scappare per salvarsi la vita, molti hanno dovuto abbandonare i loro animali domestici – aggiunge Rawaa – Mi ritengo fortunata di aver potuto portare gatti con me in Olanda, ma sfortunatamente molti non hanno avuto questa stessa possibilità». La missione che hanno i volontari non è facile: le distruzioni della guerra rendono tutto molto complesso. «Il viaggio è lungo e a volte pericoloso: inizia "on the road" da Damasco o Aleppo, in Siria, per arrivare a Beirut, in Libano. Poi c’è il volo verso l’Europa», aggiunge.
«La situazione dei gatti in Siria è devastante – racconta la fondatrice del progetto – molte colonie selvatiche vivono una vita miserabile lungo le strade. A volte vengono nutriti da gente del posto e altre volte muoiono di fame. La guerra non li ha di certo risparmiato e molti vengono feriti o uccisi. Migliaia di animali domestici sono stati abbandonati per le strade proprio all'inizio del conflitto. Il Paese non ha un sistema per prendersi cura dei randagi né leggi per proteggere gli animali».
I volontari hanno creato una rete di cliniche veterinarie in Siria a loro sostegno, ma spesso c'è bisogno di trasferire gli animali feriti direttamente a Beirut per una migliore assistenza medica. «Amo tutti i gatti e i cani che proviamo a salvare, ma gli animali ciechi sono sempre stati i miei preferiti perché le loro possibilità di sopravvivenza per strada sono minime – continua Rawaa nel suo racconto – Una missione di salvataggio mi è cara: si è svolta nelle strade di Beirut, dove è stato trovato un gattino, Sparky, lasciato con un'enorme ferita e una grave infezione. La sua foto stava circolando sui social media ma nessuno interveniva per salvarlo. Ebbi la possibilità di conoscere una persona che viveva proprio in questa zona e la contattai per prenderlo. Una zampa anteriore di Sparky venne amputata, ma il suo destino sarebbe stato chissà quale se non fosse stato per quella volontaria che lo ha adottato proprio a Beirut».
L'emergenza Covid rende più difficile il "corridoio" per far fuggire gli animali
La crisi dettata dalla pandemia di Covid-19 sta complicando le cose per aiutare cani e gatti. In Medio Oriente, tra l'altro, come spiega Rawaa, «è anche peggio» a causa dei conflitti. «Abbiamo a malapena fondi per nutrire e curare alcuni animali: le donazioni sono rare in questo periodo – conclude – Abbiamo sempre aperta una pagina web per la raccolta dei fondi. Le persone, inoltre, possano mettersi in contatto con noi se per caso stanno facendo un viaggio da Beirut verso l'Europa e possono offrirsi volontarie per uno dei nostri salvataggi».