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10 Agosto 2024
19:00

Sgridare il gatto è inutile: sono un’esperta e ti spiego quali errori non fare

Sgridare o punire il gatto quando fa qualcosa che reputi sbagliato non è solo inutile, ma anche controproducente. Ecco i comportamenti che dovresti evitare.

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Membro del comitato scientifico di Kodami
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Rimproverare il gatto per qualcosa che ha fatto alzando la voce o, peggio, schiaffeggiandolo o colpendolo in qualunque modo non è solo inutile, ma anche controproducente. Il gatto, infatti, vive in un mondo mentale in cui cerca di adattarsi e di soddisfare i propri bisogni di specie e individuali: se questo genera una risposta aggressiva da parte nostra, il gatto non assocerà un valore educativo alla nostra reazione (non penserà “oh, cavolo, l’ho fatto/a arrabbiare, non devo farlo più"), ma penserà che siamo imprevedibili, inaffidabili e poco degni di fiducia. Quindi tornerà a cercare di soddisfare i propri bisogni ma, magari, lontano dal nostro sguardo.

Chiunque voglia porsi come obiettivo l’educazione del gatto dovrebbe entrare nell’ottica che educare non significa “farsi ubbidire” e non significa nemmeno ottenere dei comportamenti che sono gradevoli per noi. Educare significa far emergere tutte le caratteristiche dell’individuo che si ha di fronte in modo armonico ed equilibrato, mettendogli a disposizione un ambiente sociale e fisico in grado di dar loro forma. Va da sé che ci sono tutta una serie di comportamenti, che magari abbiamo appreso nella nostra infanzia, che riteniamo essere educativi, che in realtà non lo sono, e che dovremmo evitare di replicare nella relazione con il gatto.

Alzare la voce

Se siamo stati bambini contro cui gli adulti hanno usato spesso alzare la voce per farsi ubbidire, è probabile che replicheremo questo schema anche nella relazione con il gatto. È automatico e ci vuole un po’ di lavoro su se stessi per correggersi. Può aiutare la consapevolezza che l’urlo, la sgridata, il tono di voce che si alza – magari accompagnato dalla minaccia di uno scapaccione – insegnano al gatto a temerci, mai ad ubbidire.

Punirlo fisicamente

Molte persone sono convinte che la minaccia di punizioni fisiche – dallo scappellotto ai colpi sul muso, dalle giornalate sul dorso alle pacche sul sedere – renda più autorevoli. Spesso le si sente commentare “mi ascolta perché di me ha paura”. Illuse. In realtà quello che accade è che, in breve tempo, un gatto che viene percosso impara che è meglio evitare la persona in questione. Quindi inizia ad escogitare una serie di evitamenti, di strategie quotidiane per monitorare le distanze e quello che viene interpretato come “ascolto”, in realtà, non è che il risultato di un’inibizione che costa tanta ansia e tanto stress.

Isolarlo in una stanza

Un altro grande classico è quello di prendere il gatto di peso e chiuderlo per alcuni minuti in una stanza in modo che “rifletta” su quello che ha “combinato”, respinto dal resto del gruppo. Questa pratica, detta timeout, viene dalla pedagogia e la sua efficacia è già stata smentita dalla pedagogia stessa che, infatti, non la annovera più tra le strategie educative utili o raccomandate.

Agli occhi del gatto non c’è alcun legame tra la sua azione e l’isolamento ma c’è, invece, tra la nostra azione e l’isolamento nel senso che il gatto percepisce che, a volte, di punto in bianco, imponiamo su di lui la nostra forza per decidere arbitrariamente dove dovrà stare e per quanto tempo. Tutto questo non ha accezione educativa, è solo un inutile braccio di ferro, un'ingiustificata manifestazione di superiorità fisica da parte nostra.

Spruzzare acqua

Un altro grande classico della non-educazione del gatto suggerisce di spruzzargli dell’acqua, senza farsi vedere, mentre sta compiendo un’azione da noi indesiderata. L’idea – che viene dal comportamentismo della prim'ora – è che se la sua azione produce un effetto sgradevole e se quell’effetto non è associabile a noi, allora il gatto eviterà di ripeterla per evitare il disagio che ne consegue.

Questa logica, tuttavia, è illusoria. Il gatto non smette di mettere in atto comportamenti che per lui sono di valore solo perché incontra degli ostacoli ambientali. Modificherà strategie, cercherà altre strade ma non rinuncerà al soddisfacimento dei suoi bisogni. Allora, diventa molto più utile comprendere quale esigenza sta esprimendo e metterlo nelle condizioni di poterla perseguire in un modo che sia accettabile anche (non solo) per noi, anziché puntare alla scomparsa del comportamento.

Confondere i nostri bisogni con i suoi

Per vivere con un gatto in modo armonioso è davvero necessario entrare nell’ottica che questi ha bisogni specifici, dettati dal carattere ma, in molta parte, anche dalla genetica, che a noi potrebbero non piacere ma che, in qualche modo, dobbiamo imparare ad accogliere e soddisfare. Credere di renderlo felice o di occuparcene degnamente solo perché ci interessiamo di lui secondo la nostra ottica, rischia di generare frustrazione e insoddisfazione in entrambi perché, prima o poi, il gatto farà sicuramente qualcosa per guadagnarsi quel pezzo di mondo – interiore ed esteriore – che la nostra cecità non gli consente di raggiungere.

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Sonia Campa
Consulente per la relazione uomo-gatto
Sono diplomata al Master in Etologia degli Animali d'Affezione dell'Università di Pisa, educatrice ed istruttrice cinofila formata in SIUA. Lavoro come consulente della relazione uomo-gatto e uomo-cane con un approccio relazionale e sono autrice del libro "L'insostenibile tenerezza del gatto".
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