Ha aspettato qualche giorno per condividere la storia dolorosa che ha portato alla morte del suo cane e alla fine Selvaggia Lucarelli ha scelto di raccontare la sua esperienza attraverso i social per spiegare come è morto Godzilla, il suo Cavalier King Charles Spaniel, e sensibilizzare sulle patologie di cui i cani di razze come queste possono soffrire a causa dell'intervento umano sulla loro genetica.
«Me lo avete chiesto in tanti. Come è morto Godzilla? Va bene, è venuto il momento di parlarne», ha esordito la giornalista. Sono queste le prime parole di un lungo post in cui emerge chiaramente tutto l’amore che nutriva e nutre per il cane che sino a qualche giorno fa ha fatto parte di una famiglia composta da lei, il figlio Leon, il compagno Lorenzo Biagiarelli e i due gatti Evangelion e Coraggio, entrambi adottati. E tutto il dolore provato nel vederlo lottare, soffrendo, con una lunga lista di disturbi e malesseri. A portare via Godzilla, alla fine, è stata la sindrome di Cushing, che è arrivata però dopo un lungo periodo in cui il suo organismo ha fatto i conti con i numerosi problemi che accompagnano razze come quella del Cavalier King Charles Spaniel.
«Godzilla è morto in un modo che non ci aspettavamo. Perché sia chiaro, sapevamo che non sarebbe diventato un vecchietto, ma pensavamo che ce l’avrebbe portato via il cuore. E invece no, ce l’ha portato via una cosa di cui non sapevamo neppure il nome – ha raccontato – Godzilla, fino ai suoi 8 anni, è stato sempre bene. La caduta inizia un anno e mezzo fa. Sotto capodanno a Milano nevica e noi lo portiamo a giocare sulla neve, al parco del Portello. Lui era al guinzaglio e siccome era il cane più buono del mondo ma non un fulmine di guerra, non ha capito che il laghetto ghiacciato era appunto un laghetto ghiacciato e ci è finito dentro correndo. Lo abbiamo tirato su, lo abbiamo asciugato e riscaldato a casa, fatto sta che dopo qualche giorno lo trovo in piedi in salotto, in una specie di trance, che respirava male. Andiamo di corsa dal veterinario, che ci dice di andare nella clinica più prestigiosa di Milano perché è grave e necessità di cure specifiche. Diagnosi: edema polmonare. Prognosi riservata. Non sappiamo se sopravviverà. Dopo due giorni di ossigeno Godzilla torna a casa. Poi un giorno parliamo con calma del fatto che certe razze dovrebbero non esistere più, troppi difetti genetici e troppo dolore per tutti, cani e umani».
Il racconto del calvario di Godzilla e della sua famiglia
Per Godzilla inizia un calvario fatto di farmaci, soprattutto per il cuore: «Lorenzo alla fine diventa una specie di alchimista – spiega Lucarelli – Godzilla ha una grave cardiopatia ma si stabilizza. Sopravvive perfino all’estate siciliana con 50 gradi all’ombra, vede per la prima volta le libellule, le insegue, è felice. Torniamo a Milano. In autunno inizia a faticare un po’ nel camminare a lungo. Le passeggiate diventano sempre più brevi. Vabbè, è il cuore, pensiamo noi. Sta invecchiando. Ha una zampa un po’ infiammata, il veterinario cerca una spina, non la trova. Dopo le feste inizia un po’ a ingrassare. Si gonfia. Del resto ha una fame insolita, mi strappa quasi il cibo dalle mani e beve anche tantissimo. Saranno i diuretici. È diventato golosissimo, pensiamo».
Quello che la giornalista non poteva sapere, in quel momento, è che Godzilla manifestava i sintomi di una sindrome che colpisce cani di diverse età e razza, che intacca l’ipofisi e comporta una maggiore secrezione di ormoni glucorticoidi (principalmente cortisolo), che hanno effetti su diversi organi ed apparati: «Da fine febbraio il tracollo è costante. Prima tocca all’occhio: prolasso della terza palpebra. Una serie di colliri costosissimi, non può essere operato, ha il cuore troppo malato per un’anestesia. Inizia a perdere pelo sul dorso, penso che sia la pettorina che struscia troppo. Cammina sempre meno. Non vuole uscire a fare la passeggiata, dobbiamo trascinarlo col guinzaglio. In compenso ha sempre più fame, quando mi distraggo ruba anche il cibo ai gatti. Riesce a bere una ciotola d’acqua in pochi secondi. Ha un episodio passeggero di sindrome vestibolare. Testa inclinata, occhi che si muovono velocemente, cammina male».
La diagnosi: sindrome di Cushing
I problemi per Godzilla aumentano, sempre più frequenti e sempre più gravi: arriva lo scioglimento di una cornea, inizia a zoppicare, e una veterinaria inizia a ipotizzare che non si tratti di un trauma dovuto a un movimento sbagliato o all’affaticamento, ma di una infiammazione. Che è più preoccupante: «Lei, la prima che se ne preoccupa davvero, pensa che la zampa infiammata sia una cosa seria. Prescrive un antibiotico. E poi, guardando la sua pancia gonfia, il pelo rado e non so che, dice: “Secondo me ha il Cushing”. Cosa diavolo è il Cushing? Siamo ai primi di maggio». È in quel momento che Lucarelli scopre ciò di cui soffre Godzilla: «Si trascinava una grave malattia da mesi e non lo sapevamo. Pensavamo al cuore. Nessuno gliel’ha mai diagnosticata. Abbiamo speso migliaia di euro tra cure e veterinari e nessuno ha capito, se non quando era tardi, se non una veterinaria da cui non eravamo mai andati perché pensavamo non fosse abbastanza brava, chissà».
Dal momento della scoperta la salute del cane, 9 anni, ha iniziato a precipitare: «Nel giro di pochi giorni Godzilla ha praticamente smesso di camminare. Lo portavamo a fare i bisogni in braccio. Lui continuava a scodinzolare, semi- invalido, mezzo cieco, era comunque il nostro Godzilla. Ci hanno detto che non valeva la pena neppure fare gli esami per il cushing se intanto non passava l’infiammazione, che comunque la terapia per il Cushing non sarebbe servita ormai, Godzilla era arrivato a fine corsa. Che spettava a noi decidere quando. Lo abbiamo riportato a casa».
L'addio a Godzilla
Lucarelli, il compagno e Leon hanno deciso con una grande forza d'animo di rendere speciali e pieni d’amore gli ultimi giorni di Godzilla: «Gli ho comprato i pan di stelle. Li adorava ma da anni non glieli facevo più toccare, non si danno i biscotti al cane. Gli ho dato i pan di stelle per tre giorni. Li mangiava a fatica, al massimo un paio e poi si stancava per l’emozione. Lorenzo voleva fargli una pizza speciale, ma non ha fatto in tempo. Però gli ha dato le medicine per il cuore fino all’ultimo giorno, anche quando gli dicevo “smettila, non serve più”, anche se Godzilla aveva imparato a riconoscerle in mezzo a un chilo di cibo, le sputava e Lorenzo gliele rimetteva nel cibo. L’ho coccolato. Dopo anni ha dormito con noi in camera, “russerà, pazienza”».
Il 31 maggio è stato l’ultimo giorno: «Ha iniziato a respirare malissimo. Il pomeriggio era già tutto chiaro ma “facciamo passare la notte, magari si riprende… Invece la notte non passava – prosegue Lucarelli – Non si metteva neppure sdraiato per dormire. Cercava aria. Mancava l’aria anche a noi. Alle due di notte ci siamo addormentati. Alle cinque mi sono svegliata all’improvviso, ho acceso la luce. Era al buio, in piedi con le zampe tutte scassate, storte, un occhio che pareva esploso, cercava aria, sembrava stanco e spaventato. Non dormiva da 24 ore. Lorenzo ha telefonato alla clinica. “Sì, potete venire”. Lo abbiamo messo nel trasportino. Non mi sono neppure seduta in macchina accanto a lui, sentivo che lo stavo tradendo».
Il racconto si chiude con parole che hanno la forza di pugni e da cui trapela l’enorme dolore nel dover dire addio a un membro della famiglia che si è costretti a lasciare andare nonostante tutti i tentativi di salvarlo: «Il veterinario è stato gentile, ha detto che era d’accordo, non c’era più niente da fare. Ci ha dato qualche minuto per salutarlo. L’ho preso in braccio, l’ho tenuto stretto. Abbiamo pianto. Poi gli ha messo dell’ adesivo azzurro sulla zampina. La puntura per addormentarlo. Quella per fermare il suo cuore acciaccato. Non ha neppure chiuso gli occhi, erano troppo gonfi e malandati. È morto con gli occhi aperti. L’ho tenuto stretto. Io e Lorenzo ci siamo abbracciati. Lo abbiamo abbracciato. Abbiamo pianto, piangiamo ancora. “Le mie giornate erano scandite da Godzilla”, dice Lorenzo. È stato il suo primo cane. Io lo avevo regalato a Leon dopo in estate in cui lo avevo trascurato e volevo farmi perdonare. Poteva avere un po’ di tempo in più, è andata così».
L'importanza della condivisione e l'appello: «Pensateci bene prima di prendere un cane destinato a soffrire»
«Non sono neppure arrabbiata – ha concluso Lucarelli – Sono solo triste. E mi sento in colpa perché non mi perdono di non essere stata capace di unire i puntini. Godzilla è arrivato nella mia vita per un senso di colpa e se ne è andato con un senso di colpa. Ho scritto tutto questo perché il Cushing è insidioso e può essere confuso con i sintomi della vecchiaia, magari voi unite i puntini e regalate altro tempo al vostro cane. Scusa Godzilla».
Pur dolorosissima, la scelta della giornalista di condividere la sua esperienza ha un’enorme importanza per sensibilizzare su patologie ai più sconosciute, e facilmente confondibili con altre problematiche. E anche per ricordare come molte razze canine sviluppino problemi di salute anche molto gravi e invalidanti per una selezione genetica finalizzata a raggiungere standard estetici.
Il Cavalier King Charles Spaniel rientra nelle razze brachicefale, insieme con Carlino, Bulldog Inglese, Bouldogue Francese, Boston Terrier e Pechinese. E da anni ormai i veterinari spingono affinché l’allevamento di queste razze sia regolamentato in modo più rigido, se non del tutto vietato. Come è già accaduto in Norvegia, dove è vietato allevare proprio i Cavalier King e i Bulldog inglesi alla luce delle gravi patologie che quasi sempre sviluppano e delle sofferenze patite.
«Lo prendo come un segno: la razza di Godzilla da quest’anno non può più essere allevata in Norvegia proprio perché è il prodotto di “un esperimento genetico” che ha prodotto cani docili e meravigliosi ma destinati a soffrire. E a far soffrire – ha concluso Lucarelli facendo riferimento al provvedimento di cui ha parlato anche Kodami – Il mio consiglio: non prendeteli. Per me dovrebbero estinguersi. E lo dico con profondo dispiacere. Aggiungo anche che arrivati a un certo punto le spese sostenute uno deve pure potersele permettere, perché solo di medicine erano centinaia di euro al mese. Pensateci molto bene».