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27 Gennaio 2023
15:07

Scoperti alcuni antenati dei primati che vivevano nell’Artico

Alcuni paleontologi americani hanno scoperto due nuove specie di proto primati presso l'isola di Ellesmere, nel circolo polare artico. Nessuno prima di loro aveva trovato dei fossili così vicino al polo nord.

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Quando pensiamo i nostri antenati, siamo soliti ricreare nella nostra mente l'immagine degli australopitechi nella savana o delle scimmie che vivevano in mezzo al verde degli alberi della foresta equatoriale, milioni di anni fa. Sempre più ricerche vanno però in totale contrasto con questa visione romantica della nostra evoluzione, anche perché non tutti sanno che buona parte dei ritrovamenti dei nostri più antichi parenti non sono avvenuti nella fascia equatoriale o in Africa bensì in Europa e in America settentrionale. 

Prima infatti di spingersi verso sud, questi due continenti erano il vero paradiso terrestre dei proto primati. Tanto che uno dei generi più famosi di questi animali, Adapis, datato dai 45 ai 33 milioni di anni fa, venne rinvenuto nel corso dell' ‘800 presso la collina di Montmartre. Una nuova ricerca però, pubblicata il 25 gennaio scorso su Plos One, svolta da una equipe di paleontologi presso l‘Università del Kansas, ci permette di andare ancora più indietro nel tempo e di scoprire la straordinaria storia di proto-primati ancora più antichi, che per quanto per noi risulti strano, si sono spinti fino in Artide.

I paleontologi americani hanno infatti scoperto due nuove specie attraverso il ritrovamento di alcune dozzine di denti fossili e ossa mascellari rinvenuti nel nord del Canada, per esattezza nella Formazione Margaret sull'isola di Ellesmere, Nunavut.

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In verde scuro, l’isola di Ellesmere

Siamo all'interno del circolo polare artico, più in alto rispetto alla punta meridionale della Groenlandia. Eppure qui, nel mezzo dei ghiacci, durante l'Eocene, 52 milioni di anni fa sopravvivevano almeno 2 specie di Ignacius differenti (Ignacius mckennai e Ignacius dawsonae), fra i più antichi proto-primati ad essersi evoluti dopo l'estinzione di massa del Cretaceo che spazzò via i dinosauri.

Questi animali erano ovviamente più piccoli degli attuali primati, essendo delle dimensioni di una marmotta. Di certo però non abitavano fra i ghiacci, poiché dagli studi paleogeografici e paleoclimatici oggi la ricerca di molte informazioni relative agli ecosistemi del periodo e si presuppone che a quel tempo l'Artico fosse libero dai ghiacci e fosse completamente ricoperto di una folta foresta di conifere e latifoglie. Le due specie di Ignacius potrebbero essere dunque stati due animali arboricoli.

Come si spiega però la presenza di questa immensa foresta, che ricopriva America ed Europa, fino a toccare il polo nord? Considerando le temperature del Paleocene e dell'inizio dell'Eocene, è semplice comprenderlo. L'Artico era significativamente più caldo infatti durante quel periodo, con estati che potevano anche superare i 25 gradi centigradi. Questo però non impediva alle creature di doversi adattare a condizioni estreme: con i lunghi mesi invernali gli animali dovevano infatti affrontare il gelo e l'assenza di luce solare.

«Questo rende le due specie molto importanti – afferma un coautore dello studio, Chris Beard – Nessun altro primate o parente di primate è mai stato trovato così a nord fino ad ora».

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La morfologia del genere Ignacius ricordava le marmotte, anche se sono imparentati più con noi esseri umani

Gli autori dello studio, per quanto abbiano ancora molto lavoro da fare per classificare le specie, si ritengono già parzialmente soddisfatti, anche perché questo straordinario ritrovamento sta girando in tutte le accademie di paleoantropologia statunitensi dopo pochi giorni dalla pubblicazione. Quello che infatti impressiona di più è la buona qualità dei fossili, che hanno permesso agli scienziati di comprendere da subito che si trattavano di rari reperti di proto primati.

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Alcuni reperti mandibolari di una delle due specie scoperte 

Esiste però una domanda, che sta sorgendo nelle menti di molti appassionati di paleontologia nel corso delle ultime ore: se questi animali avevano a disposizione un'intera foresta che ricopriva ben due continenti diversi, perché si erano spinti così a settentrione, dovendo affrontare il terribile cambio di stagione invernale?

La risposta può essere racchiusa in due parole: riscaldamento globale.

In effetti, il genere Ignacius era diffuso nell'emisfero settentrionale anche durante l'epoca Paleocene, che va dai 65 ai 55 milioni di anni fa. Con l'arrivo però dell'Eocene, il pianeta subì un periodo di intenso riscaldamento, superiore a quello che era avvenuto nel corso dei periodi precedenti. Questo riscaldamento da una parte permise alle foreste nell'espandersi verso nord, ma costrinse anche molti abitanti – fra cui le specie del genere Ignacius– nel fuggire dalle foreste meridionali, per rifugiarsi in territori meno soggetti alle bolle di calore e agli incendi.

Tra l'altro, proprio come adattamento ad un ecosistema più rigido, che forniva meno risorse durante l'inverno, a differenza dei loro parenti meridionali, le due specie di Ignacius artici avevano mascelle e denti insolitamente forti, adatti a mangiare cibi duri. Strumenti utili per nutrirsi di noci e semi durante l'inverno, quando la tipica frutta a cui tanti primati si erano adattati a digerire non era così facilmente disponibile.

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Ignacius dawsonae

Questa scoperta può far luce su come i primati possono adattarsi a condizioni estreme e su alcuni comportamenti che appartengono anche agli esseri umani, che fra tutte le specie di primati siamo stati gli unici grazie alla tecnologia e alla caccia a spingersi così a settentrione, come il genere Ignacius.  Studiare però in generale come le piante e gli animali si sono adattati a questo straordinario periodo della storia dell'Artico, chiariscono gli autori dello studio, potrebbe offrire indizi sui futuri abitanti dell'Artico, qualora il pack ghiacciato dovesse svanire per colpa dell'uomo.

«Le previsioni del futuro cambiamento delle specie presenti nell'Artico, basate su modelli di futura distribuzione delle specie, suggeriscono un aumento della biodiversità, causato dall'espansione dell'areale verso nord di più gruppi di animali, man mano che il clima diventa progressivamente più caldo» affermano infatti gli studiosi all'interno dell'articolo. «Man mano che gli ecosistemi artici vengono infatti trasformati dal riscaldamento causato dall'uomo, molteplici fattori evolutivi – tra cui la colonizzazione selettiva, la diversificazione e la modifica specifica delle morfologie ancestrali -influenzeranno la natura delle dinamiche faunistiche alle alte latitudini settentrionali».

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La migrazione verso nord avvenuta con l’avvento dell’Eocene delle specie temperate potrebbe ripetersi, ora che il surriscaldamento globale provocato dall’uomo rischia di sciogliere i ghiacci dal polo nord
Sono laureato in Scienze Naturali e in Biologia e Biodiversità Ambientale, con due tesi su argomenti ornitologici. Sono un grande appassionato di escursionismo e di scienze e per questo ho deciso di frequentare un master in comunicazione scientifica. La scrittura è la mia più grande passione.
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