Twitter abbandona l’iconico uccellino azzurro che aveva accompagnato ogni dichiarazione pubblicata dal social sin dalla sua fondazione nel 2006 a San Francisco, e il WWF decide di sfruttare l’onda di curiosità che sta accompagnando un rebranding tra i più seguiti e discussi nella storia dei digital, lanciando a sua volta una campagna che ricorda che oltre all’uccellino azzurro stiamo perdendo milioni e milioni di uccelli ogni anno. Come dire: «a breve non troverete più l’uccellino più famoso del web ma, se non facciamo qualcosa, a breve perderemo anche uccellini e volatili di ogni specie ben più preziosi di quello digitale».
La campagna di WWF International
Il testo con cui WWF International ha deciso di lanciare la campagna è infatti molto esplicito: «L’iconico uccellino di Twitter non è l’unico a scomparire. Oggi, una specie di uccelli su otto è a rischio di estinzione. Ma possiamo fare la differenza, salvando loro e i loro habitat, a vantaggio di tutte le persone e della natura nel mondo». Non a caso le immagini mostrano uccelli che non se la passano bene sul Pianeta terra. «Si tratta di chiurli, cicogne, gru – spiega Isabella Pratesi direttrice del programma di conservazione per WWF Italia – tutti uccelli che dipendono in gran parte dagli habitat d’acqua interne (paludi, stagni, langue) che sono stati modificati o cancellati (più dell’85% non c’è più) dal nostro pianeta».
E proprio mentre Elon Musk porta a termine la trasformazione del social eliminando non solo l’uccellino ma anche il nome, che diventa X, e quindi l’account, WWF Italia sottolinea come «la campagna è stata lanciata dagli uffici WWF International per far riflettere sulla drammatica scomparsa di uccelli da questi paesi, quantificabile dal 1970 ad oggi in 3 miliardi di animali cancellati dai loro habitat». Non si tratta di una raccolta fondi ma di un modo per portare l’opinione pubblica a riflettere su un tema di cui si parla poco, cioè quello della scomparsa di milioni e milioni di esemplari di volatiti, una perdita che sembra non avere fine e che appare sempre in crescita, non solo in America ma anche nel continente europeo. «Abbiamo inserito gli uccelli migratori nell'animazione di Twitter perché le loro migrazioni annuali sono uno dei più grandi spettacoli della Terra – e uno dei più minacciati – spiega un portavoce di WWF International. – 50 specie che viaggiano lungo la Flyway dell'Asia orientale rischiano l'estinzione, soprattutto a causa della perdita delle zone umide d'acqua dolce e costiere in cui si nutrono, si riproducono o semplicemente si fermano lungo le loro epiche rotte. Attraverso la nostra iniziativa Asian Flyways, il WWF sta lavorando con i suoi partner per proteggere e ripristinare queste zone umide critiche, non solo per gli uccelli migratori, ma anche per molte altre specie e per le persone. Le zone umide sane forniscono alle comunità acqua, cibo, mezzi di sostentamento e, cosa fondamentale, difese naturali contro il peggioramento dell'impatto climatico, dalle inondazioni e dalle tempeste all'innalzamento dei mari»
Lo studio europeo: 20 milioni di uccelli scomparsi in 40 anni
«Non stanno messi molto meglio gli uccelli in Europa – sottolinea Isabella Pratesi – rispetto ai quali le pratiche agricole sempre più insostenibili e responsabili della distruzione degli habitat insieme al massiccio uso di pesticidi stanno determinando un precipitoso declino». Lo studio “Farmland practices are driving bird populations decline across Europe”, pubblicato a maggio di quest’anno su PNAS e frutto di un’ampia collaborazione scientifica europea ha quantificato per la prima volta l’impatto diretto di diverse attività umane sugli uccelli su scala continentale. I risultati sono quanto meno allarmanti: si parla infatti di una una perdita di quasi un quarto del numero complessivo di uccelli negli ultimi quaranta anni. In pratica lo studio rivela he, da 40 anni, ogni anno in Europa scompaiono in media 20 milioni di uccelli, cioè 800 milioni in meno dal 1980. E che la responsabilità predominante di questa strage è dell’evoluzione delle pratiche agricole. Sono state confrontate l’evoluzione delle temperature, l’urbanizzazione, le aree forestali e le pratiche agricole da 20.000 siti di monitoraggio ecologico in 28 Paesi europei, per 170 diverse specie di uccelli, per 37 anni.
Lo studio dimostra che «L’effetto negativo dominante è quello dell’intensificazione agricola, cioè l’aumento della quantità di fertilizzanti e pesticidi utilizzati per ettaro. Ha portato al declino di molte popolazioni di uccelli, e ancor più di uccelli insettivori. In effetti, fertilizzanti e pesticidi possono interrompere l’equilibrio dell’intera catena alimentare di un ecosistema». Inoltre lo studio ha messo in evidenza il ruolo fondamentale che l’aumento globale delle temperature può giocare in questa partita «soprattutto per le specie che prediligono il freddo, con un calo del 40% – anche se – non risparmia le specie che prediligono il caldo, con un meno 18%». Infine, sempre secondo lo studio europeo, «mentre il numero di uccelli è diminuito in tutto il continente, alcuni ecosistemi sono colpiti più gravemente di altri: il numero di uccelli forestali è diminuito del 18%, del 28% per gli uccelli urbani ed è balzata al 57% per gli uccelli agricoli uccelli».
Lo studio di BirdLife International per l'Europa
Questi dati allarmanti vanno di pari passo con lo studio del 2021 di BirdLife International che ha pubblicato la nuova Lista Rossa degli uccelli europei che esamina il rischio di estinzione a livello continentale per 544 specie di uccelli in oltre 50 paesi e territori in Europa. Secondo il report «circa il 19% di tutte le specie europee di uccelli è seriamente minacciata o quasi di estinzione, e ben una specie su tre (circa il 30%) sta attraversando una fase di riduzione numerica delle popolazioni». Dati preoccupanti che sottolineano, secondo i rilevamenti di migliaia di ornitologi e volontari distribuiti sul territorio europeo, che «71 specie (il 13%) rientrano tra le categorie di pericolo (CR, EN, VU) e altre 35 (il 6%) sono quasi minacciate (NT). I gruppi più a rischio sono gli uccelli marini, i rapaci, le anatre e i limicoli, a cui si aggiungono tutte le specie che vivono in habitat aperti come le aree agricole o le praterie d'alta quota, tra cui alaudidi, averle e zigoli».
Una situazione che Isabella Pratesi non esita a definire «preoccupante» soprattutto messa in relazione al declino della fauna che riguarda tuttavia l’intero Pianeta. «Secondo il WWF infatti in poco meno di 50 anni abbiamo perso globalmente quasi il 70% delle popolazioni di uccelli ma anche di mammiferi, pesci, anfibi e rettili – conclude la Pratesi. – Una vera e propria ecatombe determinata unicamente dalla nostra specie, l’Homo sapiens».