Nell’area picnic sopra Satriano la sensazione è di essere in una bolla di silenzio. È il 14 settembre 2021 e sono trascorsi meno di 20 giorni dalla tragedia che ha portato alla fine della vita di una donna di soli vent’anni, ferita a morte da un gruppo di 13 cani da pastore.
Simona Cavallaro è stata ritrovata qui, esanime, in una zona verde poco distante dal piccolo Comune in provincia di Catanzaro dove abitava con la famiglia, un centro in cui si conoscono tutti, una comunità di persone ancora e per sempre scossa da quello che è avvenuto in quel terribile pomeriggio. Il suo corpo era adagiato poco lontano da una chiesetta, vicino le numerose casupole in muratura, le panchine e le tettoie ombreggianti in stato di abbandono. Il suolo circostante è ricoperto da aghi di pino, detriti, resti di falò, bottiglie di birra e soprattutto escrementi di ovini un po’ ovunque.
Simona e un suo amico, il 26 agosto 2021, passeggiavano sul posto in perlustrazione tra il verde e i resti non raccolti da chi era passato prima di loro: progettavano un picnic con gli amici per la domenica successiva.
I cani da pastore sono animali abituati alla presenza umana ma ci sono delle condizioni estreme che possono portarli ad attaccare. Il gregge è la loro famiglia e se un cane da pastore pensa che la nostra presenza possa mettere gli animali in pericolo, in quegli attimi i nostri movimenti per loro diventano delle vere e proprie minacce. Questo non vuol dire che i cani aggrediscono, anzi il loro comportamento tipico è quello di allontanare e non di reagire. Ma a Satriano è successo qualcosa di estremo, qualcosa di raro.
I cani sono stati catturati tutti dopo tre giorni dall’aggressione, alcuni con ancora tracce di sangue. Oggi, a quasi 3 mesi della tragedia, si ritrovano rinchiusi in un canile vicino Crotone, senza sapere se usciranno mai da lì. Che fine faranno? Possono mai essere loro gli unici “responsabili” di questa tragedia? Ma, soprattutto, cosa deve succedere per portare un branco di cani a uccidere una persona?
La lunga e tortuosa strada per arrivare all'area picnic sopra Satriano
Per arrivare a quella che continua a essere chiamata “area picnic”, nonostante sia evidentemente poco curata, la strada da Soverato si inerpica sul Monte Fiorino fino a 1000 metri di altitudine e lungo il percorso sono visibili le cicatrici che i numerosi incendi di questa estate hanno lasciato. Non è un viaggio agevole e ci sono parecchi tratti che ricordano una mulattiera.
Il tenente Luca Palladino, comandante della caserma dei Carabinieri di Soverato, incaricato di seguire le indagini, spiega: «Quel posto è frequentato soprattutto nel periodo estivo da persone che vanno a trovare ristoro nelle giornate più calde».
Le costruzioni abbandonate sono incomplete: tutte prive di porte e finestre, ad eccezione di una che risalta nella pineta. E’ una piccola chiesetta in legno, l’unica ad avere una porta, l’unica in cui Simona e il suo amico si sono potuti rifugiare quando si sono sentiti in pericolo per la presenza dei cani.
Alcune persone del luogo raccontano di essere state diverse volte in quella pineta, di aver visto il gregge e i cani. Non risultano esserci mai state denunce o particolari segnalazioni di comportamenti anomali dei cani negli anni precedenti anche se qualcuno in paese, dopo la tragedia, racconta: «Mi è capitato di incontrare dei grossi cani e quando li ho visti avvicinarsi, beh, non sono sceso dalla macchina…». Ma di fatto lì non è mai accaduto nulla prima di quel terribile giorno d’agosto. Una persona ricorda un episodio risalente a circa 6 anni fa, avvenuto nei pressi dell’area picnic: «Mio figlio era andato con conoscenti a far funghi e si è spaventato all’arrivo dei cani a tal punto che si è rinchiuso nel bagagliaio dell’auto fino a che non se ne sono andati…». Ma questo accadimento non ha nulla a che vedere con i cani della pineta di Satriano di oggi che – come abbiamo verificato – non erano ancora al mondo sei anni fa.
Le parole delle persone, i racconti di chi quell’area la conosce da tempo ci permettono di capire, però, che oggi come ieri i cani in quella zona sono spesso lasciati soli a gestire il bestiame e l’assenza di una presenza umana di riferimento, inevitabilmente, può creare complicazioni e potrebbe essere uno degli elementi chiave che hanno portato alla tragedia.
Cosa è accaduto? Indagini ancora in corso: la prima ricostruzione
La ricostruzione dei fatti per ora è in mano alla magistratura, l’inchiesta è in corso e si indaga per omicidio colposo. Il tenente Palladino ha seguito la vicenda in prima persona: è un uomo sensibile e competente, conscio di quanto un episodio del genere sia raro e di come i cittadini e la famiglia di Simona in primis debbano sopportare un dolore così grande e affrontare anche i tempi necessari perché si arrivi a un processo e quindi ad una sentenza. Il militare non può rilasciare dichiarazioni relativamente al procedimento penale, chiaramente: tutto ciò che ci racconta è legato alla profonda conoscenza che ha del territorio e alle abitudini dei pastori locali. «I due giovani sono incappati nel gregge di capre e pecore che spesso transita per quell’area. I pastori sono attenti ai loro animali e si prendono solitamente cura dei loro cani. Non sto parlando del singolo pastore coinvolto nel caso ma appunto di come normalmente ho sempre visto comportarsi le persone che vivono qui e che lavorano nella pastorizia».
Si è scritto molto su cosa sia successo in quei momenti precedenti alla tragedia, ciò che trapela, in realtà, è che non si sa con certezza se la giovane abbia in qualche modo interagito con i cani prima dell’attacco. Palladino conferma che in uno dei cellulari dei ragazzi c’è un video che ritrae Simona con i cani, poco prima del fatto. Anche questo è in mano alla magistratura e sarà oggetto di analisi per essere poi utile a comprendere cosa possa aver attivato un comportamento aggressivo e da parte di quali cani.
Le voci in paese intanto si rincorrono e si fanno tante ipotesi. Ma chi può dire come sono andate le cose è solo l’amico, anche lui ventenne, che è l’unico testimone della vicenda. Il suo racconto, rilasciato alle autorità, è che ad un certo punto la situazione ha assunto toni allarmanti. I due giovani hanno incontrato i cani e, sentendosi poi in pericolo, si sono entrambi rifugiati nella chiesetta, chiudendosi all’interno. Un dettaglio importante è che la porta in legno è mancante di un asse: dall’interno è possibile guardare ciò che accade nell’area antistante ma l’apertura non è sufficientemente ampia da consentire ad un cane di taglia grande o media di passarci. Lì dentro i ragazzi erano al sicuro.
Ad un certo punto però Simona ha deciso di uscire, secondo quando dichiarato dal ragazzo, e di andare verso l’auto parcheggiata ad una sessantina di metri più avanti. Purtroppo non ci arriverà mai. Il motivo di questa decisione fatale non è ancora emerso ma ciò che è evidente dai primi esiti dell’autopsia è che sul corpo della giovane sono state rinvenute profonde ferite. Morsi, soprattutto sulla schiena e sulle gambe. E il decesso è avvenuto per dissanguamento.
Ciò che inoltre non si può sapere, almeno fin quando le indagini sono in corso e gli atti non saranno resi noti durante il processo, è quale sia stato il fattore scatenante l’attacco dei cani che, come in tanti hanno riferito, erano soliti transitare per quell’area pubblica e quindi quantomeno avvezzi alla presenza di persone.
Ci sono ancora tante cose da chiarire per comprendere davvero perché un gruppo di cani abbia agito in quel modo decisamente insolito: è importante dal punto di vista etologico andare a fondo su un evento di tale rarità e sarà dunque fondamentale leggere il risultato finale dell’autopsia per riuscire a discriminare quali e quanti cani hanno aggredito Simona Cavallaro tra i tredici che sono stati accalappiati.
«È stato necessario procedere con il rilevamento delle loro impronte dentali per confrontarle proprio con i morsi presenti sul corpo della giovane», spiega Palladino. Questo aspetto che stiamo riportando, evitando in ogni modo di insistere su dettagli macabri, serve solo per mantenere l’attenzione sul comportamento degli animali e non certo per focalizzarsi su particolari che non andrebbero nemmeno raccontati per rispetto di Simona e della sua famiglia.
Ma capire da un punto di vista comportamentale come e perché la ragazza è stata aggredita può servire ad evitare che una cosa del genere accada di nuovo e spiegare alle persone che i cani da pastore, no, non agiscono così in presenza di persone non conosciute. L’analisi forense, inoltre, è fondamentale a livello processuale anche per identificare le responsabilità umane di questa terribile vicenda.
Troppe parole sono state spese sugli animali coinvolti prive di fondamento, da quando erano stati inizialmente e vagamente definiti “randagi” fino poi alla diffusione di opinioni non adeguate che hanno determinato una sorta di paura diffusa non solo nella zona ma in generale nel nostro Paese nei confronti dei cani liberi.
I rilievi sui cani di Satriano, però, sono stati fatti solo al momento della cattura: non vi sono state ulteriori ispezioni da parte del medico legale o dell’Asp da quando i cani sono stati portati nella struttura “Pet Service” di Torre Melissa, come confermato dal responsabile Antonio Bevilacqua: «Qui, da quando sono arrivati i cani, non si è presentato più nessuno…».
I cani della pineta lasciati da soli a gestire il gregge: uno solo microchippato e il Comune che non si fa carico dei costi di mantenimento
Nel momento dei fatti è certo che il proprietario del gregge, che conta circa 200 capi, non era sul luogo. «I cani in questione erano lasciati spesso soli a gestire le pecore e le capre», conferma Palladino. Uno solo dei tredici cani era microchippato al momento della cattura, che ha richiesto tre giorni di appostamenti.
I cani avrebbero dovuto essere portati in un canile sanitario ma non ve ne sono nella zona e i Comuni si appoggiano ad una struttura gestita da privati che va a colmare le lacune della sanità locale: la suddetta “Pet Service” di Torre Melissa, in provincia di Crotone, che dista un paio d’ore dalla pineta Fiorino. Si tratta di una struttura molto grande dove attualmente ci sono circa 1500 cani di varia provenienza.
Il dottor Giovanni Rotondo, medico veterinario e direttore sanitario della struttura, racconta il suo incontro con loro: «Sono serviti tre giorni per catturarli tutti quanti, grazie all’ausilio di un collega, il medico veterinario Salvatore Rotella di Catanzaro, autorizzato all’utilizzo di teleanestesia. Quando sono arrivati da noi erano già stati tutti microchippati dai colleghi dell’Asp, ad eccezione di una femmina adulta che lo era già. I cani non versavano in cattive condizioni: non erano denutriti o mal messi. Alcuni di loro riportavano vecchie ferite sul muso, cicatrizzate da tempo, ad eccezione di uno che aveva una ferita ad una zampa relativamente recente». Rotondo aggiunge poi: «Sul pelo di alcuni dei cani, soprattutto intorno alla bocca, erano evidenti delle macchie di sangue».
Un elemento fondamentale per comprendere quanto il controllo degli animali in generale sia poco curato da parte dell’amministrazione locale emerge dai documenti dell’anagrafe canina: al pastore, Pietro Rossomanno, risultavano collegati 4 cani microchippati, non uno soltanto, ma degli altri tre non si sa più nulla. «Tutti i cani coinvolti nella morte di Simona Cavallaro sono stati catturati, nessuno escluso – conferma il tenente Palladino – quindi l’ipotesi è che gli altri tre, registrati in precedenza all’anagrafe a nome del pastore, siano deceduti nel tempo e la loro morte non sia poi stata denunciata agli organi competenti».
La situazione attuale dei cani, per giunta, genera conflitti tra la struttura appaltatrice di Torre Melissa e il Comune di Satriano. Quest’ultimo ha infatti disposto la cattura e la detenzione dei cani e, soprattutto, ha indicato che fossero tutti microchippati e registrati all’anagrafe canina a nome del pastore.
«Il Comune sostiene che il pagamento delle spese di mantenimento dei cani nel periodo di detenzione debba essere a carico del proprietario e non assimilabile nei termini del contratto d’appalto in vigore – spiega ancora Bevilacqua – ma il contratto che abbiamo non prevede che la nostra struttura possa rivalersi sui privati cittadini e che la stessa abbia come unico interlocutore il Comune stesso».
Ad oggi, novembre 2021, i cani si trovano ancora in canile: alcuni di loro sono stati sistemati all’interno, spostandoli dai box di quarantena. Il responsabile della Pet Service precisa: «Stiamo cercando di capire come ottenere una delega da parte del proprietario (ovvero il pastore a cui sono stati intestati su ordine del Comune ndr) per procedere alla sterilizzazione dei cani e anche per poter disporre un eventuale riaffido o ricollocazione dei soggetti nel prossimo futuro».
Mentre si naviga ancora nel mare delle incertezze, i cani – non essendo sottoposti a restrizioni cautelari – una volta terminati i dieci giorni di osservazione sanitaria, nei quali avrebbe dovuto essere disposta una valutazione comportamentale che invece non risulta esser mai stata fatta, sono dunque intestati a Rossomanno ma allo stesso tempo nessuno li reclama e continuano a essere oggi, semplicemente, gli unici “responsabili” a pagare per quanto accaduto.
Il piccolo Nathan e gli altri: chi sono i cani della pineta
Un documento che abbiamo potuto visionare fotografa uno per uno i cani della pineta sopra Satriano e dalla burocrazia alla realtà ecco qual è la vita attuale dei 13, ora segregati in canile: sono rinchiusi in due box, sette da una parte e sei da un’altra, stretti dietro sbarre che non hanno mai visto durante la loro vita da animali liberi.
Il gruppo di Monte Fiorino è composto da 6 femmine e 7 maschi. Schedati e rinchiusi, attualmente sono dunque loro gli unici “responsabili” di una tragedia assurda a cui solo il tempo, si spera, potrà dare risposte a una famiglia devastata dalla perdita di una giovanissima vita.
A guardarli fermi dentro ai box i cani appaiono spaesati: alcuni di loro sono comprensibilmente nervosi, i più giovani sembrano chiedere cosa stia succedendo con blande scodinzolate. Non sanno bene come disporsi nello spazio angusto, ma danno l’idea di essere abituati alle situazioni difficili: hanno pazienza. Non sono cani sovreccitati che abbaiano alle sbarre a chiunque passi da lì, osservano in silenzio. Alcuni di loro danno l’impressione di una pacata rassegnazione: così abituati a prendersi cura delle capre, privati di queste appaiono come svuotati.
C’è da considerare inoltre che si tratta di cani che nella vita non sono mai stati rinchiusi tra pareti di cemento, che hanno sempre dormito all’aperto nei boschi e, forse, anche cacciato per procurarsi quel po’ di cibo in più o magari solo per svago. Le vecchie ferite evidenti su alcuni di loro raccontano storie di scontri con cinghiali e lupi della zona, probabilmente. O magari di “scontri” con il bastone del pastore. La verità è solo una, dal loro punto di vista: questa situazione è incomprensibile. Aliena.
Uno di loro è un piccolo meticcio nero focato, Nathan, di 3 anni d’età. Parlando con pastori locali è emerso che spesso al gruppo dei cani più grandi si aggiunge un cane di piccola taglia che funge da “allarme” per gli altri, in quanto generalmente più reattivo agli stimoli. Gli altri sono cani da pastore, probabilmente tutti imparentati tra loro, probabilmente meticci di Maremmani e con qualche gene di Cani da pastore della Sila, con un pelo prevalentemente bianco di media lunghezza e qualche chiazza grigia.
Bianca è l’unica ad essere microchippata al momento della cattura, ha 4 anni e 4 mesi e accanto a lei ci sono due cuccioloni di poco più di 8 mesi, Astrid e Jack. Altri quattro cani hanno 2 anni, sono Gaia, Frodo, Ector e Gilda. Ancora altri quattro hanno solo 3 anni: Max, Aron e Falco e poi ci sono gli ultimi due, Aida e Petra, che hanno 4 anni.
I cani non sono sotto sequestro giudiziario
Il tenente Palladino e il responsabile della struttura Pet Service confermano che al momento non vi sono provvedimenti cautelari sui cani, ossia non sono sottoposti a sequestro giudiziario. Non deve sembrare assurda questa situazione: basta solo ricordarsi che per il nostro ordinamento giuridico il cane è ancora una res, come spiega Michele Pezone, responsabile dell’area legale di LNDC Animal Protection: «I sequestri giudiziari vengono disposti con precisi obiettivi: possono essere “preventivi” con lo scopo di evitare il protrarsi di un reato, oppure “probatori” che servono ad assicurare prove per le indagini. Poi c’è anche una terza possibilità, ma è poco frequente, ossia il sequestro a scopo di tutelare dei beni che possono poi essere recuperati dagli imputati. Probabilmente in questa situazione non si ricade in nessuno dei due casi più frequenti (sequestro preventivo e/o probatorio). Quando uno o più cani aggrediscono, la cattura e il periodo di osservazione degli stessi è una procedura di tipo amministrativo e non penale».
E’ andata così anche in altri casi simili di cronaca, ovvero rarissimi episodi che hanno portato alla morte di una persona, nei quali i cani non sono mai stati sottoposti a sequestro penale ma prelevati, portati al canile sanitario Asl per il periodo di osservazione, sottoposti a valutazione comportamentale per poi essere inseriti in una eventuale procedura di rieducazione, se necessaria. «Perciò, non si tratta di un’anomalia che i cani di Satriano non siano sotto sequestro penale», chiosa l’avvocato.
Un branco troppo numeroso rispetto al numero di capi del gregge e l'assenza del pastore
Il gruppo dei cani da pastore coinvolti è un gruppo assai numeroso: ben 12 di taglia grande con gli adulti che superano i 35 chilogrammi. L'elevato numero di soggetti può essere uno degli elementi che può aver portato a ciò che è accaduto, destabilizzando gli equilibri nel gruppo. Ciò perché il gregge misto di capre e pecore a cui dovevano badare conta circa 200 capi e mediamente sono molti di meno i soggetti necessari per eseguire questo compito. Del resto anche solo da un punto di vista economico, considerando la parte legata alla pastorizia, sarebbe controproducente per chi alleva bestiame avere un rapporto così elevato tra numero di cani e numero di ovini.
Abbiamo intervistato un pastore che vive e lavora con il suo gregge, e i suoi cani, ad Isca sullo Ionio, un piccolo Comune montano della zona, che dista circa mezz’ora di strada da Satriano. Il pastore ci ha spiegato il suo punto di vista: «Ho 170 pecore e 4 cani. Ma non è troppo strano che uno possa averne anche di più: da quando sono tornati i lupi pochi cani possono anche non riuscire a proteggere le capre e loro stessi».
Poi, però, l'uomo ci ha tenuto a sottolineare, pensando a quanto avvenuto nella pineta, che «il pastore deve stare con gli animali, non si può lasciarli da soli. Quando chiudo le pecore invece i cani fanno quello che vogliono: alle volte uno decide di restare in stalla a dormire con loro, altrimenti stanno fuori nei dintorni o sotto nel portico. I miei animali sono comunque qui, a casa mia: se succede qualcosa è certo che io ci sono».
Oltre alla presenza di predatori sottolineata dal pastore che potrebbe eventualmente giustificare il numero dei cani dell’aggressione a Simona, c’è però un dato di fatto che non dobbiamo dimenticare. In queste zone non c’è la cultura della sterilizzazione ma ancora prima non vi è sensibilizzazione da parte delle istituzioni locali nei confronti dei pastori sulla cura da prestare ai propri “compagni di lavoro”.
E la natura fa il suo corso, ovviamente. La vita dei cani da lavoro è dura e il tasso di mortalità dei piccoli, soprattutto se non accuditi anche dall’uomo, può essere alto. Nonostante ciò in poco tempo è facile raggiungere un certo numero di individui se non si prendono precauzioni. E questo è sicuramente uno dei fattori da tenere in considerazione nella valutazione delle circostanze che hanno portato all’incidente. C’è un dato di fatto che coinvolge non solo il territorio di Satriano e non solo la Calabria: all’incuria e alla “distratta” gestione degli animali bisogna associare una carenza nei controlli che, quando avvengono, spesso non sono fatti nel modo corretto, mentre in tante occasioni sono assenti del tutto.
Certo, solo le indagini, il processo e la sentenza finale potranno fare chiarezza sul peso delle varie responsabilità ma per ora è “certa” solo quella dei cani che non si nega visto quanto accaduto, ma l’aggressione è comunque l’ultimo degli elementi, in ordine di tempo, che compongono un puzzle generale. Il punto è comprendere tutti gli aspetti della situazione per prevenire incidenti del genere, affinché non accadano più.
Chi controlla il controllore? La responsabilità della Asp e la continua carenza della Regione
Come mai solo uno dei cani era microchippato? Tra gli inderogabili compiti dell’Asp (Azienda Sanitaria Provinciale) c’è il controllo delle aziende agricole e zootecniche, delle greggi e degli animali impiegati nelle varie mansioni necessarie per la pastorizia. In questo rientrano anche i cani da conduzione e da guardiania che di fatto sono considerati dei “mezzi” indispensabili per lo svolgimento del lavoro dell’azienda.
Certamente la responsabilità di mettersi in regola è del proprietario, ma quella di controllare che le norme siano rispettate è delle Asp. E qui tocchiamo un tasto particolarmente dolente, soprattutto nella regione Calabria. Spetterà agli inquirenti infatti stabilire se i doverosi controlli sono stati eseguiti nelle modalità previste dalla legge, con quale frequenza siano stati fatti e perché l’unica microchippatura dei cani risulti ad un solo individuo di più di 4 anni d’età. Risulta inoltre che il pastore aveva i regolari permessi per transitare con il gregge in quell’area pubblica, sono al vaglio degli inquirenti quali siano stati i parametri utilizzati per assegnare tali permessi.
Certamente in tutto ciò il fatto che il servizio sanitario regionale sia commissariato da molti anni, la totale inesistenza di strutture dedicate e forse un certo lassismo diffuso giocano però un ruolo centrale anche in questa vicenda. La Regione Calabria, come abbiamo spesso messo in evidenza su Kodami, continua a rappresentare un buco nero anche solo relativamente al censimento dei soggetti presenti nelle strutture di pertinenza pubblica. La Calabria, infatti, insieme alla Sicilia, è tra le Regioni “N.P”, ovvero i cui dati sono "non pervenuti" a livello centrale, come si evince chiaramente sul sito del Ministero della Salute.
E di segnali sullo stato di assoluta emergenza ve ne sono stati tantissimi da parte delle associazioni animaliste e dei volontari che da anni cercano di contrastare questa drammatica situazione in merito al controllo del randagismo e dei cani vaganti, come nel caso del movimento “Onda Calabra” nato nel 2017. Associazioni e volontari che di fatto sono caricati di compiti d’intervento sui cani del territorio che spetterebbero alle istituzioni e che quindi a pieno diritto alzano la voce e chiedono al governo della regione di intervenire.
“Onda calabra”: così qualcuno aveva cercato davvero di fare qualcosa
Tra le istituzioni, i cittadini e i cani si muovono le associazioni e i volontari che provano così a colmare le lacune del sistema. A tal proposito Clara Solla, responsabile della sezione OIPA di Lamezia Terme, ricorda l'importante iniziativa nata nel 2017 e denominata “Onda Calabra”, ideata da Viviana Tarsitano. «Onda Calabra era nata dalla necessità di evidenziare ai nostri governanti come il fenomeno del randagismo non potesse essere più trascurato».
Cinque anni fa 25 associazioni animaliste del territorio e molti volontari aprirono dei tavoli di confronto per indirizzare le istituzioni nell’affrontare le varie questioni impellenti relative alla gestione degli animali sul territorio. «I punti salienti di Onda Calabra, inseriti nel “piano straordinario” redatto a seguito di un anno di colloqui con la task force veterinaria istituita dal commissario alla sanità – continua Clara Solla – riguardavano: sterilizzazioni con reimmissione sul territorio e la microchippatura e il censimento dei cani padronali sul territorio calabrese». A tal proposito fu messo in risalto un punto in particolare: «Avevamo evidenziato quanto fosse necessario il controllo sui cani da pastore che rappresentano poi il maggior bacino per il randagismo della nostra regione. Tra le altre cose avevamo richiesto un piano di sterilizzazioni gratuite per le famiglie indigenti, sia per i cani che per i gatti».
Per far queste operazioni sono necessarie però strutture adeguate ed ecco che nonostante i buoni propositi di ascolto delle amministrazioni locali si arrivò a un nulla di fatto: «Erano stati stanziati fondi per la costruzione di canili sanitari in ogni provincia ma non sono mai stati messi in opera. Onda Calabra aveva proposto quindi di utilizzare questi fondi della comunità per creare ambulatori mobili, pensando soprattutto alle varie realtà calabresi, tra le quali vi sono molti piccoli paesini poco raggiungibili». Nel 2018 fu redatto il primo “piano d’intervento straordinario” con tantissime proposte, ma emerse la necessità di alcuni aggiustamenti, che però non convincevano tutti i membri delle associazioni. «Si sono susseguiti vari commissari alla Sanità in Regione e abbiamo così ripreso il tutto nel 2019, riproponendo un altro piano straordinario e per un altro anno siamo andati avanti con tavoli tecnici sempre insieme alla task force veterinaria per giungere ad un piano straordinario convincente». Mancava solo che il documento arrivasse alla firma dell’allora commissario alla Sanità, Saverio Cotticelli, «ma questo non è mai successo», conclude Clara Solla. Ancora oggi, così, il documento è fermo in Regione.
A questo racconto dettagliato di chi ha cercato davvero di cambiare lo stato delle cose, si aggiungono le parole di Serena Voci, Presidente di LNDC Animal Protection di Soverato, nonché vice presidente nazionale, che gestisce un rifugio con circa 160 cani. «Purtroppo qui da noi abbiamo un alto tasso di randagismo e la maggior parte dei cani vaganti sono della tipologia di cani da pastore, tant’è vero che nel 2018 è uscito un decreto legge regionale – per la regione Calabria – in cui all’articolo 13 si mette in risalto che i medici veterinari delle Asp locali, nello svolgere i normali controlli del bestiame, debbano effettuare attività straordinarie obbligatorie di verifica sui cani da pastore, o comunque dei cani presenti nelle aziende zootecniche». La Voci sottolinea che queste attività hanno lo scopo di: verificare la corretta registrazione dei cani all’anagrafe; la sterilizzazione accertata con certificazione medica e nel caso di femmine non sterilizzate, in età fertile, l’eventuale stato di gravidanza, se avanzato, o il recente parto. L’articolo 13, infatti, sottolinea anche che «questi dati dovranno essere raccolti e utilizzati per ulteriori controlli mirati, volti a dissuadere la pratica dell’abbandono che spesso è legata proprio a tale tipologia di soggetti».
Nell’anno 2021, intanto, una ragazza di vent’anni è stata uccisa da un gruppo di cani da pastore, non controllati, non microchippati e che ora sono i soli a scontare quello che sembra essere un “fine pena mai”.
Cosa ne sarà dei cani di Satriano?
Le responsabilità saranno accertate, ci si augura, nelle aule di un Tribunale e la speranza è che la famiglia di Simona Cavallaro possa almeno avere una risposta certa e che a lei sia consegnata tutta la verità su quanto accaduto nell’area picnic sul Monte Fiorino. Questa è la cosa che uno Stato di diritto deve fare nei confronti dei suoi cittadini, soprattutto quando non è riuscito a tutelarli.
E uno Stato civile, allo stesso tempo, deve anche interrogarsi sulla vita degli altri esseri senzienti sul proprio territorio. Di quei cani nessuno se ne è importato prima, e nessuno – a parte chi li sta ospitando in canile – sembra importarsene ora. E la storia di questi individui, il loro comportamento e la loro sorte sono il nostro interesse. Su di loro ci sono ancora molte domande irrisolte, come commenta Michele Pezone di LNDC Animal Protection: «È giusto che si ponga il problema del fatto che nessuno abbia verificato l’effettiva pericolosità di questi cani che avrebbero dovuto, come stabilisce la legge, essere sottoposti ad un periodo di osservazione condotto da medici veterinari Asl – in un canile sanitario – per essere valutati tutti e tredici. Ci sono tanti “se” che possono incidere su questa orribile vicenda. Capire se si è verificata una sfortunatissima congiuntura che si è conclusa in un tragico evento; comprendere se, come accaduto in altri casi in passato, questi cani poi non sono effettivamente pericolosi. Penso soprattutto ai cuccioloni del gruppo: dovrebbero poter tornare là dove stavano prima, sempre tenendo presente che hanno un proprietario e non sono sottoposti ad alcuna restrizione. Ma senza queste valutazioni rischiano di rimanere confinati in un limbo a vita».
Questa è la fine che migliaia e migliaia di cani fanno ogni anno, del resto. Cani che non vogliamo dimenticare e che questo terribile caso di cronaca nera rende esempio della storia di molti. Il destino dei cani di Satriano induce a una riflessione generale, ribadisce quanto ci siano ancora problematiche irrisolte da troppo tempo e non perché non ci siano state persone che vi abbiano dedicato energie e cuore, ma a causa di un sistema che fa acqua da tutte le parti.
Ci sono stati alcuni effetti da quel 26 agosto: il Comando Regionale dei Carabinieri Forestali ha condotto operazioni di controllo a tappeto nelle ultime settimane, nel catanzarese, che hanno fatto emergere diverse irregolarità in molte aziende zootecniche, non in regola con la microchippatura dei loro cani da pastore. Ma il sacrificio di una giovane vita umana e la reclusione senza fine di questi e tanti altri cani sono un prezzo inaccettabile da pagare per evidenziare inadempienze che già da tempo sono state messe in luce.
La tragedia di Satriano simbolo di mondi che si scontrano
La pastorizia è forse la più antica attività economica e lavorativa che vede il Canis familiaris come principale ausiliare dell’uomo. Affonda le sue radici in un’era risalente a circa 10.000 anni fa. Questa attività si avvale di grandi spazi, pascoli, prati, terreni montani e non, e spesso si scontra con la società e la fauna selvatica. Il turismo, l’urbanizzazione, l’occupazione delle aree verdi mettono spesso questi mondi a confronto. Da un lato ci sono comportamenti e prassi antiche – non sempre così bucoliche e romantiche come si è portati a credere, soprattutto nel rapporto con gli animali – e forse restie all’adattamento a nuove norme. Dall’altro una società che via via perde la sua consuetudine con gli animali che divengono meta turistica, figurine di un paesaggio, idealizzati, poco conosciuti, e quindi facilmente fraintesi.
Sopra tutto questo ci dovrebbe essere una forte presenza delle istituzioni che hanno proprio il mandato di gestire l’equilibrio tra i mondi che si vengono a scontrare per garantire il giusto ad entrambi, fin tanto che è possibile. Istituzioni che ascoltano i bisogni delle parti e stabiliscono norme e regole e che poi sanzionano chi non le rispetti.
Pensiamo allora che proprio questo tremendo fatto di cronaca riporti alla luce delle mancanze che da troppo tempo rimangono a covare sotto la cenere. Analizzando quanto è accaduto a Satriano, andando sul posto e mettendo insieme i dettagli che vi abbiamo cercato di spiegare oggi il nostro messaggio è rivolto a una riflessione più generale per evitate che accada ancora una tragedia simile.
La pastorizia richiede l’ausilio di cani guardiani, indispensabili per condurre un gregge e, soprattutto, per difenderlo dalle minacce. Ci sono diverse cose che possono far sentire in pericolo gli individui di un gregge, per esempio i predatori, come i lupi o gli orsi a seconda della zona geografica nella quale ci si trova; un animale si può allontanare dal gregge e perdersi, o mettersi comunque nei guai; un malintenzionato potrebbe voler rubare dei capi di bestiame, eccetera. Su tutte queste cose, e altre, i cani sono chiamati a sorvegliare, a prendere delle decisioni e intervenire. Non è possibile pensare che questo lavoro possa essere svolto da cani di piccola taglia, socievoli con tutti, poco propensi alla difesa dei loro affiliati (in questo caso le capre e le pecore). Non è possibile munire i guardiani di museruole per scongiurare incidenti, sarebbero inutili nella difesa del bestiame; non è possibile assicurarli a delle catene per limitarne gli spostamenti. Tutto ciò è insito nella pastorizia da secoli.
Quindi, il punto su cui soffermarci a riflettere, crediamo, è che tutto ciò stride con la frequentazione del pubblico, soprattutto in assenza di un essere umano che vigili sulle decisioni e i comportamenti autonomi dei cani. Se un gregge stanzia in un’area pubblica, frequentata, la probabilità che succeda un incidente è certamente alta.
Simona Cavallaro si è trovata nel posto sbagliato nel momento sbagliato ma lei, il suo amico, il gregge e i cani e chiunque passi di lì hanno il diritto di stare in quell’area pi nic, dove non ci sono nemmeno cartelli che allertano i cittadini di prestare attenzione agli animali, come accade invece in altre parti d’Italia in cui si trovano segnali chiari per chi passa e che consigliano anche la distanza minima da tenere rispetto al gregge (100 mt.).
Il fatto è che se mondi diversi si sovrappongono come quello della pastorizia e quello del turismo – o comunque della cittadinanza – e nessuno sovrintende perché una convivenza responsabile sia davvero attuabile, la possibilità che incidenti accadano ancora è purtroppo molto alta.
Noi vi abbiamo voluto portare nella vita dei 13 cani di Satriano per evitare che di loro non si sappia più nulla e continueremo a seguire la vicenda. Intanto abbiamo chiesto a LNDC Animal Protection di seguire la loro sorte dal punto di vista legale.
Non finiremo mai di ripeterlo: nessuna vita deve finire così e un pensiero finale va alle persone che hanno amato Simona. Ma non sono i cani a dover rispondere per una colpa che non hanno.