Salgono a 19 i casi di peste suina africana registrati nel Lazio, 18 nel territorio di Roma, uno nella provincia di Rieti.
A confermato è stato l’assessore alla Sanità della Regione Lazio, Alessandro D’Amato, che ha definito «indispensabile» adottare «piani di riduzione della pressione dei cinghiali». E cioè procedere con gli abbattimenti selettivi, così come già disposto dal commissario straordinario per la peste suina africana, Angelo Ferrari.
D’Amato ha sottolineato che le attività di controllo e monitoraggio della cosiddetta “zona rossa”, l’area cioè considerata a rischio per la presenza di potenziali cinghiali infetti, proseguono, così come le annunciate chiusure dei varchi attraverso cui i cinghiali possono raggiungere la città, uno dei provvedimenti disposti con l’ordinanza del 17 maggio del commissario Ferrari. Che prevede anche «l’adozione di misure necessarie a scoraggiare l'urbanizzazione dei suini selvatici, impedendo l'accesso alle fonti di cibo: Roma Capitale, anche per il tramite di propri enti e società, provvede a mettere in atto ogni azione utile al fine di inibire l'accesso ai cassonetti dei rifiuti da parte dei cinghiali e ad ottimizzarne altresì il posizionamento». Lo stesso Ferrari dunque ha riconosciuto il fatto che la presenza dei cinghiali a Roma, ormai abituale, sia principalmente da imputare a un’altra emergenza, che è quella dei rifiuti e dei cassonetti straboccanti da cui gli ungulati attingono andando in cerca di cibo.
La stessa ordinanza prevede inoltre che entro 30 giorni, e dunque entro il 17 giugno, vengano predisposte «le procedure finalizzate alla cattura e all'abbattimento dei suini selvatici a cura della cabina di regia, previo parere favorevole e sulla base delle indicazioni fornite dal gruppo operativo degli esperti». Alla cabina di regia partecipano esperti del Ministero della salute, il commissario straordinario alla Psa Ferrari, la prefettura di Roma, la Regione Lazio, Roma Capitale e Città metropolitana di Roma Capitale.
A occuparsi degli abbattimenti saranno cacciatori appositamente formati aderenti a Federcalcio, una scelta che ha fatto insorgere le associazioni animaliste. Secondo cui la caccia non è il metodo più efficace per contenere il contagio, visto che i cinghiali potrebbero disperdersi, spaventati, e portare il virus fuori dalle aree già circoscritte. È stato inoltre citato un parere dell’Ispra secondo cui la caccia spingerebbe le femmine di cinghiale a fare più cucciolate, cosa che non risolverebbe quindi il problema della massiccia presenza degli ungulati sul territorio nazionale.
A oggi come zona infetta è stata individuata un’area piuttosto estesa che si irradia intorno al parco dell’Insugherata, quadrante nord ovest della Capitale, dove è stato ritrovato a inizio maggio il primo cadavere di cinghiale infetto. L’ordinanza di Ferrari ha quindi ampliato l’iniziale ordinanza regionale, stabilendo i confini di una sorta di “zona cuscinetto”, ovvero quella confinante con la zona infetta, da monitorare per individuare eventuali altri cadaveri e procedere con analisi e rimozione.
Si tratta di confini molto ampi, ma a fare da spartiacque a oggi è il Grande Raccordo Anulare, che sta fungendo da “barriera” alla peste suina africana, anche se il ritrovamento di un cinghiale infetto nella zona del reatino ha costretto ad ampliare ulteriormente il raggio della zona rossa. Le peste suina africana, come già spiegato, non si trasmette all’uomo né a specie animali che non siano suidi. Il problema è rappresentanti dalla possibilità che il virus possa contagiare suini domestici o di allevamento, con pesantissime ripercussioni sul comportato visto che è molto contagioso e quasi sempre ha esito fatale.