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21 Marzo 2022
16:44

Said Beid ha mantenuto la promessa: è tornato dall’Ucraina portando con sé 45 gatti

Said Beid il pet detective lombardo, partito per l’Ucraina con un furgone pieno di cibo e altri generi di prima necessità per gli animali rimasti sotto le bombe, è rientrato in Italia con il furgone pieno di gatti sottratti al bombardamento di Karkhiev.

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È tornato stanco e frastornato, ma sicuramente più felice. Said Beid il "pet detective" lombardo, partito per l’Ucraina con un furgone pieno di cibo e altri generi di prima necessità per gli animali rimasti sotto le bombe, ha mantenuto la promessa fatta ed è rientrato in Italia con il furgone pieno di gatti sottratti al bombardamento di Karkhiev.

«Nonostante gli imprevisti, le grandi difficoltà e la grande stanchezza – racconta Said a Kodami – sono felice di come è andata. Tutto il cibo e il materiale che grazie all’aiuto di tantissime persone abbiamo raccolto è stato consegnato ai volontari e verrà smistato e distribuito ovunque ci sia bisogno». Ma per Said la gioia riguarda anche l'essere riuscito a salvare un bel po' di animali.

«Sono i gatti scampati ai bombardamenti di Kharkiv che erano bloccati senza possibilità di uscita perché non avevano i documenti necessari. È questo che ha determinato le infinite ore di attesa. Alla fine è stato solo grazie a una gentilissima veterinaria della frontiera slovacca che siamo riusciti a sbloccare la situazione. Ho dormito in auto e nei campi profughi, ma almeno tutto questo tempo mi ha permesso di recuperare anche alcuni poveri cani vaganti. Li ho consegnati nelle  mani di fidati volontari che li accudiranno in un posto sicuro, fuori dall'orrore che c'è adesso in Ucraina».

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Il salvataggio e l'angoscia di non riuscire a rientrare

Said Beid è partito per l'Ucraina per portare gli aiuti ai diversi rifugi per animali. Quando però ha sentito la storia di questa volontaria che ospitava 72 gatti e dai quali non si era mai separata, nemmeno al momento dei primi bombardamenti, ha deciso di aiutarla. «Con le prime bombe era riuscita a rifugiarsi nella cantina dove, ovviamente aveva portato anche tutti i mici e lì è rimasta per ben 12 giorni» racconta Said.

«Quando però ha visto che le cose stavano peggiorando, ha cercato di fuggire con loro. Nel viaggio ne sono morti dieci, sei cuccioli e quattro adulti, poi dodici è riuscita a lasciarli a famiglie di amici e conoscenti, mentre con quelli che restavano ha cercato di arrivare al confine con l’Ungheria per incontrarsi con me».

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Said è entrato da solo in Ucraina, perché gli altri volontari sono rimasti alla frontiera. «Con me c’era una ragazza ungherese per aiutarmi nella traduzione che mi ha accompagnato nei diversi rifugi per lasciare tutto quello che avevamo raccolto. Però prima volevo risolvere la questione dei gatti. Perciò mi sono fatto mandare la posizione dalla volontaria e l’abbiamo raggiunta. Poiché la regola vieta di portare più di cinque animali alla volta, ho caricato la mamma con cinque cuccioli, che vale uno, e quattro adulti. Ma tornato alla frontiera, il veterinario mi ha bloccato, spiegandomi che per uscire ci sarebbe dovuta essere anche la proprietaria dei gatti. Mi hanno ritirato il passaporto per ore, ma alla fine niente, sono dovuto tornare indietro dalla proprietaria e cambiare frontiera».

«A quel punto, una volta insieme, ho caricato anche tutti i gatti e siamo quindi ripartiti, diretti questa volta alla frontiera con la Cecoslovacchia. Qui alla dogana tutto bene, mentre alla frontiera vera e propria ci hanno bloccato. Troppi gatti. Prima di passare dovevano fare la visita con il veterinario. E qui è cominciata l’attesa. Io mi sono riparato in macchina con i mici, accendendo di tanto in tanto il riscaldamento per tenerci al caldo. Fortunatamente, il cibo per loro c'era. La proprietaria era stata accompagnata in un rifugio. Insomma, il veterinario è arrivato all’una del giorno dopo. Di 45 gatti ce n’erano 14 da microchippare cosa che ha fatto dicendoci che eravamo a posto. Pensavamo di aver risolto il problema, ma neanche per idea».

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E sì, perché tra i gatti ce n’erano anche di razza: «Questi non rientrano nella categoria di soccorso umanitario hanno necessità di un permesso specifico perché potrebbero essere venduti. Così ho chiamato il mondo, dal consolato all’ambasciata, quando riuscivo perché i problemi di comunicazione sono diversi. Insomma poi alla fine la cosa stava sempre più peggiorando. Era la terza notte senza cibo, al freddo. Anche i gatti non ce la facevano più. Eravamo davvero allo stremo».

A quel punto, però, il destino ha voluto che qualcuno sbloccasse la situazione: «È arrivata una veterinaria che, prima ci ha fatto liberare i gatti in una stanza in modo che potessero muoversi e mangiare più comodamente, e poi insieme al doganiere ci hanno trovato la soluzione per passare. Dare cinque gatti a cinque persone diverse. E così abbiamo fatto, in fila c’erano tanti camionisti e a cinque di loro abbiamo consegnato cinque gatti ciascuno. È così che finalmente siamo riusciti a uscire da quell’inferno».

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Simona Sirianni
Giornalista
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