Riù è l'ultimo gorilla in cattività rimasto in Italia. Si trova allo Zoosafari di Fasano, in provincia di Brindisi, dal 1994, ma la sua storia inizia nel 1975 in Kenya, dove è stato prelevato dal suo ambiente naturale. Dopo i primi anni trascorsi in un circo, Riù è arrivato a Fasano insieme al gorilla Pedro, con il quale ha condiviso la quotidianità fino al 2008, quando il suo compagno è morto in seguito a una malattia.
Una situazione che ha attirato l'attenzione delle associazioni di tutela animale, tra queste Meta Parma che ha lanciato una petizione per Riù, il "gorilla triste", firmata da oltre 64mila persone. La richiesta principale avanzata dagli attivisti è quella di liberare il gorilla poiché «la sua espressione non lascia dubbi: Riù è infelice, è tristissimo», hanno scritto gli attivisti.
Che il gorilla stia vivendo una situazione di disagio e di malessere è però una tesi che la direzione dello Zoosafari di Fasano rifiuta decisamente, come dichiara a Kodami il direttore della struttura, Fabio Rausa: «Riù vive una situazione ottimale, ciò che potrebbe renderla ancora migliore è solo l'arrivo di un altro esemplare, e in questo senso forse il 2023 sarà l'anno della svolta per lui. Fin dal 2008 stiamo lavorando con le associazioni internazionali per trovargli una compagnia».
Il direttore però rifiuta che l'ipotesi che il gorilla stia soffrendo la solitudine: «L'espressività del gorilla è tipicamente ingrugnita, ma ciò non vuol dire che sia davvero triste. Inoltre, Riù non è mai solo: si occupano di lui keepers (guardiani ndr) ed etologhe che lo seguono quotidianamente e lo stimolano attraverso giochi e attività».
Rispetto alle richieste avanzate dalle associazioni di liberare Riù lo Zoosafari oppone un rifiuto deciso: «È una richiesta impraticabile, dettata dal buon cuore, ma senza alcun fondamento scientifico – dichiara Rausa – Fin da cucciolo è vissuto in ambienti controllati dall'uomo e non sopravviverebbe in un contesto naturale». Diniego anche alla proposta di trasferire Riù in un santuario o riserva naturale: «Questi centri non esistono in Europa, esistono solo altri parchi zoologici – dice Rausa – Strutture similari in contesti italiani o internazionali sarebbero molto simili a un giardino zoologico. Mentre le riserve naturali sono parificabili alla liberazione in natura, quindi altrettanto deleterie per la sopravvivenza dell'animale».
La risposta degli attivisti: «Non vogliamo un altro Riù»
La soluzione individuata dallo Zoosafari di Fasano, tra i più grandi d'Europa, resta quindi quella di trovare un compagno a Riù attraverso il circuito internazionale dei giardini zoologici. Una eventualità fortemente osteggiata da Meta Parma, come spiega la referente dell'associazione Katia Ruggiero: «Non vogliamo un altro Riù in una gabbia di vetro. La nostra petizione nasce per portare lui fuori da quella situazione, non per aggiungerne un altra creatura che resterà a sua volta sola dato l'avanzato stato d'età di Riù».
Per gli attivisti, l'unica via percorribile è quella di portare il gorilla in un luogo in cui non sia esposto al pubblico: «A Riù non pesa tanto la solitudine, quanto la prigionia. Chiediamo per lui che sia trasferito in un rifugio o santurario per animali come lui. Luoghi dove possano essere rispettati i suoi diritti di individuo, e non dove non sia esposto al pubblico. Speriamo di trovare questo luogo dove possa trascorrere gli ultimi anni con dignità. Sappiamo bene che non può tornare in natura, ma almeno vorremmo evitare che sia esposto al divertimento del pubblico da dietro una teca di vetro».
Portando un altro gorilla a Fasano, lo Zoosafari oltre a garantire una compagnia a Riù si assicurerebbe di continuare a detenere l'ultimo individuo di questa specie in Italia. Per fare ciò è fondamentale però la collaborazione internazionale tra i vari parchi e giardini zoologici dato che per legge non è più possibile prelevare in natura specie come i gorilla e importarli in Italia. Per rendere quindi gli scambi tra i parchi più semplici sono quindi nati enti che si occupano di tutelare gli interessi della categoria a livello internazionale, tra questi il più importante è l'European Zoo and Aquarium Association (Eaza). Anche se la vita in cattività non è auspicabile per nessun essere vivente, entrare nella rete dell'Eaza significa avere un "bollino di garanzia" rispetto agli standard di qualità della vita degli animali detenuti.
Lo Zoosafari di Fasano non è tra i 307 membri effettivi, tuttavia ha attivato diverse collaborazioni proprio per i gorilla e altre specie protette nell'ambito del Comitato European Endangered Species Program (Eep), e con Università e istituti di ricerca.
Si tratta di collaborazioni fondamentali per gli zoo allo scopo di ottenere una credibilità internazionale tale da ospitare individui provenienti da altri parchi zoologici. La domanda che però continuano a porsi gli attivisti è se strutture come queste abbiano ancora senso di esistere: «Nessun animale dovrebbe vivere rinchiuso in uno zoo, e dovremmo iniziare a capirlo soprattutto dai primati – dice Ruggiero – che appartengono alla famiglia degli ominidi proprio come l'essere umano».
La primatologa: «Impossibile riportarlo in natura»
Parte della comunità scientifica vede però nei giardini zoologici luoghi in cui possono essere messe in atto azioni di conservazione degli animali, utili anche ai fini della loro comprensione. Tra questi c’è la primatologa e professoressa associata dell'Università di Pisa Elisabetta Palagi: «Per prima cosa è bene sottolineare che non è più possibile importare animali dal contesto naturale. Situazioni come quella di Riù, che non a caso è arrivato in Italia negli anni Settanta, non sono più possibili. Detto ciò, l'osservazione delle specie in cattività ci aiuta a capirne le grandi capacità cognitive. Inoltre, gli istituti zoologici forniscono informazioni importanti anche per la conservazione di specie a rischio, e in molti casi danno vita a progetti didattici e di sensibilizzazione rivolti ai più giovani».
Un contesto che Palagi conosce in prima persona avendo studiato i primati in natura e cattività, e in qualità di membro del comitato scientifico del Bioparco di Roma: «Rispetto a 20 anni fa i giardini zoologici sono molto cambiati: oggi è obbligatorio fare ricerca comportamentale e sul benessere degli animali per poter continuare a operare».
Il prezzo da pagare per la conoscenza appare però agli attivisti estremamente alto per Riù in termini di qualità della vita, molti hanno denunciato infatti il suo sguardo triste e sofferente. «Quando vediamo tristezza nei suoi occhi – spiega Palagi – in realtà proiettiamo le sensazioni che proveremmo noi davanti a una situazione di isolamento, forse adesso empatizziamo ancora di più con lui dopo aver vissuto l’esperienza della pandemia. Dovremmo provare a evitare le proiezioni tipicamente umane quando guardiamo gli animali cercando di mantenere posizioni neutre: si tratta di un animale sociale, e come tale non sta mai bene da solo, tuttavia ci sono degli strumenti per migliorare la sua situazione».
Per gorilla nella situazione di Riù, la docente ribadisce l'impossibilità di riportarlo in natura: «Morirebbe sicuramente. Sarebbe un'operazione devastante perché non è preparato. Sarebbe come prendere una persona cresciuta in un contesto antropizzato e lasciarla sola e nuda in una foresta sconosciuta».
Anche la via dell'introduzione di un nuovo individuo della stessa specie non è così semplice da mettere in atto alla luce delle abitudini sociali di questi animali: «Il gorilla ha un'organizzazione sociale ad harem – spiega Palagi – significa che intorno a un maschio si raggruppano numerose femmine in cerca di protezione. Quando un maschio raggiunge l'età adulta lascia il gruppo d'origine per cercarne un altro, e una volta individuato ne rovescia il silverback. Il nuovo maschio passa poi ad uccidere i cuccioli del suo predecessore. L'altissimo numero di infanticidi rappresenta uno dei problemi della conservazione della specie in natura».
Per i gorilla come Riù la letteratura scientifica consiglia di lavorare sull'arricchimento ambientale: «Si è visto l'effetto positivo di coinvolgere i primati in giochi e sfide che li tengano attivi – aggiunge la professoressa – È stato osservato anche in uno zoo in Repubblica Ceca, dove durante la pandemia un gruppo di scimpanzé appariva più apatico a causa dell'assenza dei visitatori, per stimolarli quindi sono stati introdotti filmati di gruppi di altri scimpanzé e persone, una soluzione che ha riscosso successo per un certo periodo, e poi si è cambiato nuovamente per non annoiarli».
Quale futuro per Riù
Riù è l'ultimo esempio di un modo di trattare gli animali che oggi fortunatamente in Italia non è più possibile. Se è rimasto l’ultimo gorilla in cattività nel Paese è perché quarant’anni fa sono state introdotte leggi che impediscono ai circhi e ad altre imprese di sfruttare animali nati liberi, e perché le maglie dei controlli sul benessere animale si sono fatte sempre più strette.
Questo deriva dalla conoscenza che l'essere umano ha acquisito rispetto all'intelligenza e profondità emotiva degli altri animali: sono esseri senzienti e come tali portatori di diritti. La discussione sulla loro spettacolarizzazione però resta ancora attualissima, come dimostra il clamore scatenatosi intorno allo Zoosafari di Fasano. Non è mai sbagliato cercare di conoscere le altre specie che dividono il pianeta con noi, ma per farlo è lecito esporre gli animali ai flash del pubblico pagante? Per la cultura antispecista la risposta non può che essere negativa.
Anche la conservazione degli animali all’interno dei giardini zoologici, dove sono comunque oggetto di spettacolarizzazione, è un tema che vede ancora contrapposte scienza, etica e il comune sentire dell’essere umano. Proprio l’attenzione nei confronti di questi tre aspetti ha portato negli anni Ottanta a impedire l’importazione in natura di numerose specie, e forse, in futuro, condurrà a un maggiore rispetto di individui nella situazione di Riù.