I nostri fidati animali domestici – soprattutto cani e gatti – sono divenuti nell'arco degli ultimi decenni un peso sempre più importante nei confronti dell'ambiente, visto che il loro numero sta aumentando e non li alimentiamo in maniera sostenibile. I gatti e i cani inselvatichiti, inoltre, arrecano danni alla fauna selvatica ed è per questo che in diverse parti del globo alcuni governi, come quello Australiano, hanno cominciato a essere intransigenti nei loro confronti, chiedendo alla cittadinanza di sterilizzarli preventivamente.
Diversi esperti hanno però iniziato a riflettere su come rendere la nostra convivenza meno impattante dal punto di vista ambientale, fornendo delle soluzioni ai problemi che questi animali producono attraverso il nostro comportamento.
Gran parte dei danni ambientali riguardano le feci: ogni anno sono milioni gli animali domestici che depositano le deiezioni nei nostri quartieri e che gli umani di riferimento non raccolgono, lasciando sui marciapiedi dei "ricordini" che non vengono giustamente apprezzati dalla cittadinanza. Di certo però non si può colpevolizzare gli animali se i Comuni sono infestati da pet mate con scarso senso dell'educazione civica e se le amministrazioni non forniscono ulteriori supporti in strada – contenitori e cestini – e controllo maggiore attraverso più che multe con campagne di sensibilizzazione e diffondendo senso civico.
Diversi sono gli ambientalisti che credono però che bisognerebbe effettuare una raccolta più lungimirante, portando i resti in un luogo in cui è possibile restituirli alla natura, come all'interno dei boschi o nei campi non più coltivati, così da consentire al suolo di riciclare il carbonio presente nelle feci e provocare meno danni all'ecosistema.
Per andare poi a limitare la produzione di gas serra, bisognerebbe alimentare i nostri animali domestici con cibi di alta qualità e che siano il più possibile meno impattanti dal punto di vista ambientale. Come evidenziato in uno studio pubblicato su Veterinary Sciences, è possibile anche immaginare di alimentare i cani con cibi che presentano grandi concentrazioni di proteine di origine vegetale, che contribuiscono non solo ad avere un impronta ecologica inferiore ma anche a combattere i sempre più frequenti casi di obesità che colpiscono gli esemplari più anziani.
Secondo uno studio pubblicato su Plos One da Gregory Okin, professore presso l'Istituto di ambiente e sostenibilità dell'Università della California, gli animali domestici sono responsabili di circa il 25-30% dell’emissioni di gas serra collegate alla macellazione e al consumo della carne degli Stati Uniti. «Non ho nulla contro i cani e i gatti – chiarì il professore nel 2017, di fronte alle critiche che gli erano state lanciate – So che apportano molto amore nella vita delle persone, ma credo che le persone che vogliono fare scelte informate o coloro che si stanno impegnando contro il cambiamento climatico dovrebbero avere tutte le informazioni a loro disposizione».
Un altro studio, condotto da ricercatori dell'Università di Edimburgo, ha invece calcolato che ogni anno è necessaria un'area doppia rispetto a quella dell'intero Regno Unito per produrre cibi secchi per cani e per i gatti di tutto il mondo.
Se volete calcolare l'impronta ecologica del vostro cane o cercate consigli per limitare il suo inquinamento, esistono siti come Climatepets che vi aiutano a capire l'impatto e come limitare le emissioni. Per azzerare poi del tutto i danni provocati dai cani alla fauna selvatica, diversi esperti chiariscono che basta sterilizzarli e dotare i loro collari di campanelli, almeno quando siamo in procinto di svolgere con loro una passeggiata in natura.
Altro tema impattante sull'ambiente è il non buttare antiparassitari e pesticidi in natura, visto che questi prodotti normalmente usati sui nostri cani uccidono un grande numero di insetti e organismi quando vengono abbandonati a loro stessi tra le campagne e i giardini pubblici. A favore di questo punto si è dichiarata anche l'Associazione dei Veterinari Inglesi che sottolinea che la maggioranza dei pet mate europei devono, tra l'altro, ancora imparare ad usare i farmaci e gli antiparassitari in modo responsabile. I veterinari inglesi aggiungono anche che loro stessi dovrebbero «sempre adottare un approccio cauto nella prescrizione di antiparassitari, tenendo conto dei rischi per la salute animale, umana e ambientale oltre ai fattori legati allo stile di vita dei singoli esemplari».
Bisogna però ricordare che l'impatto di cani e gatti è molto variabile in tutto il mondo. Pim Martens, professore di sviluppo sostenibile all'Università di Maastricht, ha per esempio affermato in uno studio pubblicato su Bioscience qualche anno fa che l'impronta del carbonio degli animali domestici dipende molto da dove vivono e da come si comportano. Mentre i cani europei o dei paesi più evoluti tecnologicamente dell'estremo Oriente producono infatti molti gas serra perché si alimentano principalmente con carne proveniente da varie tipologie di allevamenti, i cani rinselvatichiti di alcune nazioni centrali dell'Africa ne producono di meno.
Per Martens bisogna inoltre prestare molta attenzione alle aziende che producono cibo per animali, perché non sempre hanno un basso impatto ambientale. «L’industria del pet food non è più un mercato di nicchia: è diventata un settore economico di notevole importanza, un sistema commerciale a se stante in molti paesi occidentali, come in molti paesi in via di sviluppo. Occorre quindi prestare la massima attenzione anche alla produzione commerciale di alimenti per gli animali domestici, se vogliamo ridurre la nostra impronta ecologica come quella di tutte le specie da compagnia», ha scritto il professore all'interno del suo articolo.
Lo stesso scienziato olandese crede tuttavia che è inutile paragonare le emissioni di un cane all'impronta ecologica di un auto, di un aereo o di un'allevamento di mucche, responsabili della maggioranza delle emissioni annuali di CO2 nell'atmosfera. L'importante è far capire ai pet mate come comportarsi, quali scelte effettuare e come ridurre i danni.