Compie venticinque anni la scoperta di Ciro, il primo reperto di dinosauro scoperto in Italia. E per ricordare l'evento, che ebbe una grande risonanza internazionale a fine anni Novanta, i paleontologi del Museo di Storia Naturale di Milano hanno deciso di ricostruire tridimensionalmente al computer i suoi organi interni, in modo da permettere a chiunque di comprendere la fisiologia e le dimensioni dell'animale.
Appartenente alla specie Scipionyx samniticus, Ciro fu trovato a Pietraroia nel beneventano nel 1981, per poi essere studiato a partire dal 1993 da un grande team di esperti, fra cui figurava Cristiano Dal Sasso, che oggi ha ripreso a studiare la specie. All'epoca il suo ritrovamento portò la paleontologia italiana ad una grande rivoluzione e diverse sono le ragioni che hanno spinto questo esemplare di soli 237 millimetri ad entrare nel cuore del pubblico italiano, tra cui la presenza in alcuni documentari televisivi di Mario Tozzi e della coppia di divulgatori padre-figlio Piero e Alberto Angela. Le più importanti sono sicuramente però la provenienza geografica e il primato che gli apparterrà per sempre, visto che fino al suo ritrovamento non erano stati segnalati dei fossili di dinosauro nell'intero territorio nazionale e qualcuno dubitava quasi che ne fossero mai esistiti.
Essendo un cucciolo di solo qualche settimane di vita, il suo ritrovamento fu ritenuto rilevante anche dalla stessa comunità scientifica internazionale, poiché seppur da una parte permetteva di ricostruire la storia geologica della nostra penisola durante il Cretaceo inferiore (113 milioni di anni fa), presentava anche la possibilità di studiare lo sviluppo dei dinosauri nelle loro prime fasi di vita.
Un'occasione più unica che rara che fu impreziosita ulteriormente dalla presenza di molti organi al suo interno molto difficili da trovare in altri fossili. Ed è proprio partendo dall'analisi ultra ventennale di questi organi che è partita l'ultima iniziativa di Cristiano Dal Sasso che prevedeva la ricostruzione digitale di tutti gli apparati del suo organismo.
Grazie infatti a tecniche ormai consolidate nel mondo della paleontologia – come l'uso della Tac o della microscopia elettronica a scansione per fornire calchi del fossile precisi al millimetro – i paleontologi di Milano sono stati capaci di ricostruire nuovamente l'animale, riuscendo stavolta a proporre una versione dettagliata fino al livello cellulare.
Osservando il nuovo modello oggi è possibile riconoscere le masse muscolari della coda e del collo, le pieghe dell'intestino tenue e dello stomaco e anche i tessuti spugnosi dei polmoni, i capillari che circondano il cuore e persino i batteri che colonizzavano l'intestino crasso e i resti di cibo contenuti. Informazioni che non sarebbe stato possibile ottenere in passato e che solo pochi reperti al mondo possono fornire.
Le novità però non finiscono qui. Per la prima volta da 25 anni tra qualche mese sarà possibile infatti osservare il lato nascosto del fossile, quello coperto dalla matrice calcarea che protegge e consolida il reperto. Il 25 marzo sono state presentate le prime scansioni autorizzate di questo lato del fossile da parte della Soprintendenza di Benevento, con la collaborazione di Lucia Pappalardo e Gianmarco Buono dell'Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia che hanno estratto queste immagini presso il Laboratorio di microtomografia all'Osservatorio Vesuviano.
«Queste immagini virtuali saranno ricomposte al computer per vedere a tutto tondo gli organi di Ciro, senza che siano deformati dalla fossilizzazione», ha spiegato Dal Sasso ai giornalisti. Per quanto però questo fossile abbia cambiato (e continui a farlo) la storia della scienza in Italia, risulta molto strano il fatto che dal 1981 non ci siano stati più scavi nella zona del ritrovamento. Dal Sasso aveva infatti qualche tempo fa parlato di questa questione ai giornalisti, spiegando che non serviva «scoperchiare grandi superfici di terra per trovare qualcosa».
Gli appassionati sperano che queste celebrazioni e le nuove scoperte compiute sul fossile di Ciro possano fungere da volano ed indurre la soprintendenza e i vari assessori ad approvare nuovi scavi a Pietraroia, con l'intento di trovare nuovi reperti e magari di delineare meglio l'ecosistema cretacico campano, che presumibilmente era composto da arcipelaghi ed elementi costieri molto dissimili da quelli attuali.