Loro non lo sanno ancora, ma c’è chi è sulle loro tracce e non per cacciarle. I ricercatori dell’Università Milano Bicocca stanno cercando infatti di mappare la presenza della foca monaca, uno dei pinnipedi più rari al mondo e l’unico del Mediterraneo, chiedendo l’aiuto all’acqua e al DNA. In sostanza, alla scienza. Al centro c’è un metodo di rilevazione innovativo e i primi test e le azioni di monitoraggio stanno dando un riscontro positivo. La foca monaca nuota al largo delle coste toscane e siciliane, in tratti di mare poco frequentati.
Sulla rivista scientifica Biodiversity and Conservation gli studiosi hanno raccontato come sono stati in grado di farlo. Alla base del metodo, c’è un assunto: ogni organismo vivente lascia una traccia del proprio passaggio e questa viene rivelata dal suo DNA rimasto nell’ambiente.
Elena Valsecchi coordina il gruppo di DNA ambientale marino (Marine eDna Group) dell’ateneo milanese che da due anni ha promosso il sistema di monitoraggio della biodiversità marina basato proprio sull’analisi del DNA ambientale contenuto in campioni d’acqua raccolti da traghetti lungo le rotte commerciali.
Ecologa molecolare del dipartimento di Scienze dell’ambiente e della terra dell’Università di Milano-Bicocca, docente di Marine Vertebrate Zoology, Valsecchi ha identificato regioni “informative” del DNA mitocondriale della foca che si trovano solo in questa specie di mammifero marino. Sviluppando sonde specifiche per poter “pescare” all’interno di un miscuglio di milioni di molecole di DNA provenienti dagli animali più disparati e presente nel mare, così si è evidenziato il DNA della foca monaca: una sorta di “calamita molecolare”.
In collaborazione con Antonia Bruno, microbiologa del dipartimento di Biotecnologie e bioscienze, si è passati poi allo screening di campioni ambientali. Le sonde molecolari sono quindi state testate sul campo, attraverso il confronto con un ampio spettro di campioni, alcuni dei quali (campioni positivi) contenenti il DNA della foca monaca, come quelli prelevati nelle acque dell’Oceano Atlantico intorno dell’arcipelago di Madera, dove si trova una piccola popolazione stanziale di una trentina di esemplari di foca monaca, grazie alla collaborazione dell’Instituto das Florestas e Conservação da Natureza di Madera.
I test hanno dimostrato l’efficienza delle sonde nell’intercettare la presenza del mammifero marino e hanno convinto i ricercatori a sperimentarle in campioni di DNA ambientale raccolti nel Mediterraneo. «Abbiamo rilevato la presenza della specie – dice Valsecchi – in circa il 50 per cento dei campioni prelevati al largo dell’isola di Lampedusa nell’estate 2020 e in alcuni campioni prelevati tra il 2018 e il 2019 da traghetto al largo dell’arcipelago Toscano nell’ambito del progetto Med for Med, lungo la rotta Livorno-Golfo Aranci (Corsica Sardinia Ferries). L’analisi di circa 50 campioni di acqua prelevati nei mari italiani sia sotto costa che in alto mare ha anticipato alcune delle più importanti segnalazioni e avvistamenti di foca monaca avvenute di recente in Toscana e in Sicilia e ne hanno svelato la presenza in tratti di Mediterraneo finora inesplorati».
«Si potranno monitorare aree dove è già nota la presenza della foca monaca – osserva Emanuele Coppola, documentarista che si è occupato di foca monaca per decenni, nonché presidente del Gruppo Foca Monaca Aps e coautore nella pubblicazione – al fine di stimare il passaggio stagionale dei pinnipedi e il grado di fedeltà al sito, anche durante le stagioni invernali o in orari notturni, e tenere sotto osservazione, in modo assolutamente non invasivo, siti costieri che, per conformazione fisica, costituiscono i potenziali habitat di elezione per la foca monaca, quali grotte riparate dalla forza del mare e con spiagge interne ideali per il parto».