Ancora una volta un pool di associazioni si è raccolto intorno all’idea di promuovere un referendum che blocchi l’esercizio della caccia nel nostro Paese, un’attività che pochissimi condividono e sempre meno persone praticano ma che non si è mai riusciti a far cessare.
L’istituto del referendum in Italia, contrariamente a quanto avviene in molti altri paesi, prevede il raggiungimento del quorum, costituito dalla metà più uno degli aventi diritto al voto, per essere ritenuto valido. Una regola che nella pratica mina la democraticità e l’utilità dello strumento referendario, dove conta più l’astensione che il giudizio di chi ha deciso di votare, dimostrando la volontà di partecipare alle scelte politiche del paese. Per questa ragione molti referendum sono finiti nel cestino della democrazia per non aver raggiunto la maggioranza richiesta, impedendo così agli italiani di scegliere e fra questi anche quelli che si proponevano di chiudere l’attività venatoria.
Il Cadapa (Comitato antispecista difesa animali protezione ambiente), ha promosso, nei mesi scorsi, una raccolta di firme per cercare di arrivare all’indizione referendum, coinvolgendo associazioni sia poco conosciute che più note, nel tentativo di raccogliere le 500.000 firme previste dalla normativa. In simultanea anche il movimento Ora-Rispetto per tutti gli animali ha aperto una campagna referendaria analoga, in solitaria, sullo stesso tema. Questa frammentazione segna ancora una volta un punto a favore degli avversari e apre la strada alle mille critiche che provengono proprio dal mondo venatorio, come quelle comparse su noti siti specializzati che ironizzano pesantemente sul valore degli avversari.
Il nocciolo della questione relativa ai referendum non è soltanto il possibile fallimento, ma anche il fatto che se si arrivasse effettivamente all’abrogazione dell’attività venatoria “ludica”, resterebbe in piedi tutto il complesso meccanismo di gestione faunistica messo in moto dal recente “Decreto 13 giugno 2023 – Adozione del piano straordinario per la gestione e il contenimento della fauna selvatica”, che nei fatti ha spalancato le porte a un luna park venatorio sempre aperto. Per sgombrare il campo da ogni possibile incidente, leggi referendum, il piano straordinario stabilisce che nessuna delle attività di abbattimento e controllo previste dalla norma siano classificabili come esercizio dell’attività venatoria, ma solo come mera attuazione di attività legate alla gestione faunistica. Non più attività ludica, contingentata per tempi, luoghi e strumenti, ma una vera e propria guerra alla fauna, che potrà essere combattuta durante tutto l’anno, con mezzi sino a ora impensabili, come i puntatori laser, i binocoli a intensificazione di luce e i silenziatori, in tutti luoghi e in tutti i tempi. Una deregulation che è molto piaciuta a quel mondo venatorio che sostiene il governo sicuramente più filo caccia dal dopoguerra.
Al di là dei tecnicismi del decreto leggendo il testo appare chiara una visione decisamente contraria all’idea di promuovere la necessaria coesistenza fra uomini e ambiente, inteso nella sua interezza, ma piuttosto l’avvio di una sorta di offensiva contro tutte le specie animali che possono dare luogo a dei conflitti, siano per ragioni di disturbo delle attività antropiche che di tutela degli allevatori in particolare.
In tutto questo panorama, che traccia un quadro desolante delle scelte nazionali in materia di ristorazione ambientale, negando ogni principio scientifico di bilanciamento naturale e sostituendolo con una pretesa capacità umana nel creare equilibrio, tramite azioni per lo più violente di gestione faunistica.
Bisogna poi dire che il contrasto a determinate scelte politiche, da parte del mondo della tutela dei diritti animali e della conservazione, dovrebbe essere messo in atto compiendo scelte di percorso guidate da strategie studiate. Azioni pensate senza seguire l’onda della ricerca di consenso e visibilità, come purtroppo sembrano indicare le scelte di avviare l’ennesima campagna referendaria contro la caccia. Il referendum, infatti, rischia di infrangersi prima del voto contro il mancato raggiungimento del numero di firme necessario alla sua indizione.
Un assist fornito all’avversario, che poteva essere evitato studiando i risultati ottenuti nei precedenti tentativi e prendendo atto della frammentazione causata nello schieramento di tutti i portatori di interesse. Per questo sarebbe importante che in vista della prossima scadenza elettorale europea le associazioni cercassero un confronto più stringente con la politica, tentando di costruire un movimento compatto e correttamente orientato. Il tempo è poco, il compito non è piccolo, ma quest’occasione potrebbe essere più importante delle precedenti, considerando la crisi ambientale in atto.