Era il 2015 quando ho partecipato a uno dei miei primi campi d'inanellamento a scopo scientifico, una tecnica che consiste nel marcare gli uccelli con piccoli anelli metallici, per identificarli e sapere dove vanno quando migrano. Precisamente, era fine agosto, proprio il periodo che viene chiamato "migrazione d'andata" perché gli uccelli migratori cominciano a spostarsi verso l'Africa, dove passeranno l'inverno al calduccio per poi tornare verso la primavera.
Mi trovavo a Migrandata Matese, un campo naturalistico realizzato dall'Associazione ARDEA per monitorare l'avifauna sedentaria e migratrice del Parco Regionale del Matese, in Campania, con particolare focus sui roost di rondini. Ed è proprio qui che ho incontrato per la prima volta il protagonista di questa breve storia: il torcicollo (Jynx torquilla).
Ancora non ero una gran conoscitrice del mondo dell'ornitologia e mi approcciavo a questa nuova esperienza con grande entusiasmo, catapultandomi fuori dalla tenda ogni mattina, quando ancora era buio, e andando a dormire tardi la sera, aspettando che tutte le rondini catturate venissero inanellate.
Sveglia all'alba per andare a controllare le reti, lunghe camminate calpestando con gli scarponi mille sentieri, convivialità e scambio di conoscenze continuo erano il principio e la fine di ogni giornata. Mi cominciava a piacere davvero quel mondo in cui potevi osservare da vicino le diverse specie di uccelli che popolano i nostri cieli, renderti conto per la prima volta delle bellissime sfaccettature di colore che tingono le loro penne, scoprire da dove sono arrivate, immaginare dove se ne andranno e prender parte, anche solo per un secondo, alla loro storia, conscia che conoscere è la chiave per poterli tutelare.
Ogni ora bisognava essere pronti per il nuovo giro alle reti: gli uccelli infatti non devono rimanerci per troppo tempo ma al contrario, devono essere prelevati velocemente, per cui il monitoraggio era continuo. Le specie che prendevamo erano tante: oltre alle rondini (Hirundo rustica) anche balestrucci (Delichon urbicum), tordi bottacci (Turdus philomelos), pettirossi (Erithacus rubecula), gufi comuni (Asio otus), averle piccole (Lanius collurio), tarabusini (Ixobrychus minutus), luì verdi (Phylloscopus sibilatrix), capinere (Sylvia atricapilla), codirossi comuni (Phoenicurus phoenicurus), cannaiole (Acrocephalus scirpaceus), scriccioli (Troglodytes troglodytes) e anche un bellissimo martin pescatore (Alcedo atthis) dall'azzurro cangiante.
Ogni uccello preso e poi rilasciato era una fonte di conoscenza continua, e man mano che passavano i giorni, cominciavo a riconoscerli da sola e farmi un'idea su quelli che potevano essere i loro comportamenti al momento della cattura e a capire chi aveva bisogno di essere prelevato immediatamente, perché più sensibile allo stress rispetto ad altri. Durante uno dei tanti giri alle reti, vidi da lontano quel che mi sembrava essere un pezzo di corteccia: d'altronde rametti o foglie si incastravano frequentemente tra le maglie delle reti e non era quindi poi tanto strano.
Mi avvicinai e "la corteccia" incredibilmente prese vita: cominciò a muoversi e si iniziò a scorgere la sagoma di un'ala. A meno che non fossi impazzita, non poteva essere un pezzo di albero, e la conferma mi arrivò appena toccai la rete: era proprio un uccello, affascinante ed elegante, che ogni tanto alzava le piume sulla testa, dando l'idea di indossare una parrucca alla Luigi XVI. I suoi colori erano così mimetici e particolari che, non so bene perché, mi dava l'impressione di star guardando dentro a un caleidoscopio. D'altronde, le sue prede principali sono insetti e formiche, che trova generalmente sul terreno o nel legno in decomposizione, quindi mimetizzarsi con questo e rendersi poco visibile era una gran bella strategia.
La sorpresa più grande arrivò però poco dopo, quando lo liberai dalla rete: mi guardò e cominciò a girare la testa in tutte le direzioni, facendo delle ondulazioni da una parte e dall'altra, quasi attorcigliandola su sé stessa. Pensai che potesse essere una sorta di rituale di corteggiamento e, onestamente, mi sentii piuttosto onorata della situazione che si stava creando. C'era però qualcosa di familiare in quel movimento che, al momento, non mi venne subito in mente.
Seppi dopo che si trattava di un torcicollo (Jynx torquilla), una specie appartenente alla famiglia dei picchi, che nidifica principalmente nelle regioni temperate dell'Europa e dell'Asia, e che passa l'inverno nell'Africa tropicale e nell'Asia meridionale, con una piccola popolazione che invece è residente in Africa nord-occidentale. È l'unico picchio europeo ad effettuare migrazioni a lunga distanza, arrivando a Sud del Sahara. E no, non mi stava corteggiando: il torcicollo infatti quando viene disturbato può mettere in atto questi particolari movimenti della testa, riuscendola a girare di quasi 180 gradi, con delle ondulazioni che danno l'idea di essere un serpente che si attorciglia, cercando di spaventare così i potenziali predatori.
Ecco perché il movimento mi sembrava familiare! Purtroppo il picchio non si era innamorato di me ma stava solo cercando di spaventarmi: un brutto colpo per la mia autostima. Ma non è l'unico comportamento particolare che questo meraviglioso uccello può assumere: il torcicollo infatti, può anche fingere di essere morto, la cosiddetta tanatosi, per sfuggire ai predatori, pendendo mollemente con gli occhi chiusi. A volte poi si può osservare anche quando si mette in mostra, facendo un'esibizione: due uccelli posti uno di fronte all'altro muovono la testa su e giù, con la testa indietro e il becco spalancato. Se l'avessi saputo prima, non mi sarei fatta delle aspettative…
Insomma, la mia avventura nell'ornitologia era solo all'inizio ma avevo subito capito che non l'avrei più lasciata. D'altronde, è proprio qui che ho fatto le più grandi amicizie e ho imparato a trascorrere il tempo in quella maniera wild e conviviale che tanto mi piace. I campi di inanellamento si sono susseguiti negli anni successivi, fino a poco prima della pandemia, e quest'anno sono finalmente riuscita a tornare. MigrAndata non si fa più sul Matese ma, da quest'anno, si chiama “MigrAndata – Cervati”, perché si effettua appunto sul Monte Cervati, in Cilento, dove si trova la vetta più alta della Campania. Il progetto è ideato e curato dall’Associazione Ardea APS e la stazione di inanellamento è situata a ben 1880 m. s.l.m., fra i comuni di Sanza e Piaggine, nel cuore del Parco Nazionale del Cilento, Vallo di Diano e Alburni, che patrocina la ricerca. MigrAndata Cervati si aggiunge all'unica stazione di alta quota dell'Appennino e si pone come obiettivo quello di monitorare l’avifauna migratrice e stanziale presente sul Monte Cervati raccogliendo dati sulla migrazione degli uccelli in contesti di alta quota, soprattutto i migratori transhariani, rappresentando la prima indagine di questo tipo di tutto l'Appennino meridionale.
Ho partecipato anche a quest'ultimo campo dove, nonostante fosse agosto, faceva davvero molto freddo e non avevamo a disposizione né acqua calda né corrente, se non per un paio d'ore la sera. I paesaggi, gli uccelli e la convivialità ripagavano però del freddo e la fatica: ogni mattina ci si alzava presto e si potevano ammirare i panorami mozzafiato, costituiti principalmente da petraia, dove ogni tanto passava qualche mucca e qualche cavallo. La luce colpiva la terra come se l'avesse voluta tagliare a metà, facendo dimenticare che c'era un mondo oltre quelle reti. Ogni ora c'era il solito giro di controllo, costellato di salite e discese, e ad oggi, sono già 200 gli uccelli presi tra cui un bellissimo sparviere (Accipiter nisus), un ciuffolotto (Pyrrhula pyrrhula), qualche picchio muratore (Sitta europaea) e tantissimi codirossi spazzacamino (Phoenicurus ochruros). La sera, prima di andare a dormire, con le gambe stanche, si tagliava la legna e si accendeva la stufa, in attesa di cenare tutti insieme.
Quest'anno non sono riuscita a fare una lunga permanenza, ma, proprio il giorno in cui me ne dovevo andare, l'ho incontrato: mi trovavo alle reti e, non appena ho riconosciuto che era un torcicollo, sono corsa a liberarlo. Togliendolo delicatamente dalle maglie, l'ho tenuto in mano e l'ho guardato. Ha cominciato a muovere la testa, come la prima volta. Questa volta sapevo che non mi stava corteggiando, ma per me era comunque un grande gesto d'amore.