I lupi sul territorio italiano sono circa 3.307. Questo dato è stato pubblicato da ISPRA all'interno di un report redatto in seguito al primo progetto nazionale di monitoraggio della specie, che ha avuto inizio nel 2018 con l'obiettivo di conoscere la consistenza (intesa come numero di individui) e la distribuzione del lupo sul territorio del nostro paese.
Le informazioni sono state raccolte utilizzando le "Linee Guida per il monitoraggio del lupo in Italia" redatte da ISPRA, in collaborazione con esperti nazionali ed internazionali, che hanno deciso di suddividere il territorio italiano in due contesti disgiunti, ovvero quello alpino e quello appenninico, anche detto peninsulare.
Per quanto riguarda il coordinamento delle regioni alpine il progetto è stato seguito dal Centro referenza grandi carnivori del Piemonte e dall'Università di Torino (DBIOS), nell’ambito del progetto Life WolfAlps EU, mentre per le regioni peninsulari è stata attivata una collaborazione tra ISPRA e Federparchi Europarc Italia, ovvero la Federazione Italiana dei Parchi e delle Riserve Naturali.
«Questo progetto ha l'importante obiettivo di creare una stima affidabile e rigorosa, che permetta di superare il problema della disomogeneità della raccolta dei dati in Italia – spiega a Kodami Laura Scillitani, componente del team di Life WolfAlps EU ed esperta di comunicazione scientifica – Fino ad ora ogni ente svolgeva il monitoraggio in maniera diversa, ma solo grazie all'uniformità dei metodi è possibile comprendere realmente l'andamento della popolazione a livello nazionale e la sua diffusione».
I risultati dei monitoraggi
«Questi numeri ci dicono che il lupo, ormai, non è più in pericolo di estinzione – afferma Giampiero Sammuri, presidente di Federparchi, commentando i dati – Probabilmente nella prossima revisione della Liste Rossa delle specie, il lupo si collocherà allo stesso livello della volpe: tecnicamente Least Concern, secondo le categorie IUCN, ossia fuori pericolo».
Per ottenere questi risultati, tra il mese di ottobre 2020 e aprile 2021, sono stati raccolti i segni di presenza delle specie all'interno di 1000 celle quadrate con il lato di 10 chilometri l'una, situate nei territori preventivamente selezionati da esperti ISPRA, con la collaborazione di un pool di ricercatori universitari. Durante queste operazioni, che hanno portato oltre 3000 persone appositamente formate a percorrere 85 mila chilometri totali a piedi, sono stati raccolti 24490 segni di presenza della specie, di cui 6520 avvistamenti fotografici ottenuti grazie alle foto trappole, 491 carcasse di ungulato predate dal lupo, 1310 tracce e 171 lupi morti. Inoltre, sono state condotte le analisi genetiche su 1500 escrementi, su una base di 16 mila dati registrati.
In questa fase, conclusasi nell'aprile del 2021, hanno collaborato 20 Parchi nazionali e regionali, 19 regioni e provincie autonome, 10 università e musei, 5 associazioni nazionali (Aigae, Cai, Legambiente, Lipu, Wwf Italia), 34 associazioni locali, 504 reparti del Comando Unità Forestali Ambientali e Agroalimentari dell’Arma dei Carabinieri.
I dati della zona alpina e della zona peninsulare
Considerando la "forchetta di errore", ovvero l'intervallo che indica il livello di accuratezza del valore stimato, detto anche intervallo di credibilità, secondo quanto osservato tra il 2020 e il 2021, nelle regioni peninsulari del nostro paese, i lupi sono circa 2388 (con una variabile da 2020 a 2645). Sempre per quanto riguarda le regioni peninsulari, l’estensione complessiva della distribuzione è risultata pari a 108.534 chilometri quadrati, i quali corrispondono alla quasi totalità degli ambienti considerati idonei dai ricercatori.
Per quanto riguarda le regioni alpine, invece, il numero stimato varia dagli 822 ai 1099 lupi. Di questi, 680 individui (intervallo di credibilità 602-774) appartengono alla popolazione centro occidentale, mentre 266 (con una variabile da 204 a 343) appartengono, invece, alla sezione centro-orientale della popolazione. L'estensione del territorio all'interno del quale è diffusa la specie è pari a 41.600 Km2, ovvero il 37% della superficie delle regioni alpine.
I lupi rilevati Liguria, Piemonte, Valle d'Aosta, Lombardia, Province Autonome di Trento e Bolzano, Veneto e Friuli Venezia Giulia (comprese anche le zone collinari e di pianura di queste regioni) sono suddivisi in 102 branchi e 22 coppie, per un totale di 124 unità riproduttive. La maggior parte di esse è concentrata nella popolazione occidentale dell'arco alpino, dove sono presenti 91 branchi/coppie, mentre nella zona centro orientale sono solo 33.
Un ulteriore importante dato rilevato dal monitoraggio riguarda i lupi che si muovono su territori transregionali: 10 branchi sono a cavallo delle Province Autonome di Trento e Bolzano e la regione Veneto. «Questi risultati rappresentano un'ulteriore conferma della necessità di un monitoraggio unitario – aggiunge Scillitani – D'altro canto al lupo non interessano i confini dettati dagli uomini».
L'ibridazione con il cane e il futuro del progetto
Nell'ambito del monitoraggio nazionale, sono stati rilevati, inoltre, i dati riguardanti il patrimonio genetico della specie che, anche secondo un recente studio condotto dall'Università La Sapienza di Roma, in collaborazione con il Parco nazionale dell’Appennino tosco-emiliano, è minacciata dalla potenziale ibridazione con i cani.
Dalle analisi condotte sui campioni raccolti nell'area peninsulare, infatti, sono stati identificati 513 individui, di cui solo il 72,7% non ha mostrato alcun segno di ibridazione con Canis lupus familiaris. L'11,7%, invece, mostrava segni di ibridazione recente e il 15,6 % di un'ibridazione più antica (oltre approssimativamente tre generazioni nel passato). Nel testo del report pubblicato sul sito di ISPRA, viene però sottolineato che: «I valori ottenuti non rappresentano una stima formale del fenomeno, ma una base per gli approfondimenti su questa rilevante minaccia: per poter valutare il tasso di ibridazione, sarebbero necessarie ulteriori indagini».
Ogni risultato ottenuto nell'ambito di questo progetto verrà ora inserito in un database nazionale, che sarà messo a disposizione di regioni e altri enti a supporto delle future azioni di monitoraggio. I dati verranno inoltre pubblicati in articoli scientifici, i quali riporteranno tutti i dettagli dell’indagine, in maniera tale da permettere una verifica da parte della comunità scientifica delle metodologie utilizzate e favorire una condivisione di metodi e risultati di questo ambizioso progetto, che rappresenta uno dei primi monitoraggi nazionali in Europa e potrà, quindi, fornire importanti informazioni anche a livello internazionale.
«L'importante lavoro che è stato svolto in questi anni nel nostro paese aiuterà anche a verificare l'andamento della specie nel tempo – conclude Scillitani – Si tratta di un buon esempio che andrebbe applicato a tutte le specie protette dalla Direttiva Habitat, perché solo conoscendole possiamo davvero comprendere come reagire nel tempo e strutturare appositi progetti di coesistenza».