«La donzelletta vien dalla campagna…». Tutti ricordiamo l’incipit de "Il Sabato del Villaggio". Giacomo Leopardi racconta l’aria frizzante e carica di aspettative di un borgo il giorno prima della festa. Descrive con enfasi il clima carico di speranza, di gioia ed aspettativa. Ma in realtà tutto è costruito ad arte per rendere ancora più netto il pessimismo di fondo del poeta. Talmente sconfinato da definirsi “cosmico”.
Secondo Leopardi il destino dell’uomo è l’infelicità. Solo nell’infanzia o nell’antichità era diversa la nostra condizione in quanto le scarse conoscenze cedevano spazio all’immaginazione. Mentre la verità è che vi è una natura indifferente alle sorti del singolo e che così come crea altrettanto indifferente distrugge. In cui il presente è fatica e sofferenza, dove ogni cosa è destinata a deperire e a morire. Una natura definita non madre, ma matrigna.
La felicità per il poeta è nell’attesa di ciò che ancora deve arrivare. È nell’aspettativa. È appunto nel sabato quando, pregustando il dì di festa, tutti gioiscono all’idea del sospirato riposo. Nelle sue parole il sabato, dei sette, è il giorno più gradito, pieno di speranza e di gioia. Mentre l’indomani tristezza e noia accompagneranno lo scorrere delle ore. Ed alle vecchie preoccupazioni ognuno «in suo pensier farà ritorno».
Prendere un cane, a volte, è come “Il sabato del villaggio”
Ecco per molti la decisione di prendere un cane è un po’ come “Il sabato del villaggio”. Si creano grandi aspettative e si comincia ad immaginare tutto ciò che di bello porterà il nuovo arrivo. Si fanno grandi preparativi: la cuccia, il guinzaglio e il collare con la medaglietta, i giochini da fargli trovare già pronti, la pappa… Insomma l’attesa è un’epifania, un momento di gioia in cui i legami familiari si rinsaldano, si fanno progetti, si immagina una vita nuova e più bella. Prima ancora del cane in carne ed ossa la famiglia accoglie già un nuovo membro: il cane immaginato, il cane desiderato, voluto, spesso già prefigurato. Un cane sul quale si depositano aspettative, desideri, speranze.
Ma cosa accade dopo l’arrivo? Accade che Rambo, Nikita, Laika, Argo o come preferite chiamarlo si troverà addosso una grande responsabilità: quella di confermare le nostre attese, di realizzare i desideri, di non deludere le aspettative. Essere il nostro bodyguard muscoloso, guidarci in mirabolanti avventure, condurci fin sulla luna o attenderci paziente e fedele a casa fino al nostro ritorno come Argo, il cane di Ulisse, un vero simbolo della fedeltà: lo attese per lunghissimi anni e poi morì contento una volta compiuta la sua missione: festeggiare il rientro del suo padrone.
Chi è davvero il cane che arriva a casa?
Ma chi è in realtà il soggetto che entra nelle nostre case? È un mammifero ignaro di tutto ciò. È un individuo che nel migliore dei casi sarà quanto meno disorientato del cambiamento. Che non sa nulla di noi, delle nostre abitudini e tanto meno delle nostre aspettative. È un cane che, coi suoi mezzi, da oggi in poi cercherà di capire chi siamo, secondo quali regole si svolge la vita e cosa aspettarsi per il minuto dopo. Che ci osserverà, ci studierà e proverà a fare cose.
Potrebbe essere un cuccioletto, che nulla sa ancora del mondo, il cui principale interesse è quello di mettere in bocca qualunque cosa capiti a tiro, che ci lascia il dubbio se sia normale fare la cacca 6/8 volte al giorno, o se lo faccia solo per sporcare quanti più posti possibili. Se invece è già adulto, per esempio preso da un canile, è un individuo che sta cercando di capire cosa sta accadendo; perché, dopo mesi o anni in cui in cui la sua vita era un box e poco più, ora c’è tutta questa gente sempre intorno che lo vuole toccare, che lo chiama, che gli dice fai questo fai quello come se già dovesse sapere come si fa.
E così ci accorgiamo che quel cane non è più un oggetto del pensiero che possiamo plasmare e immaginare a nostro piacimento, ma un soggetto reale, con una sua personalità, un carattere, delle emozioni; che si muove in autonomia e fa cose di cui spesso non capiamo il perché. E ci accorgiamo anche che il resto della nostra vita non è poi così cambiato. Il lavoro, gli impegni, le relazioni. Solo che ora c’è anche lui. E così quello che doveva essere il dì di festa si manifesta per ciò che in realtà è: un incontro con la realtà, a volte uno scontro. Ci rendiamo conto che ciò che dovremo fare sarà spesso ben diverso da ciò che immaginavamo.
Importante è capirsi e superare il “pessimismo cosmico” nei momenti di difficoltà
È qui che il piccolo Leopardi che è in noi alle volte viene fuori. Viene fuori il pessimismo cosmico. La natura matrigna si incarna in quel suo rappresentante che sembra arrivato a dimostrarci che la vita è sofferenza, che tutto, ma proprio tutto, si può distruggere. E cominciamo a pensare a come sgridare, punire, fargli capire che questo no e quell’altro nemmeno. È tipico di noi umani focalizzarci sulle cose che non vanno. Pensare che l’educazione avvenga per sottrazione, ponendo attenzione solo sulle cose da non fare e pensando che basti ciò per imparare.
In realtà l’educazione è ben altro. È dare supporto, dare modelli, esempi, possibilità di sbagliare. È dare un indirizzo e incanalare le energie. È dare, non togliere. È guardare ciò che c’è e non ciò che manca. Perché ogni azione è sempre l’espressione di un bisogno e il nostro ruolo non è negarlo, ma capirlo e dargli il giusto appagamento. L’educazione è relazione, vicinanza. L’educazione è impegno nel fare. È imparare a gioire delle piccole cose e far sentire l’altro capace e adeguato.
Leopardi ci insegna che anche le cose più belle possono esser viste dal lato negativo. Ci dice che perfino l’immagine di un’ape posata su un fiore può esser vista come fonte di «indicibili tormenti di quelle fibre delicatissime». Ma il poeta ci insegna anche che, per quanto possa apparirci imperfetto, la felicità va cercata nell’oggi, in ciò che abbiamo e non in un domani che è solo nella nostra immaginazione. Sta solo a noi cambiare prospettiva e«così tra questa immensità s’annega il pensier mio: e il naufragar m’è dolce in questo mare».