«Nella nostra società quando si parla di diritti non si non si mette mai in discussione la struttura sociale in cui viviamo insieme ai cani». È una delle riflessioni che Davide Majocchi, presidente dell'associazione Pensiero Meticcio che gestisce il canile municipale di Gallarate, porterà a Napoli sabato 27 maggio 2023.
Majocchi vive e lavora all'interno della casa famiglia da lui fondata a Varese e la questione sociale di tutti gli animali in difficoltà, che siano umani o cani, è per lui prioritaria. L'attivista mira a ripensare il ruolo del cane nella nostra società e lo spiegherà negli spazi della Fondazione Foqus a partire dalle ore 18. «È ora di mettere in discussione l'antropocentrismo nelle sue forme più insidiose. Iniziamo a riconoscere tutte le forme di sfruttamento che compiamo verso i cani, aggiungendo anche la "funzione di compagnia" alla quale spesso releghiamo il nostro compagno animale».
Majocchi non ha risposte, ma la volontà di abbattere muri e dogmi esistenti quando si parla di cani e di relazione tra le specie, per iniziare un dialogo che punti a nuovi orizzonti. L'attivista ha espresso il suo pensiero all'interno di "Cani ai margini", libro pubblicato con Prospero editori, che ha curato insieme a Luciana Licitra e che avrà come sede della prima presentazione proprio la città di Napoli.
Il libro accoglie il contributo di volontari, veterinari ed esperti sul ruolo ricoperto dai cani all'interno della nostra struttura sociale. Tra questi c'è anche Luca Spennacchio, istruttore cinofilo e membro del comitato scientifico di Kodami, con un intervento dedicato proprio ai cambiamenti cinofili.
«Con questo volume vogliamo mettere in discussione il modo stesso con cui l'approccio cognitivo viene presentato, alzando l'asticella della discussione», spiega Majocchi. L'approccio cognitivo zooantropologico è un modo di intendere il comportamento del cane (e di ogni animale) come il frutto delle conoscenze che possiede del mondo e di se stesso costruite in base all’esperienza e grazie a diverse capacità in possesso di ogni singolo soggetto.
Si tratta di un approccio moderno della cinofilia che tiene conto dell'animale come individuo dotato di cognizioni ed emozioni, ma per Majocchi non è ancora sufficiente: «Posto che la reciprocità che viene impostata in questo caso è migliore rispetto all'approccio coercitivo, dobbiamo tenere presente che sono cambiate molte cose rispetto al passato, ma ciò non significa essere arrivati a destinazione. Da qui la necessità di dare voce anche a una visione più complessa».
Questa discussione inizia dal basso, tra chi conosce i cani da lungo tempo, ma per esercitare pienamente i suoi effetti deve arrivare a chi si trova in posizione decisionale. «Esiste una discriminazione di fondo che dobbiamo indagare, ma lo dobbiamo fare chiamando in causa la politica e le istituzioni, che per primi hanno contribuito a marginalizzare i cani, e talvolta anche le persone».
Tra i temi al centro del pensiero di Majocchi c'è anche quello di "razzismo animale". Conoscere il bagaglio che le razze selezionate dall'essere umano hanno ereditato nel corso dei secoli si rivela in molti casi fondamentale per comprendere pienamente le loro motivazioni e bisogni, eppure questa selezione in molti casi ha condotto a un vero e proprio maltrattamento, come nel caso dei soggetti brachicefali.
Per Majocchi però il discorso può andare ancora oltre: «Nel testo c'è un contributo del veterinario Massimo Raviola. Con lui discutiamo del concetto di razza applicato ai cani, e della necessità di trattarlo come si fa per gli esseri umani: superandolo. Vogliamo rompere questo che è forse il più grande tabù della cinofilia. È un tema chiaramente complesso, ma puntiamo proprio a mettere in discussione i dogmi».
Un'altra etichetta da cancellare è quella di "cane fobico": «Ci sono nuove forme dinamiche da tenere presenti quando ci troviamo davanti a un animale con difficoltà a relazionarsi nel modo in cui vorremmo – sottolinea Majocchi – Davanti a questi casi dovremmo valutare i tratti dell'individuo come caratteristiche, e non come difetti o mancanze, un po' come avviene quando si parla di disabilità. Se riusciamo a superare questo e altri schemi rigidi, ci accorgiamo che anche questi animali hanno molto da dire, anche se spesso non lo dicono a noi.
«Il mio obiettivo è quello di iniziare un dialogo che duri – sottolinea Maiocchi – e che punti alla costruzione di un movimento di liberazione, in alternativa a quello protezionistico vigente che vuole il cane come sì parte della famiglia, ma in posizione subalterna, negando gli altri momenti fondamentali nella vita di questo animale, essere senziente esattamente come noi».
Per l'attivista «è ora di aprire una discussione su temi dei quali non parliamo mai, come la sottomissione legalizzata del cane. Siamo arrivati a condividere l'idea che i cani debbano vivere con noi, o che debbano essere rinchiusi in canile, mentre in realtà le comunità canine, scevre dal dominio dell'uomo, devono trovare un proprio spazio di cittadinanza».
Si tratta di una riflessione che necessariamente coinvolge quei cani ritenuti autonomi per definizione. «Che cosa significa randagismo? – si chiede Majocchi – In alcuni ambienti, anche tra i più evoluti, si pensa che il cane vagante sia libero, ma cosa significa questo concetto all'interno di un sistema per il quale sei invisibile? È chiaro quindi che quando parliamo di "liberare i cani" non ci riferiamo allo spazio, ma a qualcosa di più profondo. Una volta tolto il guinzaglio c'è la libertà? No, c'è molto altro, approfondiamo di cosa si tratta».
La questione, non è pratica, ma concettuale: «Esiste una struttura imponente alla quale tutti gli addetti al settore contribuiscono, consapevolmente o meno, ed è quindi bene iniziare a riconoscerla», conclude Majocchi.