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24 Ottobre 2021
17:00

Quando e perché si è estinto l’uro

L'uro è stato uno dei più grossi bovini selvatici che un tempo vagavano per l'Europa e non solo. Portato all'estinzione dall'uomo è stato però domesticato almeno due volte ed è quindi l'antenato selvatico di tutti i bovini domestici attuali. Proprio per questo in molti stanno provando a "riportarlo in vita"

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Ammirando le spettacolari pitture rupestri delle grotte di Lascaux è possibile riaccendere eccezionali momenti di vita vissuta antica e ormai lontana. Una serie di istantanee preistoriche raffiguranti non solo le società umane paleolitiche, ma anche e soprattutto la biodiversità e l'ecologia di una Europa selvaggia oramai perduta. Sulle pareti delle caverne, alle porte del piccolo villaggio di Montignac, troviamo infatti cavalli, cervi, bisonti, uccelli e orsi ormai estinti da tempo, ma anche e soprattutto maestosi e possenti bovivi selvatici che un tempo vagavano indisturbati per tutta l'Eurasia, gli uri.

Questi imponenti tori hanno vissuto fianco a fianco con l'uomo per molto tempo, sono stati anche descritti da Giulio Cesare nel suo De bello Gallico e sono presenti in tantissimi altri testi latini e non solo. L'uro è però ormai estinto da tempo, anche se ha provato a resistere per lungo tempo. La sua eredità è oggi custodita solamente nei bovini domestici, ma in molti stanno provando a riportarlo in vita. Ma com'era fatto l'uro? E quando e perché si è estinto?

Un toro primordiale

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Copia di Charles Hamilton Smith di un dipinto forse risalente al XVI secolo che raffigura un uro

L'uro (Bos primigenius) era una specie di grosso bovino selvatico un tempo diffuso in quasi tutta Europa, in buona parte dell'Asia e in Nord Africa. Quasi tutto ciò che sappiamo di questo erbivoro lo dobbiamo ai resti scheletrici e soprattutto alle descrizioni storiche, alle numerose raffigurazioni come quelle di Lascaux e alle illustrazioni. Il suo aspetto era paragonabile a quello di molti bovini attuali, e le sue dimensioni variavano molto in base alle regioni. Le popolazioni dell'Europa settentrionale sembravano essere quelle più grosse, con i maschi che raggiungevano anche 180 centimetri di altezza alla spalla. Le femmine erano invece molto più piccole e superavano raramente i 150 cm. Il dimorfismo sessuale era piuttosto evidente anche nella colorazione, nera e lucida nei tori adulti e bruna invece nelle femmine. Le corna dei maschi erano enormi, rivolte in avanti, leggermente incurvate verso l'alto alla punta e potevano raggiungere fino a 80 cm di lunghezza. L'uro è stato quindi uno dei più grossi erbivori rimasti in circolazione in Europa alla fine dell'era glaciale.

C'è parecchia incertezza invece sulle preferenze di habitat degli uri in natura. In Europa la specie sembrava preferire zone umide come paludi e foreste paludose, così come le valli fluviali, i delta dei fiumi e le torbiere. Probabilmente però viveva anche in foreste più secche e in habitat aperti, e le preferenze ambientali quasi certamente variavano molto in base alle regioni. In base alle descrizioni e alla stretta parentela con le forme domestiche attuali, possiamo presumere che il suo comportamento e la sua ecologia erano piuttosto simili ai bovini attuali.

Vivevano in branchi formati da una trentina di esemplari, guidati da un unico toro dominante, che conquistava la mandria e il diritto a regnare sugli altri con maestose parate e violenti combattimenti coi rivali. Gli uri venivano descritti infatti come animali decisamente aggressivi e bellicosi. Questo non ha però impedito all'uomo di cacciarli per moltissimo tempo e sopratutto, di domesticarli.

La domesticazione dell'uro

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Ricostruzione di un esemplare di uro maschio adulto

L'uro è infatti l'antenato selvatico di tutti i bovini domestici allevati dall'uomo, in pratica l'equivalente del lupo per i cani. Prove archeologiche e basate sull'analisi del DNA suggeriscono che la domesticazione è avvenuta in maniera indipendente almeno due volte durante la rivoluzione neolitica, più o meno tra 8mila e 10 mila anni fa. Una è avvenuta nel subcontinente indiano, e ha dato origine agli zebù, le vacche indiane con la gobba considerate sacre e che oggi vengono allevate in buona parte dei paesi tropicali di Asia e India. L'altro evento di domesticazione è avvenuto parallelamente nel Vicino Oriente, e ha portato invece a tutte le altre razze di bovini domestici che conosciamo oggi.

Un studio interessante basato sul DNA mitocondriale sostiene che praticamente tutti i bovini domestici attuali discendono solamente da un gruppo di 80 femmine di uro, addomesticate inizialmente in Mesopotamia circa 10.500 anni fa. Secondo gli autori un numero così basso di animali potrebbe essere giustificato dalla stazza e dall'indole degli uri, che certamente non dovevano essere facili da gestire e allevare. Ciò che resta dell'uro oggi quindi, oltre che ai racconti, le pitture e i dipinti, è custodito in piccole porzioni di DNA rimaste conservate nelle razze domestiche di oggi. Perché malgrado l'ampia distribuzione storica e il ruolo di prestigio che la specie ha sempre ricoperto nel simbolismo e nella cultura umana, il vero uro selvatico si è ormai estinto da tempo.

La lenta estinzione dell'uro

Il declino dell'uro è andato di pari passo con l'avanzare delle civiltà umane nel mondo. Già negli ultimi secoli prima della nascita di Cristo l'areale della specie si era notevolmente ridotto, e gli uri hanno iniziato a scomparire dalla Grecia e dal Vicino oriente. Col passare dei secoli la sua distribuzione si è gradualmente ridotta sempre più verso nord, e già nel XIII secolo le mandrie selvatiche erano limitate solamente all'Europa nordorientale e poche altre piccole isole verdi selvagge rimaste intatte nel Vecchio Continente. La caccia, la distruzione dell'habitat, la crescita della popolazione umane e la graduale sostituzione col bestiame domestico sono state le cause principali del declino, che hanno portato la specie a essere quasi completamente estirpata nel XV secolo. Tuttavia alcune piccolissime e frammentate popolazioni rimaste isolate sono riuscite a resistere ancora per qualche secolo.

Nel XVI secolo c'erano ancora uri che vagavano in alcuni territori compresi tra Bulgaria, Transilvania, Moldavia e soprattutto nella Polonia centrale. Qui, tra le foreste che circondavano il villaggio di Jaktorów, la gestione degli uri è stata per molti secoli ben organizzata, e ha permesso alla specie di sopravvivere per lungo tempo. I grandi erbivori appartenevano alla famiglia reale e venivano quindi protetti e persino nutriti durante il periodo invernale. Solo i reali, e successivamente i nobili, avevano il diritto di cacciarli e il bracconaggio poteva essere punito addirittura con la morte. Malgrado ciò, dopo una serie di turbolenze politiche, l'interesse per la conservazione degli uri cessò, e nel 1564 un censimento reale segnalò appena 38 esemplari.

Nel 1604, con ultimo disperato tentativo per salvare la specie dall'estinzione, fu emesso un decreto reale che stabiliva con urgenza di mettere in atto tutte le misure necessarie per proteggere l'uro e il suo habitat. I guardiacaccia avevano il compito di mantenere aperti pascoli e praterie, per permettere agli ultimi bovini di sopravvivere, e furono persino esentati dalle tasse in cambio dei loro preziosi servigi. Tuttavia questo non bastò a salvare l'uro dall'estinzione e l'ultimo esemplare in natura di cui si hanno notizie, una femmina, morì per cause naturali nella foresta di Jaktorów nel 1627.

Il ritorno dell'uro?

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Uno degli esemplari nati dall’allevamento selettivo per "ricostruire" l’uro

Fin dall'antichità l'interesse culturale dell'uomo nei confronti dell'uro è sempre stato piuttosto forte e non è mai cessata del tutto, nemmeno quando la specie si è estinta nel 1600. In molti quindi hanno pensato di poterlo riportare in vita a partire dalle razze di bovini domestici più primitivi e vicini geneticamente all'antenato selvatico. Il primo vero tentativo fu avviato dai fratelli Heinz e Lutz Heck, zoologi tedeschi al servizio della Germania nazista che negli anni 20 provarono per la prima volta un esperimento di breeding back. L'idea era quella di selezionare e incrociare le razze bovine più simili all'uro per ricreare un animale simile nell'aspetto al suo antenato selvatico. È un po' come se volessimo ricreare un lupo selezionando e incrociando i cani. L'operazione dei fratelli tedeschi ha prodotto i cosiddetti bovini di Heck, animali vagamente simili alla loro forma ancestrale selvatica ma che dell'uro hanno davvero poco da un punto di vista scientifico e genetico.

Partendo però dall'idea degli Heck molte altre organizzazioni e istituti scientifici hanno avviato programmi di allevamento e selezione per riportare in vita l'uro, soprattutto a partire dagli anni 90. Sono due però i programmi di de-estinzione particolare interessanti: Operation Taurus e The Tauros Project. Utilizzando un approccio più scientifico e basato sul sequenziamento del DNA di razze bovine primitive simili geneticamente all'uro, a partire dal 2007 il The Tauros Project ha selezionato per l'allevamento una serie di razze primitive provenienti soprattutto dalla penisola iberica e dall'Italia. L'obiettivo di questo ambizioso programma non è solo quello di ricostruire un animale esteticamente e (quanto più possibile) geneticamente simile all'uro, ma anche quello di riformare mandrie selvagge da reintrodurre in Europa e che possano tornare a ricoprire il ruolo ecologico lasciato scoperto dai bovidi estinti.

Mandrie liberate in da Rewilding Europe in Sierra de Albarracín, Spagna

In tutta Europa infatti i progetti di reintroduzione e ripristino degli ecosistemi stanno diventando sempre più numerosi e popolari, anche attraverso l'utilizzo di specie domestiche come cavalli e bovini. Queste operazioni di rewilding hanno già portato alla liberazione di numerose mandrie di "nuovi uri" in Olanda, Spagna, Portogallo e Romania, e il progetto prevede di liberarne altre anche in altri paesi.  Tantissimi altri istituti e progetti ci stanno lavorando in parallelo, anche attraverso moderne tecniche di ingegneria genetica. Come per la zebra quagga estinta, però, non si riuscirà mai a ricreare un vero e proprio uro, ma soltanto un animale che si cercherà di far avvicinare il più possibile al suo antenato. L'antico e poderoso uro è ormai estinto per sempre, ma è comunque bello – e sa tanto di ancestrale – rivedere finalmente mandrie di bovini selvaggi nuovamente in giro per l'Europa.

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Salvatore Ferraro
Redattore
Naturalista e ornitologo di formazione, sin da bambino, prima ancora di imparare a leggere e scrivere, il mio più grande sogno è sempre stato quello di conoscere tutto sugli animali e il loro comportamento. Col tempo mi sono specializzato nello studio degli uccelli sul campo e, parallelamente, nell'educazione ambientale. Alla base del mio interesse per le scienze naturali, oltre a una profonda e sincera vocazione, c'è la voglia di mettere a disposizione quello che ho imparato, provando a comunicare e a trasmettere i valori in cui credo e per i quali combatto ogni giorno: la conservazione della natura e la salvaguardia del nostro Pianeta e di chiunque vi abiti.
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