La normativa attualmente in vigore nel nostro Paese contempla numerosi reati a danno degli animali: sono previsti i delitti di uccisione e di maltrattamento di animali, il reato di abbandono, di detenzione di animali in condizioni incompatibili con la loro natura; ancora sono vietati spettacoli o manifestazioni che comportino sevizie o strazio verso di loro, così come i combattimenti tra animali e il traffico illecito degli stessi.
Per dirla in altre parole, sono previste differenti pene detentive e pecuniarie, più o meno pesanti, per tutti coloro che si dovessero macchiare di questi spregevoli atti illeciti. Anche se molto ancora rimane da fare, va subito detto che gli ultimi due decenni hanno visto compiersi degli enormi passi avanti in materia. Basti pensare, solo per fare un esempio concreto, che sino al 2004 – anno di entrata in vigore della legge 20 luglio 2004, n. 189 dal titolo “Disposizioni concernenti il divieto di maltrattamento degli animali, nonché di impiego degli stessi in combattimenti clandestini o competizioni non autorizzate” – l’uccisione volontaria e crudele di un animale non esisteva neppure quale fattispecie punita autonomamente dal Codice penale.
Sino a quel momento la morte del povero animale era sanzionata soltanto quale aggravante dell’allora assai lieve contravvenzione di maltrattamento. O meglio, un caso specifico era punito (seppur molto blandamente) anche prima della menzionata riforma: quello in cui l’animale ucciso fosse di proprietà altrui; questo non certo per la soppressione ingiustificata della sua vita, bensì per il fatto che l’uccisore avesse distrutto definitivamente un bene di terzi avente valore economico.
L’articolo 638 del Codice penale, infatti, prevedeva e ancora prevede (con utilizzo di termini che fanno immediato richiamo a degli oggetti) che: “chiunque, senza necessità, uccide o rende inservibili o comunque deteriora animali che appartengono ad altri è punito, salvo che il fatto costituisca più grave reato a querela della persona offesa, con la reclusione fino a un anno o con la multa fino a trecentonove euro”.
Prima di passare ad una breve disamina dei singoli comportamenti che la legge sanziona penalmente, è fondamentale ricordare come ancor oggi, nonostante i progressi accennati, il Titolo IX bis del Codice Penale rechi la seguente formula: “dei delitti contro il sentimento per gli animali” (si badi bene: non degli animali ma “per” gli animali). Questi fatti, in buona sostanza, solo indirettamente tutelano anche gli animali; infatti, il bene giuridico protetto dalle norme rimane ancor il sentimento degli umani verso di loro. Si punisce la sevizia non tanto per la sofferenza che questa provoca sulla sfortunata vittima, ma perché l’immagine di un animale maltrattato desta fastidio, ribrezzo alla comune sensibilità umana.
L’uccisione di animali
L’articolo 544 bis del Codice penale (dal titolo “Uccisione di animali”) stabilisce che “chiunque, per crudeltà o senza necessità, cagiona la morte di un animale è punito con la reclusione da quattro mesi a due anni". Come risulta evidente dal testo, l’uccisione non è a prescindere sanzionata, ma solo quando effettuata per crudeltà o senza necessità. Nel primo caso rientrano proprio quei comportamenti cruenti, quelle sevizie che urtano la sensibilità umana. Al secondo (la necessità), invece, sono riconducibili situazioni assai diverse tra loro: si va dalle esclusioni previste dalle leggi speciali in materia di caccia, pesca, macellazione, vivisezione, ecc. alla necessità di salvare qualcuno (o sé stessi) da un pericolo grave e imminente. Per la configurazione del reato è richiesta la volontà di uccidere. Non sono invece imprescindibili dei comportamenti di violenza attiva; è uccisione punibile anche lasciar morire di fame e sete un animale privandolo di cibo e acqua.
Il maltrattamento di animali
L’articolo 544 ter del Codice penale punisce invece con la pena della reclusione da tre a diciotto mesi o con la multa da 5.000 a 30.000 euro “chiunque, per crudeltà o senza necessità, cagiona una lesione ad un animale ovvero lo sottopone a sevizie o a comportamenti o a fatiche o a lavori insopportabili per le sue caratteristiche etologiche”. La stessa pena si applica a chi somministra agli animali sostanze stupefacenti o vietate ovvero li sottopone a trattamenti che procurano un danno alla salute degli stessi. Per i fatti elencati nel periodo riportato è aggravata se ne deriva la morte dell’animale. Anche in questo caso, come nel reato di uccisione, la legge non sanziona sempre e comunque atti che causino sofferenza agli animali, bensì solo quelli posti in essere con crudeltà e senza necessità (concetti spiegati poc’anzi). Per l’integrazione della fattispecie è sempre richiesta la volontarietà (dolo).
La detenzione di animali in condizioni incompatibili con la loro natura e produttiva di gravi sofferenze
Non sempre risulta semplice dimostrare il dolo in caso di maltrattamento verso un animale. Questo rende molto difficile l’applicazione della norma appena vista a numerose situazioni concrete. Bene dunque ha fatto il legislatore a mantenere in piedi anche il reato di “detenzione di animali in condizioni incompatibili con la loro natura e produttive di gravi sofferenze” (previsto all’articolo 727, comma 2, del Codice penale), punito con l'arresto fino ad un anno o con l'ammenda da 1.000 a 10.000 euro. Trattandosi di “contravvenzione” e non di “delitto”, è richiesta soltanto la colpa dell’autore del fatto. Risulta quindi sufficiente una violazione di norme da parte dello stesso, oppure una sua negligenza o imprudenza.
L’abbandono di animali
Il nostro Codice penale punisce con l'arresto fino ad un anno o con l'ammenda da 1.000 a 10.000 euro tutti coloro che abbandonano animali domestici o che abbiano acquisito abitudini della cattività. Quando si parla di abbandono (punibile) non si deve pensare soltanto all’atto di portare il proprio cane (o gatto, furetto, ecc.) lontano da casa, magari per legarlo ad un paletto in autostrada. Abbandono per la normativa penale è anche la semplice noncuranza, la trascuratezza. Per fare un esempio molto comune, rientra in questa fattispecie l’omessa denuncia di smarrimento del proprio animale domestico.
Spettacoli o manifestazioni vietati
Il 2004 è stato anche l’anno di introduzione di fattispecie di reati in danno degli animali ben più specifiche. Da quel momento – con l’introduzione dell’articolo 544 quater del Codice penale – viene punito con la reclusione da quattro mesi a due anni e con la multa da 3.000 a 15.000 euro anche chiunque organizzi o promuova spettacoli o manifestazioni che comportino sevizie o strazio per gli animali (sempre che il fatto non configuri un reato più grave). Questa pena è aumentata da un terzo alla metà se i fatti sono commessi in relazione all'esercizio di scommesse clandestine o al fine di trarne profitto per sé od altri ovvero se ne deriva la morte dell'animale.
Divieto di combattimenti tra animali
Altro reato molto importante, che mira a ridurre e finalmente eliminare delle "tradizioni" obsolete e a dir poco censurabili, è rappresentato dal "divieto di combattimento tra animali", previsto all'articolo 544 quinquies del Codice penale. La norma stabilisce che "ciunque promuove, organizza o dirige combattimenti o competizioni non autorizzate tra animali che possono metterne in pericolo l'integrità fisica è punito con la reclusione da uno a tre anni e con la multa da 50.000 a 160.000 euro. La pena è aumentata da un terzo alla metà:
- Se le predette attività sono compiute in concorso con minorenni o da persone armate;
- Se le predette attività sono promosse utilizzando videoriproduzioni o materiale di qualsiasi tipo contenente scene o immagini dei combattimenti o delle competizioni;
- Se il colpevole cura la ripresa o la registrazione in qualsiasi forma dei combattimenti o delle competizioni.
Ancora, “chiunque, fuori dei casi di concorso nel reato, allevando o addestrando animali li destina sotto qualsiasi forma e anche per il tramite di terzi alla loro partecipazione ai combattimenti di cui al primo comma è punito con la reclusione da tre mesi a due anni e con la multa da 5.000 a 30.000 euro. La stessa pena si applica anche ai proprietari o ai detentori degli animali impiegati nei combattimenti e nelle competizioni di cui al primo comma, se consenzienti”. “Chiunque, anche se non presente sul luogo del reato, fuori dei casi di concorso nel medesimo, organizza o effettua scommesse sui combattimenti e sulle competizioni di cui al primo comma è punito con la reclusione da tre mesi a due anni e con la multa da 5.000 a 30.000 euro”.