Le stime pubblicate dalle principali associazioni protezionistiche ci ricordano come in Italia, ogni anno, vengano ancora abbandonate decine di migliaia di cani e, in generale, animali d’affezione. Questo fenomeno, costante e ripetuto nel tempo, pare raggiunga dei picchi di gravità in corrispondenza dei periodi delle vacanze estive e dell’apertura della stagione venatoria. Animali che hanno già dimostrato tutto il loro affetto, che hanno offerto la loro fedeltà, scaricati come degli oggetti malfunzionanti, come dei pesi scomodi. Animali che, una volta abbandonati, nella gran parte dei casi hanno vita breve, finendo, in breve tempo, vittime di incidenti stradali.
Quando si realizza il reato di abbandono di animali
L’abbandono di un animale, oltre ad essere un gesto moralmente spregevole è anche un reato punito dalla legge. In particolare, si occupa di questa fattispecie l’art. 727 del Codice Penale, il quale stabilisce che "Chiunque abbandona animali domestici o che abbiano acquisito abitudini della cattività è punito con l'arresto fino ad un anno o con l'ammenda da 1.000 a 10.000 euro. Alla stessa pena soggiace chiunque detiene animali in condizioni incompatibili con la loro natura, e produttive di gravi sofferenze". Il reato di abbandono di animali previsto dal codice penale è una contravvenzione che prevede come pena, dunque, o l’arresto sino a un anno o un’ammenda che può arrivare sino a diecimila euro. È molto importante chiarire che affinché la fattispecie sia integrata non è necessaria la volontà del soggetto che pone in essere la condotta, ma è sufficiente una sua colpa (è cioè sufficiente un comportamento imprudente, negligente o compiuto in violazione di leggi, regolamenti, ordini o discipline ovvero di norme che impongono determinate cautele).
La norma di cui si tratta si divide in due parti. Nel primo comma la condotta punita è, innanzitutto, quella dell’abbandono in senso stretto, ovvero, come ben spiega la Corte di Cassazione Penale della sentenza n. 6609 del 2020: "la condotta di distacco volontario dall'animale, che consiste nell'interruzione della relazione di custodia e di cura instaurata con l'animale precedentemente detenuto, lasciandolo in un luogo ove non riceverà alcuna cura, a prescindere dalla verificazione di eventi ulteriori conseguenti all'abbandono, quali le sofferenze o la morte dell'animale, eventi che fuoriescono dal perimetro della tipicità disegnato dalla norma incriminatrice".
Viene punito, quindi, in primo luogo il gesto di separarsi dall’animale lasciandolo privo di custodia e di cura. I nostri Giudici, però, in questa prima parte dell’art. 727 c.p. fanno rientrare anche un altro tipo di abbandono: il semplice disinteresse, la trascuratezza nei confronti dell’animale che si deve accudire e custodire. In questo senso, ad esempio, costituisce abbandono il non dar da mangiare a sufficienza ai propri animali. Anche in proposito la Corte di Cassazione Penale si è espressa in termini molto chiari mediante la sentenza n. 18892 del 2011, nella quale si legge: "integra la contravvenzione di abbandono di animali (art. 727, comma primo, c.p.) non solo la condotta di distacco volontario dall'animale, ma anche qualsiasi trascuratezza, disinteresse o mancanza di attenzione verso quest'ultimo, dovendosi includere nella nozione di "abbandono" anche comportamenti colposi improntati ad indifferenza od inerzia nell'immediata ricerca nell'animale". Nel caso trattato da questa sentenza il pet mate è stato ritenuto responsabile per non aver denunciato tempestivamente lo smarrimento del proprio cane.
Le pene previste per chi abbandona un animale
Come abbiamo visto, poi, la norma intitolata "abbandono di animali" punisce con le stesse pene (arresto sino a un anno o ammenda sino a diecimila euro) anche chiunque detenga animali in condizioni incompatibili con la loro natura e produttive di gravi sofferenze. In questo caso la fattispecie si riferisce a tutti gli animali, non soltanto quelli domestici o che abbiano acquisito le abitudini della cattività. Inoltre, trattandosi di contravvenzione (e non delitto) consente di punire tutti quei maltrattamenti compiuti senza una specifica volontà (senza dolo). Per fare soltanto un esempio, la Cassazione penale, con la sentenza n. 34236 del 2020 ha ritenuto configurabile la contravvenzione di cui all'art. 727, comma 2, c.p. nella condotta di un soggetto che ha tenuto "due pappagalli all'interno di una gabbia sporca, con presenza di deiezioni e piume, con poca acqua (sporca) a disposizione e dunque in condizioni incompatibili con la natura degli animali". Nel nostro ordinamento, quindi, ci sono due norme che consentono di perseguire e punire i maltrattamenti in danno degli animali. Quella appena analizzata e quella prevista all’art.544 ter del codice penale che recita: "chiunque, per crudeltà o senza necessità, cagiona una lesione ad un animale ovvero lo sottopone a sevizie o a comportamenti o a fatiche o a lavori insopportabili per le sue caratteristiche etologiche è punito con la reclusione da tre a diciotto mesi o con la multa da 5.000 a 30.000 euro. La stessa pena si applica a chiunque somministra agli animali sostanze stupefacenti o vietate ovvero li sottopone a trattamenti che procurano un danno alla salute degli stessi.La pena è aumentata della metà se dai fatti di cui al primo comma deriva la morte dell'animale". In quest’ultimo caso, a cui si dedicherà un’ulteriore approfondimento, si ha a che fare con un vero e proprio delitto, punito con la reclusione o con una multa che può arrivare a trentamila euro.