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25 Dicembre 2023
15:00

Può il nostro cervello decodificare il linguaggio degli altri primati?

Secondo un nuovo studio dell'Università di Ginevra, il cervello umano può riconoscere le vocalizzazioni di alcune specie di primati e questa capacità non dipende solo dalla stretta vicinanza filogenetica.

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Ogni animale ha il proprio linguaggio e i singoli individui lo utilizzano per comunicare con i membri della propria specie. Tuttavia, secondo un nuovo studio, sembrerebbe che il cervello umano sia in grado di identificare e riconoscere anche le vocalizzazioni di alcune specie di primati, soprattutto se sono sono simili al livello di frequenza alle nostre. I risultati della ricerca sono stati pubblicati su Cerebral Cortex Communications.

Quando elaboriamo il linguaggio verbale, non ci basiamo solo sul significato delle parole e sulla loro combinazione. Altri elementi, come le pause, l'accento e l'intonazione sono importanti. Tutti questi contribuiscono a dare significato e favoriscono la comprensione delle nostre comunicazioni vocali. Quando viene emesso un messaggio vocale, questi suoni vengono elaborati dalle regioni frontali e orbitofrontali del nostro cervello.

La funzione di queste due aree è, tra le altre cose, quella di integrare informazioni sensoriali e contestuali che portano ad una decisione. Un team di ricercatori dell'Università di Ginevra (UNIGE) si è, quindi, chiesto: queste zone si attivano allo stesso modo quando siamo esposti alle vocalizzazioni di altri primati? Siamo in grado di distinguerle?

Per rispondere a queste domande, gli studiosi hanno condotto un esperimento in cui 25 volontari sono stati invitati a classificare le vocalizzazioni di tre specie di grandi scimmie (famiglia Hominidae) insieme a quelle degli esseri umani. Tali vocalizzazioni includevano interazioni positive (affiliative) o situazioni di minaccia e disagio (agonistiche). Le voci umane provenivano da registrazioni di attori, mentre quelle delle scimmie erano state registrate sul campo in ricerche precedenti. Durante l'esperimento, l'attività cerebrale è stata misurata mentre i volontari ascoltavano queste "onomatopee".

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I risultati indicano che per le vocalizzazioni di macachi e scimpanzé, le regioni frontali e orbitofrontali dei partecipanti si attivavano in modo simile alle vocalizzazioni umane, rendendole facilmente distinguibili. Tuttavia, quando si trattava dei suoni emessi dai bonobo, parenti stretti dell'uomo, le aree cerebrali coinvolte erano significativamente meno attivate e la categorizzazione risultava più casuale. Questo dimostra che la parentela e la distanza filogenetica non sono gli unici fattori determinanti per il riconoscimento delle vocalizzazioni, ma anche che la "distanza acustica" è cruciale.

Didier Grandjean, professore del Centro svizzero di scienze affettive alla Facoltà di psicologia e scienze dell'educazione dell'UNIGE, che ha guidato lo studio, ha spiegato che quanto più i parametri acustici, come le frequenze utilizzate, si discostano da quelli umani, tanto meno vengono attivate specifiche regioni frontali, portando alla perdita della capacità di riconoscere tali suoni, anche se provenienti da animali molto simili a noi come i bonobo. Questi primati, infatti, emettono richiami molto più acuti e che possono assomigliare maggiormente a quelli di alcune specie di uccelli. Questa distanza acustica in termini di frequenze, rispetto alle vocalizzazioni umane, spiega quindi la nostra incapacità di decodificarli nonostante la nostra parentela con questa specie.

Questa ricerca rappresenta un significativo passo avanti nell'analisi delle similitudini tra le vocalizzazioni umane e quelle delle altre specie di scimmie, ma lo studio non si ferma qui. Il prossimo passo si concentrerà infatti sulla capacità di identificare gli aspetti emotivi delle vocalizzazioni affiliative o agonistiche emesse da scimpanzé, macachi o bonobo. I ricercatori sottolineano, infatti, che la prossima fase della ricerca si concentrerà non solo sulla nostra capacità di classificare le vocalizzazioni delle altre specie, ma anche sulla nostra abilità di identificarne il contenuto emotivo.

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Alessia Mircoli
Dottoressa Magistrale in Biodiversità e Gestione degli Ecosistemi
Sono laureata in Biodiversità e Gestione degli Ecosistemi e la divulgazione scientifica è la mia passione. Durante il mio percorso ho scoperto il mondo del giornalismo scientifico e ho capito che è la mia strada. Sono estremamente affascinata dalla natura e da tutto ciò che ne fa parte, credo nell’importanza di diffondere un’informazione corretta sugli animali e l’ambiente.
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