Una nuova ricerca pubblicata su Nature ha appena dato un po' di speranza a tutti coloro che credono che gli effetti combinati del cambiamento climatico e dell'estinzione delle specie renderanno impossibile salvaguardare in futuro la biodiversità oggi a rischio. Per ottenere infatti questo obiettivo e al contempo mitigare gli effetti della crisi climatica, alcuni scienziati assicurano che il segreto sarà quello di proteggere e reintrodurre in natura solo alcune specie chiave, che oltre a contribuire a ripristinare la catena alimentare svolgeranno anche delle funzioni ecosistemiche essenziali utili a tutta la comunità.
Gli autori di questo studio provengono da ben otto paesi diversi e ognuno di essi ha esplorato insieme ai propri collaboratori uno o più specifici biomi, vaste regione composte da organismi viventi che interagiscono tra loro e con l'ambiente. Il loro intento era verificare se la presenza o meno di singole specie potesse risultare davvero un vantaggio per quei territori oppure no. Il risultato è stato più che positivo e ha permesso di confermare che ognuna delle specie chiave identificate possono indurre un aumento del numero di specie, favorire un assorbimento maggiore del carbonio all'interno del proprio ecosistema e permettere di catturare potenzialmente 6,4 Gigatonnellate di CO2 aggiuntive al carbonio sequestrato naturalmente dalle piante e dal suolo ogni anno. Un risultato davvero notevole, considerando che si sta parlando di appena 9 gruppi di animali differenti.
«Sembra paradossale che un ridotto numero di specie possa dimostrarsi così fondamentale per il benessere del Pianeta, ma è davvero quello che abbiamo osservato» hanno dichiarato gli autori. Un piccolo gruppo di specie può infatti contribuire notevolmente a migliorare le condizioni degli ecosistemi storicamente fragili e spesso considerati perduti, per via dell'eccessiva antropizzazione, tramite diversi fenomeni biologici. Quali sono però questi gruppi animali tanto celebrati dai quindici team – uno per ogni autore principale – che hanno lavorato a questo studio?
Sorprendentemente non c'è nessuna specie sconosciuta al pubblico e si tratta di animali che sono entrati già da tempo nei circuiti di protezione dei biologi della conservazione. Troviamo pesci marini, balene, squali, lupi grigi, gnu, lontre marine, bue muschiato, elefanti della foresta africana e il bisonte americano.
Le ragioni che spingono questi animali a essere considerati organismi chiave che potranno garantire un futuro alla Terra sono legate strettamente al loro comportamento e al loro stile di vita nell'ambiente naturale o rurale. Alcune specie infatti, come gli elefanti, svolgono un ruolo che gli scienziati definiscono di "biocostruttori". Questi mantengono gli ecosistemi in salute e attraverso il loro foraggiamento creano le condizioni perfette affinché altre forme di vita possano garantire le giuste quantità di deposizione di nutrienti e di sedimenti, come l'assorbimento di carbonio organico e la dispersione dei semi.
Altre specie invece, come i lupi o gli squali, si assicurano che gli erbivori non consumino troppo velocemente e voracemente le risorse di un territorio, limitando così che mettano a rischio il mantenimento delle condizioni ambientali che permettono lo sviluppo di tutte le altre forme di vita. Ed è proprio grazie a questi risultati se ora i biologi sono intenzionati a promuovere con ancora più forza la reintroduzione di queste specie nei luoghi in cui mancano, andando così a favorire quello che in gergo tecnico viene definito rewilding trofico.
Andando così a studiare le combinazioni possibili di specie, è emerso come la semplice conservazione di soli 4 specie fondamentali in biomi diversi (per esempio gnu, lontre marine, lupi grigi e squali) può portare a un sequestro di 0,3 gigatonnellate di anidride carbonica all'anno, mentre la tutela di altre 3 specie (elefanti delle foreste, bisonti e balene) può portare a un ulteriore sequestro di 0,6 gigatonnellate. Il vero record però si osserverebbe qualora consentissimo agli stock ittici di ricostituirsi in tutto il mondo: ben 5,5 Gt di CO2 all'anno verrebbero assorbiti dall'atmosfera. Per cokprendere le quantità dei numeri in gioco, basta considerare che 1 Gt (una gigatonnelata) è equivalente a un miliardo di tonnellate. Numeri da capogiro, che risultano però "normali" quando si sta parlando dell'intero pianeta.
Salvaguardare questi 9 gruppi animali in giro per il mondo sarà dunque la soluzione definitiva contro il cambiamento climatico? Purtroppo no. Gli autori stessi sono piuttosto chiari su questo punto.
Per salvaguardare il Pianeta e permettere a tutte le specie di avere garantita la sopravvivenza, bisognerà infatti spingere molto di più sulle energie rinnovabili, porre fine alla deforestazione e arrestare il degrado del suolo, hanno dichiarato gli scienziati. Per quanto ristabilire i vecchi ecosistemi tramite il rewilding non basta per risolvere tutti i problemi del mondo, costituisce però uno strumento utile per agevolare il processo di rinaturalizzazione degli habitat e (soprattutto) il mantenimento degli equilibri biogeochimici della biosfera.
«Il nostro è solo uno strumento e per sfruttare il suo vasto potenziale richiederà un cambiamento di mentalità all'interno della scienza e della politica – ha dichiarato Frans Schepers, amministratore delegato di Rewilding Europe e uno degli autori dello studio – Dobbiamo agire in fretta perché stiamo perdendo popolazioni di molte specie animali proprio nel momento in cui stiamo scoprendo fino a che punto il loro ruolo negli ecosistemi possa consentire la cattura e lo stoccaggio del carbonio. Come è stato dimostrato in Europa e Nord America, molte di queste specie torneranno se glielo permetteremo». E quando avremo permesso a queste creature di espandersi, toccherà ad altre specie contribuire alla lotta contro il cambiamento climatico.
Inoltre, proprio per permettere a questi animali di agevolare questo processo, gli scienziati hanno chiarito che per funzionare la reintroduzione e la tutela delle specie non deve essere limitata alle terre selvagge. Bisogna considerare anche le città, le periferie e i campi abbandonati. Anche perché i progetti di rinaturalizzazione delle città o delle campagne hanno già permesso il ritorno della fauna e della flora in luoghi fino a poco tempo fa considerati degradati.