Un gruppo di cinque esemplari. Lo stupore in alcuni meravigliosi istanti. Il tempo di scattare delle foto e le code spariscono di nuovo nel mare. La Jonian Dolphin Conservation, associazione di ricerca scientifica che studia i cetacei del Golfo di Taranto, ha annunciato il primo avvistamento dell’anno di capodogli nelle acque dello Ionio Settentrionale. Si tratta di un evento importante perché ogni avvistamento aiuta ad aggiungere piccoli tasselli alla conoscenza di un animale di cui si sa veramente poco.
A registrare le immagini sono stati dei ragazzi del Liceo “Galileo Ferraris” di Taranto. Questa scuola, grazie a una collaborazione con Jonian Dolphin Conservation, porta avanti da dieci edizioni un corso dedicato a queste specie. Al primo avvistamento è seguito quello di alcune stenelle e di una coppia di tursiopi vicino alla riva, sotto la città. L’incontro con dei capodogli, però, pur non essendo del tutto raro, va considerato un fatto significativo.
«La bellezza di questo animale sta nel mistero che lo circonda – spiega a Kodami Roberto Carlucci, professore di Ecologia presso il Dipartimento di Bioscienze, Biotecnologie e Ambiente dell’Università degli Studi di Bari “Aldo Moro” e Responsabile Scientifico di Jonian Dolphin Conservation – quello che si sa è possibile dedurlo in occasione degli incontri che avvengono in alcuni luoghi particolari del Mediterraneo».
Nell’area dello Ionio Settentrionale si conducono ricerche sul Capodoglio dal 2009. Un lavoro prezioso che sta aiutando, grazie anche al confronto con ricercatori di altri paesi, a ricostruire gli spostamenti di questi gruppi per aggiungere, pezzo dopo pezzo, altri elementi alla conoscenza dell’animale: «Attraverso le fotografie delle code abbiamo fatto un confronto con i cataloghi raccolti per esempio dai nostri colleghi di Creta – aggiunge il professore – le pinne contengono infatti una serie di tratti distintivi somatici, che noi riusciamo a leggere attraverso degli algoritmi elaborati dall’Intelligenza Artificiale e creati dallo STIIMA-CNR di Bari».
«La comunità scientifica – prosegue Carlucci – sta convergendo sull’ipotesi che ci siano come delle autostrade sottomarine percorse da grandi migratori come i capodogli. Ogni tanto questi cetacei emergono in alcuni punti determinati che sono come delle piazzole di sosta. Riconoscere degli individui condivisi significa capire che si muovono in periodi definiti verso un luogo o verso un altro. Lo fanno per ragioni alimentari? O climatiche? Non abbiamo evidenze scientifiche robuste per dirlo. L’ipotesi delle autostrade, però, non è così peregrina».
Resta però da capire dove vadano a finire i capodogli quando si immergono sott’acqua: «Esistono nel mare dei canyon sottomarini che portano le quote batimetriche dalle centinaia alle migliaia di metri di profondità – aggiunge – si può arrivare così fino anche a 2000 metri. Sono dei tratti geografici che rendono prossimi anche ambienti molto distanti. I capodogli, infatti, sono grandi apneisti. Alternando tuffi riescono, così, a trovarsi da un lato all’altro del Mediterraneo».
Per avere più chiaro il concetto bisogna immaginare quali siano le dimensioni di questi animali: un individuo adulto può essere grande anche 15 metri per 50 tonnellate. Significa che può avere all’incirca le dimensioni di un grosso autobus. E proprio come dei bus viaggiano attraversando le profondità marine.
Le domande che sorgono, man mano che si va avanti, non riguardano però solo gli spostamenti dei capodogli. Attraverso questi progetti di ricerca si cerca anche di capire qualcosa in più sull’organizzazione sociale di questi cetacei. Il gruppo visto a Taranto, per esempio, era composto da 5 esemplari. Se fossero tutte femmine si potrebbe pensare a spostamenti guidati da matriarche seguite da cuccioli o preadulti, come dei gruppi familiari. Si tratta sempre di una mera supposizione, però, che andrebbe dimostrata con un campionamento genetico, molto difficile da realizzare.
«Tutte queste considerazioni rendono più chiare le ragioni del fascino di questi studi – conclude Carlucci – ci scervelliamo su piccoli dati. La domanda scientifica diventa la base per avviare un progetto di ricerca. Il fatto che poi la casualità caratterizzi gli avvistamenti rende l’incontro più prezioso. In ultimo, è bello che i nostri studenti di Scienze Ambientali di Taranto abbiano la possibilità di affiancare noi ricercatori e fare esperienze ispiratrici che potranno eventualmente essere importanti per la loro attività professionale».