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10 Marzo 2021
8:25

Prendersi cura degli animali può portare allo sfinimento emotivo?

Lavorare con gli animali è sicuramente molto soddisfacente e tra le attività più belle e gratificanti che possano esistere. Bisogna però pensare all’enorme costo emotivo che questo può comportare e che può può portare alla Compassion Fatigue, o fatica da compassione, una forma di stress traumatico. Vediamo come riconoscerla ed evitarla.

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Membro del comitato scientifico di Kodami
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Le persone che, in diversi contesti, lavorano quotidianamente con gli animali di solito si dedicano a questo tipo di attività mosse da una profonda vocazione. Che sia lavoro o volontariato in cliniche veterinarie, rifugi, colonie feline, centri di recupero o altro si mettono in campo tutte le energie per la protezione degli animali e la tutela del loro benessere.

Lavorare con gli animali è sicuramente molto soddisfacente e tra le attività più belle e gratificanti che possano esistere. Bisogna però pensare all’enorme costo emotivo che questo può comportare: è la cosiddetta "fatica da compassione" o, in inglese Compassion fatigue. La capacità umana di provare compassione ed empatia è una dote speciale ma è in effetti un’arma a doppio taglio. Consente una connessione tra individui ed è una fonte indiscutibile di crescita interiore, ma purtroppo può arrivare ad esser causa di sfinimento emotivo.

Quando ci si trova di fronte alla sofferenza o alla morte degli animali, quando ci si trova a dover prendere delle decisioni difficili o quando ci si trova a dover fronteggiare delle ingiustizie a loro dirette, lo stato emotivo di un individuo può essere compromesso. Spesso la sofferenza degli animali si trasforma in sofferenza nelle persone e i problemi etici e gestionali da dover affrontare possono essere causa di diatribe interiori.

La fatica da compassione nei lavoratori e nei volontari che si occupano di animali

Negli anni 90 è stato coniato il termine Compassion Fatigue. In italiano si può tradurre come "fatica o affaticamento da compassione" e anche "logoramento per empatia". E' un concetto attualmente in evoluzione all'interno della psicotraumatologia: è associato al “costo della cura” degli altri, animali o persone, che patiscono sofferenza fisica o emozionale. La "sindrome da fatica da compassione" è considerata una forma di stress traumatico secondario ed è legata al burnout, lo stato di esaurimento emotivo, fisico e mentale causato da lavoro eccessivo o dallo stress sul lavoro.

Tuttavia, però, in pochi conoscono questa sindrome sebbene gli esperti ritengano che ci siano alcune figure professionali maggiormente esposte tra cui, ad esempio, il personale sanitario degli ospedali o delle case di riposo per anziani, professionisti nell’ambito del lavoro sociale, della psicologia o dei corpi come i vigili del fuoco.

Da qualche decennio però emergono tra le categorie più colpite anche professionisti come veterinari, educatori cinofili, operatori e volontari di rifugi o di ambienti dove gli animali sono oggetto di studio, osservazione e cura. A queste professioni, si sommano anche gli attivisti che dedicano la loro vita a salvare animali o che documentano le atrocità di cui sono vittime.

I veterinari e il logoramento per empatia

I veterinari nella loro quotidianità non solo devono occuparsi di animali feriti o malati ma devono anche prendere decisioni morali difficili come l'eutanasia per esempio. I veterinari vivono quotidianamente situazioni stressanti come dover dare cattive notizie, gestire situazioni difficili o interagire con clienti problematici che non sempre hanno esattamente come priorità il benessere dei loro animali. I dilemmi etici sono il peggiore degli agenti stressanti che portano a subire uno "stress morale" che può finire per degenerare in fatica da compassione. In alcuni dei casi più estremi questa sindrome può avere conseguenze tragiche come il suicidio. Studi e indagini condotte negli Stati Uniti, ad esempio, ci dicono che i veterinari sono dalle due alle quattro volte più a rischio di togliersi la vita rispetto a tutte le altre categorie lavorative. Nel 2014 la veterinaria etologa Sophia Yin, pioniera dell’educazione positiva, si tolse la vita a soli 48 anni. Questo episodio mise alla luce il grande silenzio su un male che colpisce molti professionisti e volontari impegnati nella cura degli animali.

Le altre figure professionali colpite da Compassion fatigue

Ci sono poi le esperienze di molti educatori cinofili, e altre figure come, ad esempio, i veterinari che si occupano di comportamento che devono anche affrontare la risoluzione di complicati problemi comportamentali. Talvolta, condividendo la sofferenza dell'animale e degli altri componenti della famiglia durante la terapia di modificazione comportamentale ed entrando in dinamiche familiari e relazionali che finiscono in ambiti non prettamente di competenza di chi lavora con gli animali.

Vi sono poi altre figure esposte regolarmente al maltrattamento degli animali, alla negligenza e all'oppressione verso di essi. Un esempio possono essere i lavoratori e i volontari dei rifugi, generalmente intrappolati nel dilemma “non li posso salvare tutti” e che a volte devono accettare le condizioni di vita cui alcuni animali sono obbligati nella consapevolezza di non poter fare nulla per loro. Non è difficile immaginare quindi il grande dilemma interno e la carica emotiva che alcune persone devono sopportare.

I sintomi della fatica da compassione e come evitarla

I sintomi di questo disturbo sono vari. Può essere rappresentato da stanchezza fisica e mentale, incapacità di trovare piacere nelle attività quotidiane, disturbi del sonno e ricorrenza di pensieri negativi intrusivi. Si possono inoltre sviluppare una carenza di cure personali, problemi fisici cronici, come dolori gastrointestinali o cefalee. A livello emotivo si può generare senso di colpa, perdita della speranza, senso di sentirsi incompresi e scetticismo che possono portare a depressione, ansia e insonnia. Queste situazioni possono, inoltre, generare conflitti familiari, oltre che sul lavoro, e una scarsa soddisfazione lavorativa.

Per far fronte a queste problematiche complesse è imprescindibile lasciarsi alle spalle lo stigma dei disturbi della psiche e parlare apertamente di cosa si prova. I soggetti a rischio devono impegnarsi a prendersi cura della propria salute, fisica, mentale ed emozionale. L’idea che prendersi una vacanza va contro l’etica del lavoro deve essere assolutamente abbandonata. La dedizione delle persone che lavorano con gli animali è incredibilmente onorevole e non si osserva facilmente nelle altre professioni, ma tutti devono mettersi in testa che periodicamente c’è bisogno di una disconnessione e di prendersi cura dei propri bisogni. Riconoscere l’importanza delle attività extralavorative, di una alimentazione sana, del praticare attività rilassanti e di connessione con sé stessi, rimanere in contatto con la natura, riposare il tempo sufficiente, cercare un appoggio in una rete di amici e familiari.

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Laura Arena
Veterinaria esperta in benessere animale
Sono un medico veterinario esperto in comportamento animale, mi occupo principalmente di gestione del randagismo e delle colonie feline, benessere animale e maltrattamento animale con approccio forense. Attualmente lavoro in Italia, Spagna e Serbia.
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