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6 Agosto 2024
19:30

Posso dare da mangiare a gatti e cani randagi o è vietato?

Nutrire gatti e cani randagi non è vietato dalla legge italiana. Tuttavia, è necessario seguire alcune precauzioni per evitare sanzioni e per garantire il benessere degli animali e la pulizia degli spazi pubblici. Nonostante l'assenza di divieti nel corso del tempo alcuni Comuni hanno provato a rendere illecita questa pratica.

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Non è vietato dare da mangiare a cani e gatti randagi. Alimentarli non è contrario alla legge italiana, a patto che vengano rispettati precisi accorgimenti per evitare problematiche igienico-sanitarie e di decoro pubblico.

L'assenza di un preciso indirizzo nazionale ha però permesso nel corso del tempo a diversi enti locali di emanare ordinanze allo scopo di impedire questa pratica. Si tratta di provvedimenti che nella maggior parte dei casi sono stati considerati illegittimi dalla giustizia amministrativa.

Inoltre, le diverse pronunce della Cassazione hanno sancito che nutrire un animale randagio non implica automaticamente una responsabilità legale sullo stesso. La responsabilità si verifica solo in caso di detenzione stabile.

È davvero vietato dare da mangiare ai randagi? Cosa dice la legge

Dare da mangiare ai cani e gatti randagi non è reato. A livello nazionale, non esiste alcuna norma che vieti di alimentare sia i cani vaganti che i gatti randagi, o meglio, i gatti «che vivono in libertà», come li definisce la legge. Inoltre, il nostro ordinamento consente consente espressamente ai gatti di vivere liberi e garantisce loro una serie di tutele specifiche attraverso l'istituzione delle colonie feline.

Nello specifico, la legge 281 del 1991, denominata "Legge quadro in materia di animali di affezione e prevenzione del randagismo", prevede che i gatti liberi, una volta sterilizzati dall'autorità sanitaria competente per territorio, debbano essere riammessi nel loro gruppo di appartenza. Non li si può nemmeno adottare, possono essere prelevati soltanto se gravemente malati.

La reimmissione sul territorio dei cani è prevista anche dagli ordinamenti regionali che consentono così a questi animali di diventare cani di quartiere, un fenomeno molto diverso dal randagismo.

La legge permette agli enti e alle associazioni protezioniste, in accordo con le unità sanitarie locali, di gestirli, garantendo la cura della loro salute. I privati cittadini, quindi, possono dare da mangiare ai gatti liberi, purché rispettino alcune precauzioni.

Il Comune o altri enti possono vietare di dare da mangiare ai randagi?

Diversi Comuni hanno tentato di vietare la somministrazione di cibo agli animali randagi attraverso ordinanze sindacali o regolamenti comunali. Questi provvedimenti sono stati spesso motivati da preoccupazioni igienico-sanitarie e dal desiderio di evitare situazioni di degrado urbano. Tuttavia, i Tar ha chiarito che tali divieti sono illegittimi.

Ad esempio, il Tar Campania, con l'Ordinanza n. 958 del 2018, ha spiegato che l'interesse pubblico legato alla prevenzione di situazioni nocive o pericolose dal punto di vista igienico-sanitario non giustifica un divieto di alimentazione. Esistono già norme specifiche che rendono illecite le condotte di deturpamento o imbrattamento del suolo pubblico.

Analogamente, il TAR della Puglia e della Calabria hanno evidenziato che la normativa nazionale prevede la sterilizzazione come misura preferibile per limitare le problematiche legate alla presenza di animali randagi. Proibire di dar da mangiare ai gatti liberi o ai cani randagi è quindi una forma di maltrattamento.

In quali casi si può essere multati?

Nonostante sia generalmente lecito nutrire i randagi, esistono alcune situazioni in cui si può essere multati. Le ordinanze e le sentenze dei tribunali amministrativi hanno chiarito che, sebbene non si possa vietare di alimentare gli animali liberi, costituisce una condotta illecita gettare cibo sul suolo pubblico o nella proprietà altrui, nonché lasciare sui marciapiedi o sulle strade contenitori sporchi di avanzi. Chi desidera offrire cibo agli animali randagi deve farlo utilizzando contenitori puliti e rimuovere tutto subito dopo il pasto.

Il Tar della Campania, ad esempio, ha sottolineato l'illiceità e la punibilità delle azioni di abbandono di rifiuti. Il deposito di cibo per i randagi deve avvenire tramite l'uso di appositi contenitori, che devono essere successivamente rimossi da chi ha somministrato il cibo.

Chi dà da mangiare ai randagi ne diventa responsabile?

Chi dà da mangiare ai randagi non ne diventa responsabile. È importante sfatare il mito secondo cui nutrire cani e gatti liberi comporti automaticamente una responsabilità sull'animale stesso o per i danni che potrebbe causare. La responsabilità legale si verifica solo in caso di detenzione stabile.

La Cassazione, con la sentenza n. 19161/2014, ha chiarito che il dovere di prevenire i danni causati dagli animali può derivare solo da un rapporto di diretta e stabile relazione con gli animali stessi. Questo rapporto può essere di tipo proprietario o di detenzione, ma non può essere basato unicamente sulla somministrazione di cibo a scopo assistenziale. In altre parole, chi nutre un animale randagio non ne diventa automaticamente responsabile.

Di recente, ha suscitato scalpore un'ordinanza del Sindaco di Castelbuono, in Provincia di Palermo, che vieta di sfamare cani, gatti e perfino uccellini in strada, con sanzioni fino a 500 euro. Questo provvedimento è stato contestato e le associazioni animaliste hanno promesso impugnazioni immediate. La giustizia amministrativa ha ribadito più volte che tali divieti sono illegittimi. Ad esempio, il Tar Veneto Venezia, con la Sentenza n. 6045 del 2010, ha annullato un'ordinanza simile, chiarendo che il controllo delle nascite e la gestione degli animali devono avvenire attraverso misure specifiche previste dalla legge, non attraverso divieti indiscriminati.

Giornalista per formazione e attivista per indole. Lavoro da sempre nella comunicazione digitale con incursioni nel mondo della carta stampata, dove mi sono occupata regolarmente di salute ambientale e innovazione. Leggo molto, possibilmente all’aria aperta, e appena posso mi cimento in percorsi di trekking nella natura. Nella filosofia di Kodami ho ritrovato i miei valori e un approccio consapevole ma agile ai problemi del mondo.
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