Perché negli Stati Uniti i topi da laboratorio hanno diritti e i polpi no? L’accusa arriva dal New York Times. Secondo l’autorevole quotidiano, infatti, non si capisce perché gli scienziati debbano obbligatoriamente seguire le normative federali in questo campo se si tratta di topi, scimmie pesci o fringuelli e non debbano farlo se si tratta di invertebrati.
Questi animali, infatti, inclusi vermi e api o cefalopodi come calamari e polpi, nei laboratori non ricevono le stesse protezioni dal governo federale. Tanto che nell’ambiente della ricerca rispetto a queste specie non c'è alcuna supervisione o normativa che possa impedire di acquistare un polpo e di farne ciò che si vuole, spiega al quotidiano Robyn Crook, neuroscienziata della San Francisco State University.
La questione, però, si fa urgente visto che i ricercatori lavorano sempre più spesso con i cefalopodi per rispondere alle domande delle neuroscienze e in altri campi scientifici.
Il quotidiano sottolinea anche che tutto ciò non vuol dire che la ricerca sui cefalopodi sia un selvaggio west. Sono sempre di più, infatti, gli istituti di ricerca americani che scelgono di sottoporre i loro studi allo stesso processo di approvazione degli esperimenti su topi o altri vertebrati.
Ma ciò che manca sono delle linee guida che stabiliscano gli standard di cura dei cefalopodi utilizzati in questo campo, insieme ad una supervisione federale. E tutto questo riflette, oltretutto, come regole e leggi siano decisamente in ritardo rispetto alla comprensione scientifica delle complesse vite interiori di questi animali.
La levata di scudi animalista del principale quotidiano Usa aggiunge una valutazione ancora più meritoria degli stessi invertebrati rispetto ai topi e si basa sul principio che i polpi possono anche eseguire imprese intelligenti di cui i topi non sono capaci, come per esempio mimetizzarsi tra le rocce per difendersi dagli attacchi. Un paragone, diciamolo, abbastanza inutile quello di mettere a confronto specie diverse sul piano dell'intelligenza senza considerare, appunto, che le abilità cognitive non vanno comparate: ogni animale ha la sua evoluzione e le sue "ragioni" per sviluppare determinate caratteristiche.
In sostanza comunque si vuole intendere, come peraltro è stato già dimostrato in diversi studi, che i polpi e altri cefalopodi sono particolarmente intelligenti e sensibili. Il passo in più è chiedersi se questi animali sentano il dolore. E visto che gli esperimenti su di loro comportano interventi chirurgici dolorosi, non è una domanda di poco conto.
Il fatto che l'esperienza del dolore esista o meno negli animali al di fuori dei vertebrati è una tesi piuttosto controversa. In un articolo del 2021, la dottoressa Crook aveva mostrato come i polpi che avevano ricevuto un'iniezione di acido acetico, subito dopo si tenessero accuratamente alla larga dall’area dove avevano ricevuto l'iniezione. Una scoperta che aveva mosso qualcosa, almeno negli scienziati ma non a livello federale, mancando del tutto un’uniformità sulle leggi che interessano il benessere degli animali in cattività. Infatti, spiega il NYT, è vero che esiste l’Animal Welfare Act, approvato nel 1966, che richiede un trattamento umano di animali come primati o da compagnia ed esiste anche l'Health Research Extension Act del 1985, che disciplina il trattamento di tutti gli animali vertebrati nella ricerca finanziata dal governo degli Stati Uniti. Ma il problema è che quando si tratta di invertebrati, queste leggi non hanno alcun valore. Inoltre, non esiste un manuale universale per la cura dei cefalopodi, perché gli scienziati stanno ancora studiando la loro biologia.
Katherine Meyer, che dirige la Animal Law and Policy Clinic presso la Harvard Law School, sta cercando di fare pressione sul National Institutes of Health, il principale finanziatore federale della ricerca biomedica in gli Stati Uniti, perché possa avvenire un cambiamento. Ma al momento non sembra aver avuto risposta.
L’unica buona notizia è che sempre più scienziati che studiano queste creature hanno deciso di agire personalmente e se non di interrompere del tutto gli esperimenti sugli animali, almeno di provare a non farli soffrire.