Gli animali che danno fastidio sotto casa o i lupi che predano gli agnelli. Ma, a seconda delle località, c’è anche la rivalità tra cercatori di tartufi che cercano di uccidere il cane dell’altro. Sono tante le cause che sono all’origine delle “polpette avvelenate”, cioè delle esche nascoste ad arte per uccidere animali selvatici e domestici. Lo sanno bene i Carabinieri forestali di Sassoferrato, in provincia di Ancona, che nella frazione di Monterosso ne hanno scoperta recentemente una.
L’intervento è partito su segnalazione di un cittadino che ha chiesto aiuto alle forze dell’ordine. I militari, dopo i primi accertamenti, hanno attivato il Nucleo cinofili antiveleno istituto presso il Reparto carabinieri forestale del Parco nazionale dei Monti Sibillini di Visso, in Provincia di Macerata, nucleo che ha competenza sui territori di Marche e Umbria. Gli operatori, con i cani addestrati per il rinvenimento di esche avvelenate, hanno perlustrato a fondo l’area circostante al luogo del primo ritrovamento segnalato e hanno recuperato un’altra esca del tutto simile.
Dai primi accertamenti si ipotizza che le esche fossero destinate a gatti e cani di cittadini residenti nel circondario: questa prima ipotesi investigativa è sostenuta dal fatto che è emerso nella stessa zona un caso di morte sospetta di un gatto per avvelenamento risalente
a pochi giorni fa. I responsabili rischiano la denuncia all’Autorità Giudiziaria con la pena, in caso di condanna, della reclusione fino a due anni.
Ma cosa si può fare davanti a un’esca? «Un’ordinanza del ministero della salute del 10 agosto 2020 stabilisce che appena viene ritrovato un boccone avvelenato o un animale morto o con gravi sintomi che possono fa presupporre un avvelenamento va immediatamente allertato un veterinario – spiega a Kodami Tiziano Latini, Maresciallo comandante della stazione dei Carabinieri forestali di Sassoferrato – L’avvelenamento si può manifestare o con la rigidità degli arti, con un ‘ghigno’ o con bava dalla bocca e sangue dalle mucose».
Nel caso di cronaca che ha coinvolto i forestali è stato trovato un rodenticida. «Aveva la forma delle pastiglie della lavatrice e di solito ha colori molto sgargianti – prosegue Latini – Il lumachicida, invece, ha un colore verde o azzurro e la forma di piccoli granelli. Poi c’è la stricnina, di cui ora è vietata la vendita (ma che trova su internet), e che solitamente ha la forma di piccole pasticche».
I veleni non sono appetibili e per questo vengono nascosti nel cibo. Nel caso di Sassoferrato c’era del prosciutto. In altri episodi sono stati trovati wurstel aperti con all’interno le pasticche di stricnina. «Fanno così perché l’animale tende ad evitare ciò che non è commestibile e per essere sicuri che ingoino l’intera esca la nascondono lì o la frantumano», dice il maresciallo. E se le mettessero nelle scatolette del petfood? Non è frequente. «Di solito si tratta sempre di scarti alimentari – aggiunge il comandante – Per esempio, vengono usati polli morti per catturare i lupi».
Secondo l’ordinanza del Ministero appena viene individuata una zona con esche avvelenate questa deve essere bonificata. I carabinieri forestali hanno un’apposita unità specializzata (Uca anti-veleno) con cani addestrati a sentire gli odori delle esche. Gli stessi militari avviano poi le indagini per cercare di risalire al presunto movente. Ma quali possono essere le motivazioni principali che spingono qualcuno a gettare le “polpette avvelenate”? «Tra le cause ci sono le liti tra vicini, gli allevatori che temano i predatori selvatici e, da queste parti, a Sassoferrato, anche i cercatori di tartufi. È capitato di trovare chi vuole uccidere il cane dell’altro».