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8 Dicembre 2023
9:07

Poiana ferita dai bracconieri in cura alla Lipu di Roma: «Specie protette sotto attacco»

Ha ferite all'ala e alla zampa la poiana colpita dai bracconieri e portata al Centro Lipu di Roma. Per l'esperta dell'associazione «la caccia mette in pericolo le specie protette».

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Poiana ferita e portata alla Lipu a Roma
La poiana ferita (Fonte: Lipu, foto di Irene Alison)

È stata ferita dai bracconieri la poiana recuperata dai volontari della Lipu di Civitavecchia e portata al Centro recupero fauna selvatica di Roma, in via Ulisse Aldrovandi, 2. Il rapace è stato colpito, nonostante fosse una specie protetta, con due colpi di arma da fuoco: la radiografia eseguita sull’animale, infatti, ha mostrato due pallini di piombo conficcati uno nell’ala destra e l’altro nella zampa sinistra, che non potranno essere rimossi.

Nonostante ciò, la poiana «ha ottime possibilità di ripresa – spiega a Kodami Francesca Manzia, responsabile del Centro recupero Lipu di Roma – Le ci vorrà almeno un mese per recuperare la frattura dell’ulna causata dalla caduta scomposta: dopo che la frattura si sarà saldata nel box di degenza, la aspetta un periodo di riabilitazione in voliera, per rinforzare la muscolatura e recuperare la funzionalità dell’ala prima di tornare a volare».

Sempre meno animali sono vittime dei bracconieri 

Radiografia su poiana ferita Lipu Roma
LA radiografia sulla poiana ferita (Fonte: Lipu, foto di Irene Alison)

C’è anche un’altra notizia positiva: «Sono sempre meno gli animali selvatici che finiscono vittime dei bracconieri – continua Manzia – Dall’inizio di questa stagione venatoria [17 settembre nel Lazio, n.d.r.] abbiamo ricoverato solo due rapaci, un gheppio e una poiana. Ma questo non vuol dire che si debba ridurre l’attenzione. Le nostre guardie venatorie sono sempre in prima linea per prevenire irregolarità».

Ma il trend positivo di Roma si registra anche nel resto d’Italia? A rispondere è Laura Silva, responsabile nazionale del settore recupero fauna selvatica di Lipu contattata da Kodami: «I dati che arrivano dai nostri dieci centri, distribuiti da Nord a Sud dell’Italia, ci mostrano un’effettiva diminuzione degli animali selvatici recuperati. Dall’inizio di questa stagione sono 43, tra cui soprattutto allodole, gheppi e sparvieri. Ma questo, purtroppo, non vuol dire che possiamo cantare vittoria».

La “deregulation” della caccia

A preoccupare i volontari che ogni giorno si prendono cura degli animali selvatici c’è il Piano straordinario per la gestione e il contenimento della fauna selvatica: si tratta del decreto firmato dai ministri dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin e dell’Agricoltura, Francesco Lollobrigida e previsto dall’emendamento, ribattezzato “caccia selvaggia”, alla legge di Bilancio.

Il provvedimento  ha modificato la legge nazionale sulla caccia, consentendo l’ingresso dei cacciatori nei parchi e nelle città per sparare a qualsiasi specie di animale selvatico. Una «deregulation della caccia», come la definisce Silva. «Gli effetti, comunque, li potremo vedere e valutare nel corso dei prossimi mesi», ci tiene a sottolineare.

Ci sono però anche altri aspetti che vanno presi in considerazione quando si parla di animali selvatici feriti dai bracconieri, che potrebbero essere molti di più di quelli che arrivano nei centri di recupero: «Per accertare che gli esemplari siano stati effettivamente colpiti da arma da fuoco vengono effettuate le radiografie, da cui si rileva la presenza di pallini di piombo, ma non sempre questi rimangono nel corpo degli animali. Ci sono casi in cui i pallini attraversano il corpo, lasciando ferite che però non sono sempre identificabili al 100% come provocate da arma da fuoco».

Diversi esemplari in difficoltà, che arrivano nei centri di recupero, pur non avendo più i proiettili conficcati tra piume e peli, potrebbero essere stati colpiti dai bracconieri.

Gli effetti indiretti della caccia

La caccia, inoltre, non uccide soltanto prendendo la mira e sparando, ma può essere anche una causa indiretta della morte degli animali selvatici protetti: «Pensiamo a un esemplare, come per esempio un rapace, che pur non essendo finito nel mirino di un cacciatore è sottoposto allo stress e alla paura di ascoltare spari e inseguimenti – chiarisce Silva – Un esempio evidente è la braccata al cinghiale, che spaventa anche gli animali non coinvolti nell’inseguimento. Questi vengono spinti a scappare, non pensano più a procurarsi il cibo. E questo li debilita molto, anche al punto di provocarne la morte».

C’è poi il problema dell’utilizzo, ancora massiccio in Italia, di munizioni al piombo, che provocano saturnismo (una grave intossicazione da piombo organico e metallico) negli animali che le ingeriscono o si cibano di animali che le hanno ingerite. Una piaga che uccide ogni anno in Europa un milione di uccelli acquatici. L’Unione Europea ha vietato con il Regolamento 2021/57 l’utilizzo di questo tipo di munizioni nelle zone umide.

Ma il governo italiano ha tentato di aggirare il divieto con una circolare poi bocciata dal Tar del Lazio lo scorso settembre. «Purtroppo nel nostro Paese c’è ancora un forte retaggio culturale che impedisce di abbandonare il piombo» spiega Silvia.

Un tema su cui la Lipu ha voluto confrontarsi insieme ai cacciatori, attraverso un convegno intitolato "Il Peso del Piombo” e organizzato dal Museo di Scienze Naturali di Bergamo lo scorso 2 dicembre. Con l’obiettivo di trovare, insieme a tutte le parti coinvolte, un’alternativa sostenibile.

Il 60% degli animali feriti dai bracconieri non sopravvive 

Fare in modo che sempre meno animali protetti finiscano vittime dei bracconieri è cruciale. E per capirlo basta un dato: «Il 60% degli esemplari feriti da arma da fuoco che arrivano nei nostri centri non sopravvive» rivela Silva. E per il restante 40% che ce la fa, il percorso di ripresa è doloroso e faticoso. Non solo per loro, ma anche per gli esperti che li hanno in cura. Dalle terapie alla lunga riabilitazione: «Un iter che dura diversi mesi» precisa Silva. Fino ad arrivare al momento della liberazione, che avviene alla fine della stagione venatoria «per evirare che vengano di nuovo colpiti». Almeno fino alla riapertura della caccia.

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Giulia Argenti
Giornalista
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