La preoccupazione sull'uso eccessivo degli antibiotici non riguarda solo l'essere umano. Un recente studio conferma che nel 2020 sono state usate più di 99 mila tonnellate di antibiotici negli allevamenti e nel 2030 ci sarà un aumento dell’8% arrivando fino a 107mila tonnellate. Numeri da capogiro che fanno salire le preoccupazioni su uno dei temi che più preoccupa riguardo la salute degli animali e dell'uomo: la crescita dell'antibiotico-resistenza.
Senza dubbio l'uso di antibiotici negli allevamenti ha permesso la crescita della produzione animale intensiva e ha contribuito a soddisfare l'aumento globale della domanda di proteine animali, ma tutto questo ha un prezzo. L'abuso di queste medicine in ambito veterinario fa si che gli agenti patogeni sviluppino resistenze ai farmaci più velocemente del normale e questo ha una pesante ricaduta sul benessere degli animali, soggetti a malattie le cui cure diventano sempre più obsolete.
In questo contesto si inserisce un grande monitoraggio effettuato da un team di ricercatori dell'Health Geography and Policy Group di Zurigo pubblicato recentemente su Plos Global Public Health. Secondo gli studiosi globalmente l'uso di antibiotici è stato stimato a 99.502 tonnellate nel 2020 e si prevede, sulla base delle tendenze attuali, un aumento dell'8% per arrivare a circa 107.472 tonnellate entro il 2030.
Gli studiosi hanno principalmente utilizzato i dati provenienti dagli archivi della FAO (Food and Agriculture Organization) esaminando l'andamento in 42 paesi per quanto riguarda i quantitativi di antibiotici utilizzati nell'allevamento di bovini, ovini, polli e suini negli ultimi anni. Oltre all'evidente aumento del quantitativo di antibiotici utilizzati i ricercatori hanno constatato anche come in alcune regioni del mondo l'abuso sia più evidente di altre. In particolar modo, hanno realizzato delle mappe di densità indicando con diverse gradazioni di rosso le zone in cui l'uso di antibiotici è più intenso.
La regione che somministra più antibiotici ai propri animali da allevamento è l'Asia (67% del totale), tra cui l’est della Cina, il sud dell’India e l’isola indonesiana di Java sono le zone con il maggior numero di somministrazioni annue. In Africa, invece, la situazione è completamente opposta, con meno dell'1% degli antibiotici utilizzati sul totale.
È normale dunque che salga l'apprensione per il benessere di animali con cui condividiamo una storia di coesistenza millenaria. Ecco perché secondo i ricercatori è essenziale incoraggiare il monitoraggio a livello nazionale dell'uso di antibiotici e valutare meglio l'impatto delle politiche nazionali.
Oltre al controllo, però, è necessario concretamente utilizzare più razionalmente dei medicinali che, se somministrati così massicciamente, potrebbero provocare danni ingenti a lungo termine. Gli stessi ricercatori concordano che sia necessario minimizzare l’uso di antibiotici sistemici eseguendo, ad esempio, una terapia antimicrobica mirata. Questo significa effettuare esami specifici all'animale per individuare e curare in maniera puntuale una malattia, prassi che spesso viene ignorata per i costi elevati.
In ogni caso l'Unione Europea offre delle linee guida su quali siano i metodi migliore di somministrazione e sopratutto le modalità più adeguate di prescrizione. Per conoscere più approfonditamente queste modalità dei ricercatori della Heads of Medicines Agencies e della Federation of Veterinarians of Europe alcuni anni fa hanno condotto un’indagine per evidenziare le patologie per le quali gli antibiotici sono più frequentemente prescritti e le differenti classi di farmaci utilizzate, incluse le molecole di importanza critica per l’uomo.
Dallo studio è emerso che le penicilline e le tetracicline sono le classi più frequentemente prescritte per il trattamento delle principali specie animali, mentre in Italia i composti più frequentemente prescritti sono stati gli antibiotici ad ampio spettro, tra cui penicilline con inibitori della beta-lattamasi, cefalosporine di prima generazione e fluorochinoloni.
Il dato più sorprendente dello studio, però, è che gli antibiotici prescritti in seguito a esame batteriologico e antibiogramma, due esami specifici per constatare il tipo di malattia e il livello di infezione, erano meno del 5%. Questo significa che molti veterinari, senza neanche conoscere bene la patologia in esame, preferiscono somministrare antibiotici generici che sono proprio quelli che più di tutti favoriscono l'antibiotico-resistenza.
La necessità di inspessire i controlli e rendere più rigidi i protocolli sanitari, dunque, risulta sempre più evidente. Proprio come nell'essere umano, somministrare un antibiotico generico non può essere la cura per ogni male.