Tutti gli ecosistemi del nostro Pianeta sono connessi e si influenzano in maniera più o meno forte a vicenda. Questo è l"ecosistema-mondo" e secondo una gigantesca ricerca che ha coinvolto oltre 1400 organizzazioni e più di 100 specialisti in tutto il Pianeta è strutturato gerarchicamente in 5 regni, 25 biomi e 110 gruppi ecosistemici.
Uno studio del genere funge come una splendida impalcatura: ora esperti della conservazione della biodiversità di tutto il globo potranno costruire i propri programmi di conservazione partendo da qui.
L'idea che il pianeta Terra sia un gigantesco organismo vivente in cui fiumi e torrenti sono i vasi sanguigni che portano nutrimento in tutto il corpo affonda le proprie radici nella Grecia del IV secolo a.C. Un giovane Aristotele, passeggiando per le strade della sua città natale Stagíra, l'odierna Olympiada, fu inspirato dalle correnti del Mediterraneo e dai diversi fiumi greci che sfociano in esso per per partorire una considerazione straordinaria che oggi tradurremmo come: tutti gli ecosistemi del Pianeta sono connessi.
Un team interdisciplinare di scienziati guidato da ricercatori della University of New South Wales, in Australia, e che comprende anche l'Unione Internazionale per la Conservazione della Natura (IUCN), ha portato il famoso ragionamento del filosofo greco su tutto un altro piano, sviluppando la prima classificazione completa degli ecosistemi del mondo e pubblicando i risultati dello studio su Nature.
Perché non possiamo rimpiazzare ogni ecosistema naturale con uno artificiale
Per comprendere realmente l'importanza di questa scoperta dobbiamo fare un passo indietro. Pensiamo per un attimo di rimpiazzare ogni singolo ecosistema naturale con uno artificiale. Niente più grandi laghi delle piane alluvionali o quercete miste tipiche della macchia mediterranea. Salendo su uno dei nostri tanti palazzi di città vedremmo intorno a noi solo grandi campi coltivati con monoculture, pascoli e parchi urbani. Se pensiamo che questo scenario sia eccessivo e particolarmente fantasioso forse, proprio grazie a questa ricerca, dovremmo riconsiderare le nostre posizioni.
Il 10% degli ecosistemi che oggi esistono sono infatti creati artificialmente e mantenuti dall'uomo. Una porzione piuttosto piccola di tutti quelli che esistono al mondo, senza dubbio, ma che occupa più del 30% della superficie terrestre. A fare le spese dell'espansione dell'uomo sono sempre gli animali che per la perdita di habitat sono costretti a trovare nuovi rifugi o soccombere alla nostra avidità. Si spiega così uno dei dati più allarmanti e il reale motivo per cui dovremmo interrompere la nostra "espansione territoriale": quella percentuale di superficie terrestre che si assottiglia sempre più ospita il 94% delle specie minacciate presenti nella Lista Rossa IUCN e più habitat sottraiamo a questa fetta, più vittime lasciamo sul nostro cammino.
Eppure è chiaro ormai da secoli che sono proprio gli ecosistemi naturali a fornire supporto vitale a tutte le piante e gli animali che li abitano, fornendo all'uomo i così detti "servizi ecosistemici", il modo antropocentrico di tradurre l'operato della natura in benefici tangibili per noi. Le piante garantiscono aria e acqua pulite, sequestrano il carbonio degradando l'anidride carbonica e rendendola disponibile al resto dell'ambiente, le loro radici rinsaldano il terreno che, senza di loro, si smonterebbe provocando frane e valanghe, e molto altro.
Tutti gli ecosistemi del mondo presentano caratteristiche che sostengono la vita dell'uomo in un modo o nell'altro e fortunatamente sono sempre di più gli essere umani che hanno capito il disastroso futuro che noi stessi ci stiamo costruendo. Per riuscire a creare politiche positive in favore della natura, però, bisogna studiare a fondo la complessità e l'interconnessione degli ecosistemi e, soprattutto, quanto li abbiamo danneggiati, stimando a quale profondità sono arrivate le nere radici dell'egoismo umano.
I "tipi di ecosistemi globali"
Ecco dunque che nasce questa gigantesca classificazione definita dagli scienziati "Global ecosystem typology", letteralmente "Tipi di ecosistemi globali". Molti ecosistemi sono già profondamente studiati e noti al grande pubblico come le foreste tropicali, i grandi fiumi e le barriere coralline. Altri, invece, sono poco noti e immediatamente da una classificazione apparentemente fredda e matematica si parte per un viaggio attraverso profonde trincee oceaniche, montagne sottomarine, laghi sotto le calotte glaciali ed ecosistemi microscopici all'interno delle rocce.
Caratteristica principale di questa classificazione è la struttura gerarchica a sei livelli. Il livello superiore divide il pianeta in 5 regni principali che comprendono gli ecosistemi terrestri, d'acqua dolce, marini, sotterranei e atmosferici. Il secondo e il terzo livello comprendono 25 biomi e 110 gruppi funzionali ecosistemici e la loro divisione si basa sui processi ecologici che li modellano e le funzioni che svolgono i loro componenti chiave. Sono proprio questi gruppi funzionali gli strumenti che garantiranno a tutti gli esperti di conservazione un nuovo punto di vista globale, fornendo una nuova cornice di inquadramento per i futuri progetti di gestione.
I livelli inferiori della gerarchia si basano su caratteristiche ecosistemiche più fini e consentono l'integrazione delle classificazioni nazionali esistenti. Queste classificazioni e mappe degli ecosistemi nazionali saranno a supporto di osservazioni scientifiche più dettagliate e studi regionali e sono fondamentali poiché molti paesi hanno costruito le loro politiche ambientali proprio intorno a loro.
Dunque, non possiamo più permetterci di trattare ogni ecosistema come una scatola a tenuta stagna. Ora è necessario allargare i propri orizzonti e la prossima grande frontiera per una migliore la gestione degli ecosistemi è stabilire mappe globali di monitoraggio delle specie in pericolo, un nuovo impegno che finalmente l'umanità potrà prendere in mano come sforzo collettivo.