La vita di tutti gli animali sarebbe più semplice se gli individui contagiosi avessero appeso al collo un cartello che dice "attenzione, non avvicinarsi!" con luci lampeggianti e allarmi a tutto volume. Fortunatamente gli esseri umani hanno sviluppato una reazione emotiva ben più discreta, ma ugualmente efficace: il disgusto. Un nuovo studio rivela come questo meccanismo etologico sia presente in realtà anche in molti altri animali: le specie solitarie sono meno propense a mostrarlo, mentre in quelle sociali è più evidente. Secondo gli studiosi fanno eccezione i pinguini e i conigli che tollerano il proprio disgusto e non si allontanano dai compagni malati per via dell'"immunità di gregge" che garantisce loro la sopravvivenza.
Quello sul disgusto è un campo di studio senza dubbio poco approfondito a differenza dei comportamenti legati alla paura e alla fuga dai predatori che hanno catturato l'attenzione di molti etologi. Comprendere meglio i meccanismi fisiologici che provocano il disgusto, però, è fondamentale: non solo svelano lati segreti del comportamento dell'uomo e di molti altri animali, ma possono spiegare tanto anche sui comportamenti legati alla prevenzione delle malattie.
Per questo motivo un team internazionale di scienziati ha raccolto centinaia di osservazioni di animali in atteggiamenti di disgusto, associando a queste manifestazioni comportamentali fattori ambientali, come il tipo di habitat, o sociali, come la grandezza del gruppo e le interazioni fra individui. Lo studio è stato recentemente pubblicato sulla rivista Animal Ecology.
Le piume del pinguino imperatore, una chiave nascosta per la sopravvivenza
«Abbiamo scoperto che esistono oltre 30 specie che sanno provare disgusto come strategia per evitare le malattie – spiega Cécile Sarabian, ricercatrice dell'Università di Kyoto e autrice dello studio – Prevediamo, inoltre, che ce ne siano almeno altre sette fino ad oggi ignorate nelle altre ricerche».
Gli autori, infatti, hanno studiato in quali contesti ambientali e sociali vivono le specie che hanno sviluppato tale comportamento, scoprendo che elementi simili sono presenti anche in altri animali tra cui il polpo comune (Octopus vulgaris) e la tartaruga dalle orecchie rosse (Trachemis scripta elegans). Le nicchie ecologiche e le caratteristiche sociali di questi animali spingono gli studiosi a ipotizzare che anche loro possono essere disgustati e utilizzano questo meccanismo per prevenire ulteriori contagi.
«Abbiamo analizzato i vari costi e benefici coinvolti nell'esperienza del disgusto scoprendo che i comportamenti che spingono gli animali a evitare la malattia dipendono dal sistema sociale e dall'ecologia della specie», spiega il co-autore Andrew MacIntosh, professore del Centro di ricerca sulla fauna selvatica dell'Università di Kyoto.
Il disgusto può essere innescato da segnali sensoriali associati al rischio di malattia, come la vista della diarrea o l'odore del pus, che si sviluppano una serie di risposte comportamentali o fisiologiche che aiutano gli animali a evitare parassiti, agenti patogeni e tossine. I livelli di disgusto variano anche da specie a specie e in questo la socialità gioca un ruolo fondamentale. Infatti, poiché le specie solitarie hanno relativamente meno interazioni sociali, sono di conseguenza meno esposte alla trasmissione di malattie e quindi è meno probabile che presentino adattativamente risposte di disgusto.
«Questo, però, non è vero per tutte le specie sociali – aggiunge MacIntosh – Alcune specie che vivono in colonie o grandi gruppi, come conigli e pinguini, riescono a tollerare i compagni malati in quanto possiedono una strategia di immunità comunitaria, o immunità di gregge, che garantisce loro la sopravvivenza».
Questo particolare tipo di immunità consiste nella capacità di un gruppo di resistere all’attacco di un’infezione, verso la quale una grande porzione dei membri degli individui è immune. È una forma di protezione indiretta che si verifica quando una parte significativa di una popolazione ha sviluppato anticorpi specifici verso un agente infettivo. Per poter sviluppare anticorpi, però, è necessario che gli individui siano esposti all'azione del patogeno, soprattutto se in maniera blanda, motivo per cui potrebbe essere controproducente sviluppare un meccanismo di difesa come il disgusto che fa allontanare gli esemplari di un gruppo da chi è infetto.
Insomma, non siamo gli unici nel regno animale ad arricciare il naso e le labbra quando vediamo qualcosa che non ci piace e questo implica che studi simili possono avere forti implicazioni anche per la salute umana. Indagini sul disgusto, ad esempio, possono essere applicati allo studio della pandemia di Covid-19, una malattia in cui l'allontanamento fra individui è stato necessario per poter arginarla.
«Proprio per supportare gli studi sulla salute umana è importante continuare a promuovere la creazione di una banca dati che raccoglie quanti più esempi possibili della presenza del disgusto nel regno animale – conclude Sarabian – Questo potrà aiutarci a sviluppare strategie sempre più efficaci per la prevenzione delle malattie, migliorando al contempo anche la gestione della fauna selvatica».