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14 Dicembre 2022
17:20

Peta contro “God of War Ragnarok”, ma ha senso protestare per la violenza sugli animali nei videogiochi?

PETA vuole una nuova modalità in God of War Ragnarök per rimuovere la violenza contro gli animali, ma è necessario?

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L'associazione animalista statunitense "Persone per il trattamento etico degli animali" (Peta) si scaglia di nuovo contro il mondo dei videogiochi. Non è però nuova a proteste del genere.

Già diversi anni fa aveva intrapreso una campagna contro gli sviluppatori di Assassin's Creed III e Assassin's Creed IV Black Flag per aver inserito all'interno dei loro giochi delle missioni in cui era possibile andare a caccia di animali selvatici nelle foreste degli Appalachi e di squali e cetacei, nei mar dei Caraibi.

La nuova protesta che l'associazione sta facendo ora è nei confronti di God of War Ragnarok, uno dei titoli più attesi per la Playstation 5 e sta creando una sorta di corto circuito fra gli appassionati del mondo del gaming e gli animalisti più intransigenti.

La ragione del confronto acceso, che anima da circa un mese siti come Reddit o le redazioni delle testate videoludiche, si può riassumere attraverso un quesito semplice: ha senso protestare per la violenza virtuale attuata nei confronti di animali che non esistono? Dipende, e nei prossimi paragrafi cercheremo di illustrare meglio il perché.

La violenza contro gli animali in God of War Ragnarok

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La colpa di God of War Ragnarok secondo la Peta sarebbe quella di rappresentare su schermo violenze e abusi perpetuati su animali innocenti. Partendo dal presupposto che nessuna rappresentazione violenta sullo schermo possa giustificare il comportamento reale dei videogiocatori, che per libera scelta possono essere a favore o contro la caccia, per dirimere meglio la questione dovremmo approfondire quale tipologia di violenza è presente nel gioco nei confronti degli animali.

In Ragnarok il protagonista Kratos esplora i nove regni della cultura Norrena alla ricerca di soluzioni che possano scongiurare l'apocalisse. Per farlo però è costretto a difendersi da un grande elenco di creature – un vero bestiario – che arrivano direttamente dalla cultura nordica o derivano da animali reali, trasformati dagli sviluppatori per fornire al giocatore un costante senso di pericolo e sorpresa che rende questi giochi così intrattenenti.

Quali sono dunque le creature che la Peta vorrebbe difendere, attraverso una modalità di gioco che impedirebbe a Kratos di offendere e uccidere questi "animali"? Sono principalmente lupi, coccodrilli simili a draghi, lucertole simili a salamandre, balene e orsi.

Un lupo in particolare, Garm, una sorte di Cerbero che protegge l'ingresso dell'inferno norreno, è quello che reca i maggior segni di maltrattamenti. Garm infatti è legato ad una piattaforma di ghiaccio, con una catena per ogni zampa ed un collare a strozzo a bloccargli il muso. Inoltre la "boss fight" contro Garm è fra quelle più spettacolari, dove ripetutamente si deve abbattere l'animale gigantesco a colpi di spada e di ascia.

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Ora, descritto così tale scontro può sembrare davvero inopportuno poiché il confronto infatti è violentissimo. Sussiste però un duplice fattore che annichilisce la critica effettuata dalla Peta, per quanto riguarda questo scontro. Innanzitutto, Garm è un animale inventato, una leggenda facente parte della mitologia norrena da circa 1300 anni che alla fine dello scontro non viene neanche ucciso da Kratos.

La bellezza di questo Ragnarok, però, consiste nel come presenta il mito norreno sotto tutt'altra forma rispetto alla tradizione classica e, infatti, alla fine il povero Garm viene riabilitato, dopo aver devastato i nove regni del firmamento, venendo in pratica adottato da Kratos e suo figlio Atreus.

La violenza dei videogiochi influenza davvero quella nel mondo reale?

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AC IV Black Flag

Partiamo subito dicendo che non esistono studi che provano quanto i videogiochi violenti possano influenzare negativamente il comportamento dei giocatori. Neanche nel caso specifico di Ragnarok, dunque, è possibile affermare che sugli animali le azioni portate avanti dal protagonista possano avere una qualche influenza, considerando soprattutto che quelli affrontati sono solo creature del mito, non reali.

Inoltre, dovremmo riflettere sulla potenza del medium in questione, per comprendere quanto invero possa trasmettere informazioni educative anche per quanto riguarda il mondo degli animali reali. Anzi, sono sempre di più le ricerche che affermano quanto utili siano i videogiochi per la conoscenza personale di una persona, al pari di libri, film e serie tv, proprio come afferma uno studio italiano pubbicato nel 2012 dall'Università di Tor Vergata.

Riferendoci di nuovo alla saga degli assassini, era davvero necessario rappresentare la caccia alle balene e agli squali, nel quarto capitolo? Riflettendo su cosa sia degno di essere esposto in un Assassin's Creed, dobbiamo sapere che la saga della casa produttrice Ubisoft principalmente è un'epopea fantastorica dell'umanità con una narrativa talmente tanto sviluppata e coinvolgente che uno studio dell'Università del Missouri ha specificato come giochi che presentano questa costruzione possano addirittura aumentare l'empatia dei più giovani che rivivono gli eventi narrati attraverso il medium videoludico.

Questo perché nella saga targata Ubisoft ogni titolo prende in esame un determinato periodo storico e lo rappresenta con tutte le sue contraddizioni. Educativamente parlando, gli AC infatti sono una manna per gli antropologi e gli storici, per quanto non sempre le trame sono storicamente affidabili. E nel quarto capitolo principale, che è stato molto criticato dalla Peta, il protagonista è Edward, un pirata dei Caraibi. Quando gli sviluppatori hanno riflettuto dunque su come rappresentare la vita di un tipico pirata inglese di inizio 700, si sono posti il problema di scegliere quali azioni era possibile offrire ai videogiocatori su schermo.

Così Ubisoft ha previsto assalti a porti, abbordaggi a carichi mercantili, battaglie navali con la marina spagnola e inglese, esplorazioni di isole, bevute di rum e, appunto, la caccia alla fauna marina. Chiaramente Ubisoft non ha tentato nemmeno lontanamente di giustificare l'uso criminale odierno che si fa della carne di squalo o di balena che viene consumata in alcune aree del mondo. In Black Flag gli sviluppatori hanno solamente cercato di spiegare perché all'epoca la caccia alle balene fosse così remunerativa e fosse così tanto inserita e accettata dalla società, riflessione ripresa e approfondita anche in un articolo pubblicato nel 2019 dall'Università di Örebro.

Secondo gli studiosi, come per altre parti del gioco, la Ubisoft ha cercato di far rivivere ai giocatori le esperienze di persone storicamente, filosoficamente e mentalmente molto dissimili da loro, offrendo una maturità del medium che cerca di insegnare quali sono stati i progressi di cui l'umanità ha goduto, senza quasi rendersene conto. Per quanto riguarda AC IV, il giocatore può così esplorare i Caraibi durante il periodo del colonialismo spagnolo, venendo letteralmente bombardato di informazioni risalenti all'epoca.

Giochi come quelli della Ubisoft offrono importanti strumenti, dunque, e ad esempio un padre potrebbe persino insegnare al proprio figlio la storia in maniera innovativa, tanto che gli sviluppatori  si sono impegnati nel proporre una modalità nota come Discovery tour all'interno dei loro giochi che permette di esplorare l'ambientazione degli ultimi titoli senza dover necessariamente combattere. Qui si viene inondati da informazioni curiosità culturali e storiche, utili anche per gli insegnanti, talmente tanto efficaci che persino l'università di Chicago ha affermato l'importanza di avere uno strumento simile a disposizione.

C'è inoltre chi offre una riflessione educativa su tali giochi, come i pedagogisti Martina De Castro, Giancarlo Giumini, Martina Marsano, Umberto Zona, Fabio Bocci che, in un articolo del 2018 pubblicato sulla rivista Ricerche Pedagogiche, affermano che il videogioco è il nuovo romanzo di formazione. Secondo loro i videogiochi predispongono all'apprendimento e a un accrescimento empatico che induce il soggetto a distinguere i diversi piani della realtà, utile per assumere differenti comportamenti sociali nella vita di tutti i giorni.

Altri studi di Neuroimaging, come uno effettuato da un team internazionale italiano e statunitense e pubblicato in Elementi di Neuroscienze e Dipendenze, distinguono infine i problemi derivati ad un uso eccessivo di computer, Internet, e videogiochi da comportamenti aggressivi indotti dalla visione di violenza attraverso questi mezzi. Gli studiosi affermano che non come non ci sia una correlazione diretta fra le due e che andrebbero analizzati i casi singolarmente per evitare di dare risposte affrettate.

È possibile inserire la violenza in maniera intelligente nei videogiochi?

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Il sistema PEGI europeo

Poiché non esiste un unico pubblico di videogiocatori sarebbe illogico, o quantomeno estremo, rendere illegali quei titoli dove è possibile praticare violenza nei confronti di animali digitali. Al massimo bisognerebbe limitare tali titoli ad un mercato più ristretto che non coinvolga minori, poiché più sensibili alle scene rappresentate su schermo.

Un sistema di limitazione delle vendite e di classificazione dei giochi, in realtà, esista già, ma bisognerebbe pubblicizzarlo e far sì che diventi vincolante per il mercato. In Europa è noto come PEGI e permette ai genitori di comprendere se il gioco che si sta comprando è pensato per bambini più grandi di 3, 7, 12 o 16 anni e presenta rappresentazioni di droghe, discriminazione, sesso e così via.

Il sistema PEGI nacque con una proposta da parte delle stesse associazioni dei genitori, in quanto già agli albori del medium – si sta parlando degli anni 80 – si era compreso come esistessero diverse fasce d'età di giocatori e maturità differenti. E in effetti la maggioranza dei giochi di caccia o che presentano la possibilità di sparare agli animali dispone oggi di un PEGI 16 o 18 , ma è possibile che la sensibilità nei confronti della violenza sugli animali acquisita negli ultimi anni sia aumentata, facendo si che il PEGi attuale non basti.

Inoltre, come ben spiegato in un articolo pubblicato su International Communication Gazette, nonostante il PEGI sia uno strumento utile per permettere ai genitori di comprendere se quel gioco è idoneo per la sensibilità e la crescita di un bambino, sembra quasi che nessun genitore in Italia, né la Peta, lo conosca.

La validità delle proteste dei movimenti animalisti e dei genitori nei confronti dei videogiochi dipende perciò molto dal contenuto di ciascun singolo titolo e da quanto il mercato videoludico sponsorizzi quel prodotto come prodotto per adulti o bambini. Tutto al più si potrebbe proporre di incrementare il sistema PEGI, offrendo un nuovo simbolo che possa indicare all'interno dei vari titoli la rappresentazione estesa di violenza nei confronti degli animali.

Sono laureato in Scienze Naturali e in Biologia e Biodiversità Ambientale, con due tesi su argomenti ornitologici. Sono un grande appassionato di escursionismo e di scienze e per questo ho deciso di frequentare un master in comunicazione scientifica. La scrittura è la mia più grande passione.
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