«Non ci sono dati accurati di quanti cinghiali esistono nei diversi contesti e gli obiettivi sono tarati su quanto fatto gli anni precedenti». Le parole di Piero Genovesi, Responsabile del Servizio per il coordinamento della fauna selvatica dell'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra), descrivono a Kodami la realtà attuale dopo la notizia del recepimento da parte della Giunta Capitolina del piano nazionale per la riduzione del numero dei cinghiali per far fronte alla peste suina.
La questione degli abbattimenti, soprattutto, genera una forte polarizzazione nell'opinione pubblica: da un lato chi vede la strada scelta dal Comune come un modo per favorire i cacciatori, dall'altro chi sostiene che l'abbattimento di 50.000 individui sia il miglior modo di procedere e che quella che stiamo affrontando sia una vera e propria crisi sanitaria.
La Giunta il 14 giugno ha approvato il recepimento del piano nazionale per la riduzione del numero dei cinghiali che prevede, fra le altre cose, l'istituzione di una zona rossa ad alta concentrazione di individui infetti, una "zona di attenzione" che fungerà da cuscinetto per impedire la dispersione di animali infetti e anche il raddoppio degli abbattimenti di questi animali che da 25.000 passerà a 50.000. Le motivazioni a favore di questo provvedimento sono state espresse dall'Assessore regionale alla Sanità Alessio D'Amato che afferma come sia necessario ridurre il numero di cinghiali presenti nel Lazio per via del sovrappopolamento. Inoltre, secondo l'assessore «la riduzione del numero dei cinghiali è un tema di salute pubblica, di sicurezza nella catena alimentare, di decoro urbano e di sicurezza nella mobilità».
A tal proposito Kodami ha chiesto chiarimenti a Piero Genovesi, Responsabile del Servizio per il coordinamento della fauna selvatica per dell'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra). «È importante specificare una cosa: ciò che è stato dichiarato riguardo gli abbattimenti e i prelievi selettivi è relativo solo alla zona di attenzione. Nella zona rossa, a più alto tasso di positività, data l'alta mortalità della malattia, non ci sarà bisogno di effettuare abbattimenti. Inoltre, occorre che questi prelievi e abbattimenti siano effettuati con tecniche di caccia che minimizzano lo spostamento degli animali infetti. Si parla, quindi, di caccia con carabina a distanza, con un singolo cane e l'utilizzo dei "chiusini", le trappole che comunemente vengono utilizzate per catturare i cinghiali, tutte tecniche che non provocano un'eccessiva diffusione degli animali».
Il piano della Regione Lazio si riferisce alla zona più esterna, dunque, quella non ancora infetta, dove «riuscire ad abbattere e prelevare gli animali – continua Genovesi – potrebbe da un lato ridurre l'impatto del cinghiale in quelle zone e dall'altro permette di gestire più efficacemente la malattia qualora ci arrivasse».
Riguardo al numero di cinghiali che si prevede abbattere e prelevare il rappresentante di Ispra sottolinea: «Sarebbe più corretto dire che aumenteremo catture e abbattimenti rispetto agli anni precedenti piuttosto che fare una proporzione con numeri che, ad oggi, non abbiamo. La priorità è quella di evitare che gli animali si muovano molto e non di abbattere più cinghiali possibile, questo perché anche a bassa densità, la malattia si può comunque diffondere. Gli abbattimenti e i prelievi, dunque, avranno come fine quello di facilitare la gestione della malattia qualora dovesse uscire fuori dalla zona rossa».
Intanto però continua la battaglia delle diverse associazioni ambientaliste contro l'intensificazione dell'attività venatoria.
«Un'operazione crudele e inutile non basata su alcune evidenza scientifica. Anzi, gli abbattimenti sono inutili e dannosi afferma l'Autorità europea per la sicurezza alimentare (Efsa) – sottolinea Claudio Locuratolo, coordinatore guardie zoofile Oipa di Roma e provincia – Oltretutto si sta confondendo il problema della peste suina africana con quello della sovrappopolazione dei cinghiali, anche se le cose non sono connesse».
«La peste suina africana è diventata un pretesto per dare il via libera ai cacciatori – sostiene Massimo Vitturi, Responsabile animali selvatici della Lega anti vivisezione – L'assessore D'Amato afferma che è una questione di salute pubblica, quando sappiamo bene che non è una zoonosi e non c'è trasmissione fra animale e uomo. Il problema non sono i cinghiali ma la gestione corretta dei rifiuti, troppo presenti nelle strade della Capitale, che attirano questi animali».
Riguardo una possibile soluzione alternativa, Vitturi indica il modello di gestione già adottato in altri paesi: «In Belgio e in Repubblica Ceca non si è raddoppiato il numero di abbattimenti ma semplicemente recintato, come già si fa all'interno del Grande Raccordo Anulare. La peste suina africana ha una mortalità molto alta per cui non c'è bisogno di far entrare i cacciatori, si dovrebbe recintare bene la zona e lasciare che la malattia faccia il suo corso».
Mentre il dibattito sulla questione si intensifica, ulteriori dettagli non sono ancora disponibili poiché, nonostante il piano sia stato approvato, deve essere ancora vagliato dall'Ispra e dal Centro di Referenza di Perugia per ulteriori valutazioni.