«In Italia manca una struttura per la gestione degli animali selvatici, soprattutto di quelli che, come i cinghiali, con il loro sovrannumero comportano una rottura dell'equilibrio ambientale con le conseguenze che stiamo osservando oggi». Così Vincenzo Caputo, direttore generale dell'Istituto zooprofilattico sperimentale dell'Umbria e delle Marche (IZSUM), spiega a Kodami la situazione attuale nel nostro Paese sulla diffusa presenza degli ungulati.
L’arrivo a gennaio 2022 in Piemonte del primo caso di peste suina africana dell’Italia continentale ha imposto una nuova riflessione istituzionale e sociale relativa alla gestione della fauna selvatica. La discussione però da mesi sembra essersi arenata su due posizioni contrapposte e inconciliabili: da una parte l’abbattimento indiscriminato degli animali, opzione sostenuta dalle maggiori confederazioni degli agricoltori, e dall’altra la barricata innalzata dalle associazioni animaliste.
In realtà, rileva Caputo, esiste un’altra via: «Un organismo intersettoriale e multidisciplinare composto da medici veterinari, biologi faunistici, ingegneri e tecnici che possano elaborare una strategia integrata per la gestione della fauna selvatica problematica».
La creazione di questa struttura è stata portata da Caputo all’attenzione del Parlamento durante la sua audizione in commissione Igiene e Sanità del Senato: «L'Italia – ricorda Caputo – è stata costretta a ricorrere alla nomina di un Commissario, che sta incontrando le prime difficoltà perché manca un modello strutturato per affrontare situazioni di alta complessità legate alla gestione degli animali problematici che metta in contatto le competenze di tre diversi ministeri: Sanità, Transizione ecologica e Agricoltura»
Il cinghiale (Sus scrofa) è inserito nell'elenco redatto dall'IUCN delle 100 specie animali e vegetali più invasive al mondo. Non solo, uno studio condotto dall'University of Veterinary Medicine di Hannover in Germania e pubblicato sull'European Journal of Wildlife Research nel 2007, inserisce questa specie tra gli ungulati con i tassi riproduttivi più alti.
Le nascite si verificano soprattutto tra marzo e maggio quando le scrofe danno alla luce dai 4 ai 12 cuccioli. Ciò significa che nei prossimi mesi potremmo assistere a una esplosione di giovani individui desiderosi di trovare nuovi spazi e risorse, con la conseguenza di una nuova espansione dell’area infetta della peste suina africana.
La gestione di una specie tanto complessa, per gli esperti, non può essere affidata ai cacciatori come invece auspicato dal sottosegretario alla Salute Andrea Costa, che sul palco della Coldiretti per la manifestazione “Basta cinghiali” è intervenuto annunciando abbattimenti massivi e il prolungamento della stagione venatoria in risposta all’emergenza.
«Non si può basare l’eradicazione di una malattia come la peste suina africana su un gruppo di volontari che hanno interessi legati alla loro attività – sottolinea Caputo – Bisogna dare continuità al Regolamento europeo 2016/429 relativo alle malattie animali, elaborato in chiave One health, e in cui si trovano a coincidere sanità animale, ambiente, tutela della biodiversità».
Il Regolamento ricorda infatti che «la sanità animale e il benessere degli animali sono interconnessi: una migliore sanità animale favorisce un maggior benessere degli animali, e viceversa».
«Se non elaboriamo una strategia davvero efficace – sottolinea Caputo – la peste suina africana diventerà endemica come è successo in Sardegna, e gli animali continueranno a morire ai margini delle nostre città, una situazione che oltre a essere pericolosa a livello sanitario è anche spiacevole ai fini del benessere dei cinghiali, anche per questo dobbiamo provvedere all’eradicazione della malattia quanto prima. Ci sono poi le ripercussioni economiche rispetto alla filiera agroalimentare che rischiano di avere pesanti ricadute sul Pil a causa del blocco dell’export imposto in Europa nei paesi dove è diffusa la malattia».
La peste suina africana non rientra tra le zoonosi: si tratta di un virus a DNA che muta molto poco, al contrario del Sars-Cov-2, ed è proprio questa caratteristica a rendere improbabile il salto di specie della peste suina africana, Tuttavia esiste anche un rovescio negativo della medaglia: «Si tratta di un virus estremamente stabile anche nell’ambiente: resiste a lungo ed è difficile da debellare una volta divenuta endemica», conferma Caputo.
Sì tratta di variabili che secondo il direttore generale dell'IZSUM possono essere affrontate solo attraverso una gestione trasversale di competenze: «Al momento, la mia è la proposta di amministratore, ma è il frutto di un movimento condiviso dalle tante categorie di professionisti coinvolte».