Un cucciolo di gatto mentre dorme, un cane che gioca con una tigre, due lontre che si tengono per le zampe. Quante volte ci è capitato di vedere sul feed di Facebook, Instagram o su TikTok dei video di animali carini o divertenti che si susseguono uno dopo l’altro senza essere capaci di smettere di guardarli? Capiamo insieme perché siamo così attratti dalle immagini di animali che ci inteneriscono, cuccioli in primis, e quali sono i principali effetti di questi contenuti sul nostro benessere mentale.
La Teoria della Gestione dell’Umore
Secondo la Teoria della Gestione dell'Umore o MMT (“Mood Management Theory”; Zillmann, 1988) le persone sono maggiormente motivate a fare uso di media, soprattutto di contenuti fotografici e di video, che permettono di evitare stati affettivi negativi e/o mantenere quelli positivi. In altre parole, i contenuti più frequentemente guardati, salvati e repostati sono quelli che consentono più facilmente di provare emozioni positive ed eludere quelle negative. In questo senso, l’utilizzo di social network come Instagram, Facebook, Twitter o TikTok può servire come una forma di regolazione emotiva, ovvero quel processo attraverso cui gli individui influenzano il tipo di emozione provata, il momento in cui tale emozione affiora e le modalità attraverso le quali viene vissuta ed espressa.
Questa sembra essere una delle principali motivazioni per cui gli utenti di Internet vanno alla ricerca di immagini di animali carini o divertenti. A sostegno di tale ipotesi, infatti, esistono svariati account su Social Network come Twitter, Instagram e Facebook che condividono solo video di cuccioli e che fanno leva proprio sulla possibilità che tali contenuti multimediali possano alleviare gli stati affettivi negativi, come se fosse una sorta di “cura” quotidiana a disposizione dell’utente. A tal proposito, per esempio, la pagina Instagram “Musetti Animaletti” ha anche recentemente pubblicato un libro intitolato proprio… “Un libretti contro l’ansietti”.
I progressi nella ricerca sulla gestione dell'umore hanno evidenziato, tuttavia, che tale fenomeno non può essere totalmente spiegato attraverso motivazioni di tipo edonistico: gli utenti possono anche cercare contenuti carichi di affettività perché promuovono la connessione con altre persone oppure perché inducono emozioni positive che a loro volta aiutano a far fronte a problemi personali e portare a termine i loro compiti giornalieri.
Procrastinazione, quanto i social aiutano a rimandare le cose che non vogliamo fare
Oltre alle motivazioni della gestione dell’umore, molte persone potrebbero guardare video di animali online per evitare lavoro o compiti spiacevoli. In questo senso, la principale motivazione alla base dell’uso di tali media sarebbe la procrastinazione. Se visti durante l'orario di lavoro, l’utilizzo di immagini di animali può essere considerata una forma di "cyberslacking", in cui le persone utilizzano i media per scopi personali durante l'orario lavorativo. Tuttavia, anche dopo l'orario di lavoro, la consultazione di media di intrattenimento può essere motivata dal bisogno o dal desiderio di procrastinare.
Grazie ad una ricerca condotta nel 2014 da Reinecke et al. è stato possibile constatare che dopo una giornata faticosa al lavoro o a scuola, le persone si rivolgono infatti alla Rete e in generale a media che offrono intrattenimento al puro scopo di rimandare altre azioni. Inoltre è emerso che l'uso di contenuti visuali come forma di procrastinazione, a sua volta, è correlato poi però anche a maggiori sensi di colpa per non aver svolto compiti più importanti o significativi.
Differenze individuali: ognuno sceglie ciò che più gli piace
I ricercatori hanno individuato un collegamento tra alcuni tratti della personalità e il maggiore utilizzo di Internet in generale e social network in particolare. Alcune persone, ad esempio, possono avere maggiori probabilità di visualizzare e apprezzare i media online su animali rispetto ad altri. I tratti di personalità che sembrano più frequentemente associati ad un maggiore utilizzo di piattaforme online sono l'introversione e la timidezza.
L'introversione, in particolare, sembra essere un aspetto legato anche ad una preferenza per i gatti, spesso classificati come animali solitari e a cui a volte vengono attribuite, addirittura, caratteristiche “antisociali”. È possibile, quindi, che i soggetti introversi siano maggiormente attratti dai gatti su Internet, dal momento che l’introversione è connessa sia ad un maggiore uso della Rete che ad una preferenza per i gatti rispetto ai cani.
L’effetto di esposizione: più navighi, più gattini e cuccioli cerchi
Il legame tra tempo trascorso a guardare video di gatti o cani e emozioni positive potrebbe anche essere spiegato come un effetto di mera esposizione (Zajonc, 1980 ): con tale termine si intende il fenomeno piscologico per cui ripetute esposizioni ad uno stimolo determinano una disposizione positiva verso di esso. Più un utente guarda media di animali online, quindi, più acquisisce familiarità con tali contenuti e, di conseguenza, tenderà ad apprezzarli anche in futuro e a preferirli rispetto ad altri.
Siamo attratti dalla tenerezza: ill “Kindchenschema” di Lorenz
Nel 1943 l’etologo Konrad Lorenz descrisse una configurazione di caratteristiche fisiche infantili che definì Kindchenschema (in italiano “schema infantile”) e che includevano testa grossa, viso e naso piccoli, occhi grandi e rotondi, bocca posta in basso rispetto al viso, guance tonde e paffute. Tale morfologia sembra quanto di più vicino a quello che gli anglofoni definiscono cute, che in italiano potremmo tradurre con “tenero” o “carino”.
Gli esseri umani sviluppano molto precocemente (probabilmente già verso i tre anni) una preferenza per questi tratti, poiché evocano una risposta emotiva che, a sua volta, induce quei comportamenti di cura che gli adulti mettono in atto nei confronti dei bambini. Tale disposizione è presumibilmente adattiva perché è alla base della motivazione ad occuparsi dei bisogni della prole e, in generale, dei più piccoli garantendo, in questo modo, la sopravvivenza della propria specie. Tuttavia, sembra che la risposta emotiva che la tenerezza (cuteness) evoca non riguardi soltanto la naturale tendenza degli esseri umani ad essere protettivi nei confronti dei bambini, ma si estenda anche ai cuccioli di altre specie, come gatti o cani, ma anche delfini, elefanti, scoiattoli.
Inoltre, le interazioni con stimoli “carini” o “teneri” provocano, nel nostro cervello, l’attivazione del sistema della gratificazione, da cui deriva una sensazione di benessere e che diventa una vera e propria ricompensa che incide positivamente sulla probabilità che tale comportamento venga messa in atto in futuro. La preferenza degli individui verso tutto ciò che è tenero e carino viene trasferita anche alla sfera del digitale e tale predilezione potrebbe fornire una spiegazione all’utilizzo massivo di immagini e video che raffigurano cuccioli di ogni specie.
Gli effetti dei video di animali sul benessere mentale
Sebbene la teoria della gestione dell'umore, la procrastinazione, le differenze individuali, l’effetto di esposizione e le teorie evolutive ci aiutano a capire perché alcuni utenti siano così attratti da foto e video di animali carini, è ugualmente importante considerare i potenziali effetti di questi contenuti sugli individui.
Sembra che l’impatto di questi video sulle persone possa essere sia positivo che negativo: come quasi tutto quello che riguarda il web, dipende dall’uso che se ne fa. Se ad un video di gatti o cani corrisponde, ad esempio, una risposta emotiva positiva, allora è probabile che tale reazione a sua volta aumenti le risorse cognitive, emotive e comportamentali dell’individuo in questione. Se, al contrario, tali contenuti innescano una risposta emotiva negativa, in questo caso osserveremo effetti nocivi che andranno a impattare negativamente sul benessere mentale degli utenti.
Tali contenuti potrebbero rappresentare un momento di pausa dal lavoro o dallo studio, necessario a rigenerare gli utenti e a renderli più attenti per le attività successive. In una recente ricerca è stato mostrato come brevi filmati di animali possano influenzare positivamente l’umore degli individui, inducendoli ad essere più produttivi. Lo studio ha coinvolto gli studenti di un corso di farmacologia veterinaria, ai quali, soltanto in alcuni giorni, venivano concesse brevi pause durante le quali venivano mostrati video simpatici o carini di gatti e cani. Nei giorni in cui le lezioni erano intervallate da tali contenuti sono stati riscontrati effetti positivi sull’umore degli studenti, sull’interesse nel materiale proposto e sulla percezione di averlo compreso.
Al contrario, un potenziale effetto negativo di tali contenuti è il rischio di trascorrere troppo tempo su Internet invece di svolgere compiti più importanti come lavorare o studiare. Il senso di colpa che ne deriva può innescare un vero e proprio circolo vizioso in cui gli utenti sperimentano emozioni negative a causa del fatto che trascorrono la maggior parte della loro giornata online ma, allo stesso tempo, è proprio il senso di colpa provato, insieme a scarse capacità di autocontrollo, a far sì che, piuttosto che interrompere tale comportamento, si continui a procrastinare. Tale dinamica incide negativamente sul benessere mentale e fisico degli individui, inducendoli ad utilizzare i social network per troppe ore al giorno.
Bibliografia
- Kleiman, D. G., & Eisenberg, J. F. (1973). Comparisons of canid and felid social systems from an evolutionary perspective. Animal behaviour, 21(4), 637-659.
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- Lorenz, K. (1943). Die angeborenen formen möglicher erfahrung. Zeitschrift für Tierpsychologie, 5(2), 235-409
- Myrick, J. G. (2015). Emotion regulation, procrastination, and watching cat videos online: Who watches Internet cats, why, and to what effect? Computers in human behavior, 52, 168-176.
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- Reinecke, L., Hartmann, T., & Eden, A. (2014). The guilty couch potato: The role of ego depletion in reducing recovery through media use. Journal of Communication, 64(4), 569-589.
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- Zajonc, R. B. (1980). Feeling and thinking: Preferences need no inferences. American psychologist, 35(2).
- Zillmann, D. (1988). Mood management through communication choices. American Behavioral Scientist, 31(3), 327-340.