Negli ultimi anni il Bouledogue Francese è diventato uno dei cani più popolari in tantissimi paesi Europei e negli Stati Uniti, trasformandosi in una delle razze più acquistate in assoluto. Il forte interesse per questi cani e l’impennata del loro acquisto ha creato un preoccupante problema di benessere animale.
La popolarità dei cani brachicefali, nonostante i numerosi inconvenienti legati alla loro salute, all’aspettativa di vita e agli elevati costi veterinari, ha destato l’interesse della comunità scientifica nel determinare ciò che spinge le persone ad acquistare queste razze.
Un recentissimo studio ungherese "The brachycephalic paradox: The relationship between attitudes, demography, personality, health awareness, and dog-human eye contact" ci aiuta a fare chiarezza.
Il grande paradosso e il nuovo studio
Riguardo all'enigma del perché le persone siano interessate a vivere con animali che soffrono, in un primo momento, il pensiero più logico può essere rivolto alla “semplice” inconsapevolezza rispetto ai vari problemi di salute che questi cani patiscono. Problemi ben spiegati in un video dall'istruttore cinofilo e membro del comitato scientifico di Kodami, Luca Spennacchio.
Ad oggi, però, mentre l’acquisto di queste razze avanza galoppante e il loro allevamento continua a crescere, l’informazione e le campagne educative da parte di esperti del settore fanno sì che la consapevolezza pubblica riguardo i problemi di salute associati ai cani brachicefali sia relativamente alta. È stato osservato che le persone più propense ad acquistare un cane brachicefalo sono con buone probabilità informate e consapevoli dei loro problemi. Cosa spiega allora questo paradosso?
Le ricercatrici ungheresi hanno intervistato 1.156 persone “appassionate” di queste razze alla ricerca di fattori che potessero avere una relazione con questa preferenza.
Per quanto riguarda le caratteristiche socio-demografiche, sembra che alcune di esse abbiano un’influenza sull’atteggiamento verso i cani brachicefali. Persone giovani, donne e genitori sembrano essere più propensi verso le razze brachicefale, a differenza di persone più anziane, uomini e persone senza figli. L’ipotesi correla la preferenza ad una maggiore sensibilità per i “segnali infantili” dei cani brachicefali, conosciuti in letteratura come baby schema, ovvero quell'insieme di caratteristiche morfologiche che riconducono allo stadio di sviluppo dell'infanzia, tra cui testa grande e arrotondata, occhi e orecchie grandi e naso piccolo. Si tratta di un fenomeno che influenza anche il rapporto tra persone e gatti brachicefali, come ha svelato un altro studio questa volta italiano dell'Università di Milano.
Nel lavoro ungherese, invece, gli intervistati appassionati di razze brachicefale sono generalmente consapevoli dei problemi di salute di questi cani e della sofferenza che devono affrontare. Il 99% associa la brachicefalia con le difficoltà respiratorie, il 90% alla distocia (difficoltà nel parto) e l'83% alla dentatura anomala. In generale, la quasi totalità degli intervistati associano almeno quattro problemi di salute evidenti alla brachicefalia.
Una possibile spiegazione di questo risultato paradossale è che i pet mate di questi cani sviluppano legami molto forti in parte a causa della fragilità dei cani e di una maggiore necessità di accudimento.
Cosa ci suggerisce questo studio?
Le ricercatrici concludono che le campagne informative sui problemi di salute e di benessere dei cani brachicefali non hanno, finora, scoraggiato le persone dall'acquistare individui appartenenti a queste razze, e che l’inversione di rotta sarà dura. D’altro lato, affermano che l’informazione continua è importante necessaria e che dovrebbe concentrarsi su diversi punti.
In primo luogo, dovrebbe essere combattuta la normalizzazione della sofferenza e del disagio dei cani di queste razze. Ad esempio, i rumori respiratori generati dalla sindrome dell’ostruzione delle vie aeree superiori (BAOS) altro non sono che un segno della costante lotta di un essere vivente per poter respirare attraverso delle vie respiratorie deformate.
Le definizioni delle problematiche in questo senso aiuterebbero molto. È necessario passare da etichette che alimentano la normalizzazione del dolore e del disagio come "tipico della razza" o "normale per la razza" ad etichette che mettano in evidenza la sofferenza animale, come "ad alto rischio di sofferenza". Per esempio destrutturare l’idea delle “difficoltà respiratorie tipiche di razza” per meglio descrivere “l’alto rischio di soffrire gravi difficoltà respiratorie”.
Infine, considerando le difficoltà nel modificare un mercato fiorente e nella consapevolezza che sarà un processo graduale, i professionisti del settore cinofilo e della medicina veterinaria potrebbero incentivare le persone motivate all’acquisto di queste razze ad impegnarsi a scegliere individui più sani pretendendo una responsabilità etica da parte degli allevatori che fino ad ora hanno dimostrato di dare la priorità alle caratteristiche estetiche rispetto alla salute e al benessere degli animali.