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24 Gennaio 2024
10:30

Perché non si finisce in carcere per i reati contro gli animali?

Coloro che commettono gravi reati a danno degli animali non finiscono mai in carcere, perché? Il principale motivo è che le pene sono ancora troppo blande, ma c'è anche dell'altro.

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Articolo a cura dell' Avvocato Salvatore Cappai
Civilista, esperto in diritto degli animali
cane maltrattato

Leggiamo quotidianamente notizie riguardanti crimini perpetrati contro animali indifesi: cani a cui viene dato fuoco, caprette uccise a pedate, gatti scuoiati vivi, uccelli fatti esplodere con dei petardi, ecc. La domanda che sorge in questi casi è sempre la stessa: perché coloro che commettono reati tanto gravi contro gli animali non finiscono mai in carcere? La risposta immediata (e semplificata) è: perché le pene previste dalla normativa per sanzionare i reati a danno degli animali sono ancora troppo blande.

In teoria, infatti, reati come l'uccisione e il maltrattamento di animali sarebbero anche puniti con la reclusione, che può arrivare sino ai due anni. Nella pratica, però, la presenza di taluni istituti impedisce quasi sempre l'effettivo accesso dei condannati negli istituti di pena. Talvolta, come si vedrà, il reato viene persino cancellato, come se non fosse mai stato commesso.

Quali sono i principali reati contro gli animali?

Negli ultimi trent'anni il nostro ordinamento, soprattutto in campo penale, ha fatto enormi passi avanti nella materia della tutela degli animali. Basti pensare, a titolo di esempio, che sino al 2004 l'uccisione volontaria e crudele del proprio animale non era neppure contemplata come un reato a sé stante, si trattava di un'aggravante del reato di maltrattamento. Quindi il pet mate di un cane (o di altro animale) che lo avesse ucciso con una bastonata secca e decisa non sarebbe andato incontro a nessuna conseguenza negativa, a nessun tipo di condanna.

Veniva punita, invece, l'uccisione di animali altrui, ma in questo caso solo perché si era distrutto o «deteriorato», come ancora dice la norma di cui all'art. 638 del Codice penale, un bene appartenente a terzi. Grazie a importanti riforme intervenute nel 2004 e nel 2010 (Legge 20 luglio 2004, n. 189 e Legge4 novembre 2010, n. 201) sono state introdotte nuove fattispecie di reato e sono state aumentate le pene. Non abbastanza, come si avrà modo di dire.

Attualmente i principali reati a danno degli animali sono l'uccisione, il maltrattamento e l'abbandono degli stessi. L'articolo 544 bis del Codice penale (delitto di "Uccisione di animali") prevede che «chiunque, per crudeltà o senza necessità, cagiona la morte di un animale è punito con la reclusione da quattro mesi a due anni». Come si può vedere, la pena massima per l'uccisione crudele e non giustificata di animali è di (soli) due anni.

L'articolo 544 ter del Codice penale (delitto di "Maltrattamento di animali") stabilisce che: «chiunque, per crudeltà o senza necessità, cagiona una lesione ad un animale ovvero lo sottopone a sevizie o a comportamenti o a fatiche o a lavori insopportabili per le sue caratteristiche etologiche è punito con la reclusione da tre a diciotto mesi o con la multa da 5.000 a 30.000 euro. La stessa pena si applica a chiunque somministra agli animali sostanze stupefacenti o vietate ovvero li sottopone a trattamenti che procurano un danno alla salute degli stessi. La pena è aumentata della metà se dai fatti di cui al primo comma deriva la morte dell'animale».

In questo caso il giudice può addirittura scegliere tra la pena della reclusione e pena una pecuniaria, la prima è prevista come massima in diciotto mesi e può essere aggravata se dal maltrattamento deriva la morte dell'animale. L'abbandono e la detenzione di animali in condizioni incompatibili con la loro natura e produttive di gravi sofferenze sono invece delle contravvenzioni punite dall'articolo 727 del Codice penale con la pena dell'arresto che nel massimo può arrivare ad un anno o con l'ammenda da 1.000 a 10.000 euro. Si legge: «chiunque abbandona animali domestici o che abbiano acquisito abitudini della cattività è punito con l'arresto fino ad un anno o con l'ammenda da 1.000 a 10.000 euro. Alla stessa pena soggiace chiunque detiene animali in condizioni incompatibili con la loro natura, e produttive di gravi sofferenze».

Cosa succede a chi commette reati contro gli animali?

Come si accennava, le norme che prevedono diversi reati contro gli animali esistono e negli ultimi decenni sono state persino rese più severe. Ma allora come mai chi commette crimini come l'uccisione di uno o anche tanti animali non finisce praticamente mai in carcere? Perché nel nostro ordinamento ci sono istituiti come la messa alla prova o la sospensione condizionale della pena, i quali fanno sì che per reati come quelli sopra richiamati, per cui è prevista una pena massima di due anni di reclusione, come l'uccisione crudele e non necessaria di animali, sia possibile evitare l'ingresso in un istituto penitenziario o persino veder cancellato l'illecito commesso.

La cosiddetta "messa alla prova" consiste nella sospensione del procedimento penale, attivabile sin dalla fase delle indagini preliminari, per consentire all'indagato/imputato di accedere ad un periodo di prova nel quale viene chiamato, ad esempio, a svolgere dei lavori di pubblica utilità. Qualora questa "prova" si concluda con esito positivo il giudice pronuncerà una sentenza di proscioglimento. Quindi è come se il soggetto, che magari ha maltrattato con crudeltà il proprio animale, non abbia commesso alcun reato. Non solo, l'animale eventualmente confiscato per via del maltrattamento dovrà essergli persino restituito.

Altro motivo per cui in Italia chi maltratta o uccide un animale non finisce in carcere è l'esistenza della cosiddetta sospensione condizionale della pena. In parole semplici, secondo quanto stabilito dall'articolo 163 del Codice penale, il giudice, quando pronuncia una sentenza di condanna alla reclusione o all'arresto per un tempo non superiore a due anni, può ordinare che l'esecuzione della pena rimanga sospesa per il termine di cinque anni se la condanna è per delitto e di due anni se la condanna è per contravvenzione. Se il reato è commesso da un minorenne il limite è di tre anni. Qualora il soggetto che beneficia di questo istituto non commette un nuovo reato (un delitto o una contravvenzione della stessa indole) per il quale viene inflitta una pena detentiva e adempie agli obblighi che gli vengono imposti, il reato si estingue.

Ma c'è di più: difficilmente nel nostro Paese finisce in carcere chiunque debba scontare una pena detentiva inferiore ai quattro anni, ciò in forza della sentenza della Corte Costituzionale n. 41/2018 che ha aumentato il limite di tre anni previsto dall'art. 656 del Codice di procedura civile; in taluni casi particolari questo arriva persino sei anni. In quest'ipotesi il Pubblico ministero dispone la sospensione dell'esecuzione e il condannato può richiedere una misura alternativa alla detenzione (es. affidamento in prova ai servizi sociali o detenzione domiciliare).

Perché le pene sono così basse?

Abbiamo già evidenziato i passi avanti compiuti negli ultimi decenni dalla normativa penale in materia di tutela degli animali. Le norme precedenti alle riforme (e le sanzioni dalle stesse previste) erano figlie di una cultura nella quale gli animali, compresi i domestici, erano dei beni che avevano un valore e producevano dei vantaggi. Non ci si poneva neppure la questione oggetto di questo articolo.

Oggi è completamente mutata la sensibilità sociale e per la gran parte delle persone non vale più la frase "è solo un animale". Per questo fanno notizia i fatti di crudeltà contro gli animali e per questo si considerano basse pene che solo pochi decenni fa sarebbero state ritenute invece eccessive. La nostra società non tollera più fatti di crudeltà contro gli animali e per questo la normativa non potrà che adattarsi ulteriormente.

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Salvatore Cappai
Avvocato
Avvocato con la passione per la divulgazione. Mi occupo di diritto civile, con particolare riguardo ai campi della responsabilità civile, dell’assistenza alle imprese e del “diritto degli animali”. Mi sono avvicinato a quest’ultima materia circa dieci anni fa, quando ho incontrato Gaia, la mia cagnolina, che ha stravolto la mia visione sul mondo degli animali e sulla vita assieme a loro. La mia community social, nella quale da anni informo con semplicità su tematiche giuridiche, conta oltre 350.000 iscritti.
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