Con il 50,9% delle preferenze contro il 49,1% di Jair Bolsonaro, l'ex sindacalista e leader del Partito dei Lavoratori, Luiz Inácio Lula da Silva, è stato rieletto presidente del Brasile per la terza volta. Lula avrà ora un compito difficilissimo, perché si ritroverà a dover governare un paese spaccato a metà, afflitto da pesanti disuguaglianze e ancora alle prese con le conseguenze economiche causate dalla pandemia. Ma tra i suoi obiettivi principali ci sarà anche quello di salvare la foresta Amazzonica e la sua biodiversità dopo anni di devastante e incontrollata deforestazione.
Chi si occupa di ambiente e conservazione della natura ha sempre riposto tutte le proprie speranze nell'ex sindacalista che, a differenza di Bolsonaro, ha sempre messo al centro dei suoi programmi l'ambiente e la tutela della biodiversità nonostante non sia mai stato un tema particolarmente sentito dalla maggior parte dei brasiliani che hanno sempre considerato come prioritario l'alto tasso di criminalità, la disoccupazione, l'istruzione e la corruzione.
Nonostante ciò, Lula non mai stato così tanto ambientalista, come invece ha dimostrato in campagna elettorale e dalle parole rilasciate subito dopo la vittoria: «Il Brasile è pronto per lottare contro la crisi climatica e per la deforestazione zero dell'Amazzonia. Il pianeta ha bisogno di una Amazzonia viva. Un albero in piedi vale più di tonnellate di legname estratto illegalmente». Una posizione completamente opposta a quella di Bolsonaro che invece ha favorito settori economici fortemente impattanti come l'allevamento e il trasporto su gomma.
Come dimostrano i dati rilasciati dai report ufficiali del National Institute for Space Research brasiliano a partire dal 2018, con il governo Bolsonaro, la deforestazione in Brasile è praticamente raddoppiata, avvicinandosi pericolosamente a un punto di non ritorno che potrebbe portare all'estinzione decine di migliaia di specie di piante e animali. Il Brasile è infatti il paese più "megadiverso" al mondo, cioè quello che ospita il maggior numero di specie di piante e animali, circa un decimo di tutte quelle che vivono attualmente sulla Terra.
Il governo Bolsonaro ha inoltre completamente mandato in fumo circa un decennio di grandi investimenti nella scienza e nella ricerca e soprattutto nella tutela dell'ambiente e della biodiversità che avevano portato il Brasile, guidato proprio dal Partito dei Lavoratori di Lula, a diventare uno dei paesi leader mondiali per la tutela della natura e nella lotta alla deforestazione. Politiche rispettose dei diritti dei popoli indigeni, più sostenibili e attente all'ambiente, avevano infatti portato a ridurre la deforestazione di circa l'80% tra il 2004 e il 2012.
Con il ritorno di Lula, molti osservatori si aspettano quindi un ritorno a quelle politiche, una sorta di rilancio del Paese che può tornare a essere leader mondiale nella scena internazionale anche per le politiche ambientali. Non esistono ovviamente leader politici perfetti e anche Lula dovrà scendere a compromessi e commetterà e errori. Sarà difficile mantenere tutte le promesse, risollevare l'economia e combattere le disuguaglianze raggiungendo al tempo stesso l'ambizioso obiettivo "deforestazione zero".
Nonostante ciò, crisi climatica, ambiente e biodiversità non erano mai stati così al centro di programmi e promesse elettorali, per cui in un Pianeta sempre più caldo e alle prese con la sesta estinzione di massa, la vittoria di Lula, soprattutto se confrontata con i programmi e le politiche portate avanti dal presidente uscente, non può quindi che essere una speranza per ambiente, natura e biodiversità. Occorrerà chiaramente vigilare con attenzione, ma le premesse per far sì che in Brasile la tutela e la conservazione della natura tornino a essere una priorità ci sono tutte.