I primati, inclusi gli esseri umani, hanno cervelli più grandi rispetto alla maggior parte degli altri mammiferi e gli scienziati hanno cercato una spiegazione a questo fenomeno evolutivo nella dieta a base di frutta di questi animali. Un team di ricercatori proveniente dal Max Planck Institute of Animal Behavior e dallo Smithsonian Institute of Tropical Research ha testato questa idea per la prima volta, scoprendo che la teoria della dieta a base di frutta potrebbe essere obsoleta.
Lo studio, pubblicato su Proceedings of the Royal Society B, rivede la teoria secondo cui un cervello grande è necessario per prendere decisioni intelligenti nella ricerca del cibo.
I ricercatori hanno utilizzato immagini da droni, tracciamento GPS e analisi comportamentali dettagliate per testare come quattro specie di mammiferi frugivori risolvessero lo stesso enigma in una foresta pluviale panamense. Secondo le vecchie teorie, gli animali con cervelli più grandi potevano usare la loro intelligenza per trovare la frutta più efficacemente, il che a sua volta forniva più energia per alimentare un cervello più grande. Ma il risultato sorprendente di questo esperimento è stato che le specie di primati dal cervello più grande non risolvevano gli enigmi ambientali per ottenere la frutta in modo più efficiente rispetto ai mammiferi dal cervello più piccolo.
Per poter testare la vecchia ipotesi della dieta a base di frutta, gli scienziati dovevano misurare quanto efficientemente un animale fosse in grado di trovare la frutta. «I primati e molti altri mammiferi viaggiano per lunghe distanze ogni giorno in cerca di cibo, rendendo impossibile replicare i loro spostamenti in un laboratorio», ha affermato Ben Hirsch, il primo autore dello studio. per poter quindi superare questo problema, il team ha sfruttato un fenomeno naturale che si verifica nella foresta pluviale sull'isola di Barro Colorado a Panama: per tre mesi ogni anno, i mammiferi frugivori sono costretti a nutrirsi di una sola specie di albero, ovvero Dipteryx oleifera.
«Quando gli animali si nutrono quasi esclusivamente di frutta di Dipteryx, possiamo considerare che stiano simultaneamente risolvendo lo stesso enigma di foraggiamento», ha affermato, invece, la professoressa Meg Crofoot. «Questo ci offre un modo efficace per confrontare la loro efficienza nel foraggiamento». Il team ha quindi mappato la posizione di tutti gli alberi di Dipteryx sull'isola di Barro Colorado facendo volare dei droni sopra la chioma degli alberi nel periodo da frutto.
Sono poi stati tracciati i movimenti di diversi individui di due primati dal cervello grande (scimmia ragno e cebo di Panama) e due parenti dei procioni dal cervello più piccolo (coati dal naso bianco e cercoletto). I sensori GPS hanno mostrato quali percorsi gli animali sceglievano per raggiungere gli alberi di Dipteryx, mentre gli accelerometri confermavano che l’animale individuato era attivo e potenzialmente in cerca di cibo durante la sua visita all'albero.
Gli scienziati hanno quindi calcolato l'efficienza del percorso come la quantità giornaliera di tempo trascorso attivamente negli alberi di Dipteryx divisa per la distanza percorsa. «Non abbiamo trovato alcuna prova che gli animali con cervelli più grandi prendessero decisioni più intelligenti», ha commentato Crofoot. «Se i cervelli più grandi rendono gli animali più intelligenti, allora questa intelligenza non viene usata per orientarsi più efficientemente verso gli alberi da frutto in questa foresta».
Gli studiosi affermano quindi che, rifiutando l'ipotesi dell’aumento delle dimensioni del cervello causato dalla dieta a base di frutta, il loro studio può spostare l'attenzione verso nuove idee. «I cervelli più grandi potrebbero promuovere una migliore memoria episodica, permettendo a quelle specie di programmare meglio le visite agli alberi per massimizzare la quantità di frutta matura incontrata», ha aggiunto Hirsch.
Secondo gli autori dello studio i cervelli più grandi potrebbero essere collegati all'uso di strumenti, alla cultura o alla complessità della vita in gruppo. «Il nostro studio non può determinare i fattori esatti dell'evoluzione del cervello – ha concluso Crofoot – ma siamo stati in grado di usare tecniche minimamente invasive per testare empiricamente una grande ipotesi sull'evoluzione, la cognizione e il comportamento degli animali selvatici».